Artigianato della tecnologia

Il primo computer che ho usato era un Univac 1100. Era la fine del 1979, o forse l’inizio del 1980, e io frequentavo il terzo anno di ingegneria. A Roma il triennio di ingegneria si faceva a San Pietro in Vincoli, la prestigiosissima sede a due passi dal Colosseo, nelle immedia adiacenze del Mosè di Michelangelo. Proprio al triennio di ingegneria decidemmo, con il mio prode compagno di studi col quale ho condiviso l’intero corso di laurea, di specializzarci in elettronica, con un blando indirizzo informatico. Blando non perché non ci piacesse, ma perché l’informatica, i calcolatori, erano per l’appunto ancora all’inizio dell’incomincio. C’era IBM, con i suoi mainframe, detentrice di circa l’80% del mercato. E poi gli altri, a combattere e spartirsi il restante 20%.
Nei meandri della facoltà, in un cortile/corridoio che conduceva dalle aule agli Istituti, perversi luoghi dove assistenti e professori si dedicavano ad oscuri riti satanici e sacrifici di ignari studenti, in quel cortile/corridoio c’era il Centro di Calcolo (con le c maiuscole perché era un luogo quasi sacralizzato). All’interno c’erano quattro perforatrici, un lettore di schede al quale si accedeva solo se si aveva una specifica password, ed una specie di passavivande attraverso il quale si consegnavano agli operatori, rigorosamente in camice bianco (non scherzo), i pacchi schede da eseguire, che venivano restituiti unitamente al tabulato.

Il Vic 20, il C64 e l’Amiga dovevano ancora nascere. Era da poco stato rilasciato l’Apple I, e Bill Gates stava lavorando alacremente per realizzare l’MS-DOS, e collaborava con il progetto IBM che avrebbe visto la luce qualche anno dopo, dando origine al primo vero Personal Computer, il modello XT.

Le schede perforate erano l’interfaccia che tutti usavano, financo i professori o gli assistenti si presentavano con il loro paccozzo di schede e lo lasciavano lì. Il tempo macchina era parzializzato, se un programma andava in loop veniva “abbattuto” d’ufficio dopo (se non ricordo male) 3 minuti di CPU consumati. Per avere più CPU a disposizione era necessario farsi dare un’utenza specifica che andava richiesta alle competenti autorità.

Un terminale (terminale, eh, non PC) interattivo era una cosa che possedevano in pochi, avere uno spazio disco dove conservare i propri dati era un’idea da iperuranio, ed in generale le risorse di calcolo erano preziose, perché scarse. Oggi siamo abituati ad avere un iPad con 32GB di RAM, e qualcuno mi dice “ma… solo 32 giga? non li saturi subito?”. Quando sento cose del genere mi torna prepotentemente in mente il ricordo del VAX/780 (fabbricato da Digital Equipment Corporation) con il quale lavoravo nell’azienda dove ho iniziato. Era considerato un prodigio di modernità, ed aveva una RAM di 64KB (K, kilobyte, non mega o giga) e due dischi Winchester da 20MB (M, megabyte, non giga o tera). Ci lavoravamo in una ventina di persone…

Nessuna meraviglia quindi che si guardasse all’informatica, e specificamente al processo di produzione del software, come ad un qualcosa di artigianale. All’università ci insegnarono il FORTRAN, linguaggio usato nelle applicazioni scientifiche, mentre per le robe gestionali c’era il COBOL (inutile dire che tra cobolisti e fortranisti non correva buon sangue, i primi guardavano ai secondi con compassione pensando a quanti soldi muoveva il cobol, i secondi guardavano ai primi con malcelato disprezzo per la semplicità intrinseca dei programmi scritti in cobol confrontata con la maestosa complessità dei programmi fortran).

In questa consapevolezza di artigianalità si iniziò a parlare di Ingegneria del Software, il cui obiettivo era di gettare le basi per rendere lo sviluppo del software un processo industriale. Un certo James Martin, scrivendo libri e tenendo seminari sull’argomento, ha accumulato talmente tanti soldi da riuscire a comprarsi un’isola alle Bermude, dove tuttora vive. Per dire che l’argomento suscitava un interesse spasmodico per tutte le aziende del ramo, che allora nascevano come funghi. Il principale obiettivo dell’ingegnerizzazione del processo non era, come si potrebbe pensare, rendere il prodotto finale meno costoso, e quindi più profittevole. Per quanto possa sembrare strano, in quegli anni giravano talmente tanti denari che i costi non costituivano un problema. Il problema era star dietro alla domanda. Non si riusciva a fare abbastanza rispetto a quanto chiedeva il mercato. Avendo un buon prodotto, guadagnare quote di mercato era una bazzecola. Si iniziava appena ad intravvedere quale potenzialità avesse l’informatizzazione. Non solo sul piano squisitamente gestionale ma anche come ausilio a processi di produzione, cominciavano ad arrivare le prime workstation con programmi di impaginazione editoriale, ad esempio.

Cavalcare quest’onda era solo apparentemente facile. Ho visto piccole aziende nascere, crescere e diventare grandi aziende. Ma ho visto anche parabole velocissime di nascita, crescita e collasso. In quegli anni fu coniato il termine “professional” per definire un impiegato che aveva una professionalità spinta, richiesta dal mercato, e che quindi doveva essere considerato e trattato adeguatamente, sia in termini squisitamente monetari e carrieristici, sia soprattutto in termini di mansioni: ad un professional non si dovevano assegnare dei compiti ma degli obiettivi.

Eravamo considerati dei guru dai nostri clienti. Sacerdoti che si recavano da loro a celebrare gli antichi misteri. Che arrivavano e miracolosamente risolvevano problemi apparentemente insolubili, che facevano funzionare meglio, a volte incredibilmente meglio, il sistema esistente.

E anche questo non fa meraviglia, visto che, come detto, si trattava di processi artigianali. Ed in forza dell’artigianalità i problemi, i crash, i blocchi improvvisi, erano all’ordine del giorno. E ricordo un numero indefinibile di notti passate a sistemare, aggiustare, provare, verificare, riprovare, rifare daccapo. Cambia quel parametro, aggiusta quell’altra cosa, sistema quello, smonta quell’altro.

Bene. Tutto questo accadeva trent’anni fa. E oggi?

Oggi, come ho avuto modo di realizzare compiutamente la scorsa settimana e nella giornata odierna, non è cambiato proprio niente.

Siamo artigiani, il processo di produzione e gestione di sistemi software complessi è totalmente artigianale, e non c’è salvezza. Mi piacerebbe qualcuno avesse inventato un comando “whatschanged”, che listasse automaticamente tutti i cambiamenti del sistema, ma una roba intelligente, che vada a indagare sui parametri di sistema, sulle relazioni che ci sono tra i vari parametri, ed evidenzi le incongruenze. Perché la storia dei parametri è come in tante situazioni, alzi un parametro per migliorare qualcosa ma non alzarlo troppo ché se no risolvi un problema e ne crei un altro. E se alzi x devi forse anche cambiare y perché altrimenti si scassa qualcos’altro.

E poi ti imbatti in una conferenza come questa di Kevin Slavin che riporto qui sotto (a proposito, TED è un sito e un concetto che suggerisco a tutti di andare a capire; nessun timore sono tutti video sottotitolati in quasi tutte le lingue del mondo; basti sapere che il sottotitolo del sito è “Ideas worth sharing”, idee che vale la pena di condividere). Grazie a Giovanni Scrofani e a Gilda35, il post lo trovate qui.

Qui si parla di algoritmi che vanno a cercare ottimizzazioni da microsecondi, e a volte nanosecondi. Tutti prodotti artigianalmente. Tutti prodotti a manina come un muratore che tira su un muretto con la sua malta, la cazzuola, e non ha altro che un filo a piombo per capire se sta tirandolo su diritto. Ecco, il problema è che questo muretto tirato su all’antica deve sostenere l’economia mondiale. Perché gli algoritmi di cui si parla nel video sono quelli usati dai grandi investitori istituzionali per comprare e vendere sui principali mercati azionari.

E quello che da addetto ai lavori mi sento di condividere è che la perfezione non esiste, e anche l’algoritmo più efficace, più astuto, più testato, può avere un cedimento, un bug (vedi storia di Poste Italiane). E poi possono verificarsi fattori imponderabili, imprevedibili. Qualcuno che cambia il parametro x e si dimentica di cambiare y. Lì per lì non succede nulla ma poi, magari dopo una settimana, scoppia tutto, e una batteria di tecnici sta a rompersi la testa per una-due settimane per capire cosa è successo. O magari per uno-due giorni. Ma quando si spendono giorni su un sistema “normale”, si riesce a venirne fuori con qualche nottata e un po’ di schiaffi presi dal cliente, nel caso in cui si stiano influenzando i destini del mondo si rischia di non uscirne proprio fuori, o di fare dei casini irreparabili.

Non so veramente come concludere, forse la conclusione è che non bisogna mai riporre troppa fiducia, o meglio fiducia cieca, nella tecnologia. Perché in fondo alla base della tecnologia c’è sempre la fallibilità umana.

27 pensieri su “Artigianato della tecnologia

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      1. Wish aka Max Autore articolo

        Urca! Grazie per la segnalazione, ho sistemato. Ora siamo sul fuso di Roma, ed è sufficientemente intelligente anche da accorgersi che abbiamo l’ora legale. Cmq lavori troppo… non è che usi la scusa del lavoro che nobilita per andare in giro a far danni con qualche bella fanciulla? 😀 😀 😀

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  2. angyerry

    Buongiorno Max, ieri, quando ho letto il post, oltre a fare un semplice like ai miei neuroni non ho potuto chiedere di più, ma stamattina voglio innanzitutto ringraziarti nuovamente di questi post così interessanti 🙂 la mia prima esperienza informatica l’ho avuta a 4anni con un Commodore 64 , 🙂 seduta sulle gambe del mio papà a giocare a space invaderà o ad un gioco di guerra aerea , che, se non mi sbaglio, si chiamava “Mosca “(?) 🙂 … Comunque poco tempo fa dono corsa in libreria a comprare un libro di storia dell’informatica , dopo essere stata letteralmente fulminata dalla scoperta dell’esistenza di un calcolatore MECCANICO!!!!!!!! DELL’INIZIO DEL 900!!!!! Questa specie di macchina da scrivere in grado di fare meccanicamente addizioni e sottrazioni. Manifestando il mio sommo stupore a mio padre e all’ingegnere possessore di questa meraviglia, mi hanno sconvolta ulteriormente dicendomi che ne esistevano modelli in grado di fare moltiplicazioni e divisioni, MECCANICAMENTE. Riflettendoci su sono riuscita a immaginare a grandi linee come potesse fare operazioni a due cifre semplici, ma non riuscivo a capire come facesse a fare il riporto, guarda, sembreró malata di mente, ma non ci stavo dormendo la notte… Perché si, ho un’iphone, un pc, internet, , quindi cerco di capire come utilizzarli, mi tengo aggiornata, ma il perchè riescano a funzionare e a fare cose così mirabolanti non cerco nemmeno di chiedermelo, perchè so che è al di fuori delle mie possibilità di comprensione. Ma questa macchina, ad occhio così”semplice” si che mi sembrava nelle mie corde… Ed ecco che ho dovuto cercare informazioni… E non sai il mio stupore nello scoprire che per capire il suo funzionamento dovevo comprare un “libro di informatica” , perchè l’informatica non è nata ai tempi di steve jobs o bill gates… Come da ignorantella qual’ero pensavo, ma le base l’hanno gettate gli egiziani , i greci, i filosofi e scienziati del ‘400 e ‘500, E che nel 600 si è cominciato a comporre questo grande puzzle… Di cui, tutti voi nel settore, state ancora cercando o addirittura costruendo i pezZi… Davvero affascinante…no?;)

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    1. angyerry

      P.s. Ho saltato di scrivere che la relazione tra calcolatore meccanico e l’informatica è il CODICE BINARIO!!!! Cioè questa macchina ha dentro di se tanti Cilindretti , molto simili a quelli dei carillon , con sopra cifre codificate con codice binario… Troppo affascinante …troppo 🙂 non so se ti piace Harry potter, ma c’è il padre di Ron, il sig. Wesley che collezionava oggetti “babbani” perchè affascinato da come gli umani si ingegnassero a trovare espedienti per fare cose che con la magia erano così semplici e scontate… Ecco… Questa è la metafora del mio innamoramento per questo calcolatore ;)logorroica come sempre, ti saluto e ti auguro una buonissima giornata!!!!

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    2. Wish aka Max Autore articolo

      Ma quale logorrica! Pensa che io a Calcolatori Elettronici ho studiato le memorie a nucleo di ferrite… Sarebbe complesso spiegare perché si usa il silicio, ma il problema è sempre stato quello di trovare degli oggetti che potessero essere stabili in due soli stati, rappresentativi dello 0 e dell’1 del sistema binario. Il nucleo di ferrite ha la proprietà di essere polarizzabile (una calamita programmabile in pratica) e quindi di poter essere in due stati: rozzamente, campo magnetico positivo o campo magnetico negativo. Questo è possibile grazie a una proprietà dei materiali magnetici che nella ferrite è particolarmente intensa chiamata isteresi, cioè la capacità di mantenere uno stato (averne “memoria”) sino a quando non interviene un agente a perturbarlo e cambiarlo.
      Più avanti qualcuno scoprì che con il silicio arricchito tutto questo era assai più semplice e meno costoso, e più avanti ancora che era possibile infilare tanti transistor in un unico pezzo di silicio… vabbè a proposito di logorroico… 😀

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  3. ђคгเєl

    ohsantocielo! sarà che di sti tempi son troppo stanca…ma giuro che al momento per me è tutto arabo. Comincia a stressarmi il pc…il telefonino…quasi quasi torno alle vecchie cartoline e a disegnare con le squadrette! Il pensiero finale mi pare giustissimo….in fondo ciò che abbiamo sottomano è frutto del cervello umano..quindi niente di assolutamente perfetto. Però apprezzo molto chi per passione sta dietro una macchina e ci studia, monta smonta, crea, fa esperimenti più o meno azzeccati…solo che mi chiedo se oggi non si sta diventando un pò troppo tecnologici. Io ricordo mio fratello da ragazzino col saldatore in mano e schemi di cose per me indecifrabili… ora lo vedo con portatili , o cellulari smontati messo li a “studiare come sistemare” e per me resta comunque arabo eh!!!! e resto legata a cose anti-tecnologiche forse per questo. I nuovi software a volte mi spaventano..sono una giovane vecchia mi sa…nun c’ho speranza!!! 😀

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Mi spiace che sia arabo… mi piacerebbe fare dei post “divulgativi”, non perché io sia (come detto nel post) un “sacerdote che celebra i sacri misteri”, ma perché credo sinceramente che molti concetti siano alla portata di chiunque abbia la pazienza di sedersi e ascoltare una storia da un “nonno” (cito il buon Pani ;)) che ha avuto la ventura di vivere determinate sensazioni in certi anni. Se mi dici cosa ti rimane più ostico, sempre che ti interessi approfondire certi argomenti, sarò lieto di rispondere e/o di pubblicare post specifici sugli argomenti che ti interessano.

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    1. ђคгเєl

      ahahah Tizi,..tu peggio di me???? io mi chiedo ad esempio, pur essendo inesperta in materia. perchè qualcosa che viene prodotta in serie, un pc, un cell…debba costare così tanto. ora..capisco il lavoro “da artigiano” che può fare un tecnico…soprattutto nel risolvere un problema…ma quando una cosa va in produzione, e non parliamo di pezzi unici, perchè deve avere un costo esorbitante?
      cmq resta di fatto che io un corso di informatica serio lo dovrei fare…anche se di solito non sono mai andata nel panico da “rottura pc” …o affini 🙂 …solitamente se una cosa non capisco perchè accade mi fiondo su google e vado alla ricerca della soluzione al mio probela 😛

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      1. Wish aka Max Autore articolo

        Rispetto ai costi, ci sono componenti oggettivamente costosi. In più ci sono i costi di progettazione (ricerca e sviluppo) che devono essere assorbiti dal prodotto. Aggiungi i costi di pubblicità, e il resto è il margine dell’azienda. D’altra parte se pensi ad un’azienda come Apple che ha dei bilanci con utili spaventosi, è intuibile come il prezzo del bene non sia un freno al suo acquisto. Se vuoi un aifon, pagando 30 euro al mese a Tre te lo porti a casa. E nei 30 euro c’è il traffico prepagato. Quindi, se il tuo traffico mensile è mediamente quello (300 minuti, più o meno) di fatto l’aifon te lo porti a casa a costo zero. L’operatore ha la sua convenienza perchè prende l’aifon a prezzi fortemente scontati e incassa del traffico che gli costa sicuramente meno.

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  4. yliharma

    siamo davvero piccoli artigiani, per questo è un lavoro che mi piace: mi piacciono i mestieri in cui produci qualcosa di concreto mettendoci del tuo, con la tua “firma”, il tuo marchio inconfondibile.
    perché il bello della programmazione è che non c’è un solo modo di fare una cosa: ce ne sono come minimo una decina, a volte molti molti di più: e la scelta sta all’artigiano, al suo gusto e alle sue preferenze. è ovvio che poi lavorando così escano fuori bug imprevedibili e tocca restare fino a notte a sistemare…ma che ci vuoi fare? siamo umani e quindi fallibili, il giorno in cui i programmi si faranno da soli e saranno perfetti noi non serviremo più…e io andrò a fare la contadina 😀

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Quando ti sarai stancata di programmare, cosa che capita inevitabilmente per tutti, e passerai a coprire ruoli di progettazione e/o di gestione, inizierai a maledire questa artigianalità che non ti fa capire una cippalippa di quanto successo su un certo sistema che ha fatto crollare le prestazioni riducendo l’utente ad una maschera di ira funesta… 😉

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      1. yliharma

        ah l’ira funesta dei clienti… 😀
        comunque quando mi stancherò di programmare cambierò lavoro, non mi piace progettare e nemmeno gestire il lavoro di altri…dovrò sviluppare uno dei miei numerosi (ma ancora molto “fumosi”) piani B 😉

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  5. gluci77

    Ci sono, eh!!! Ho letto con attenzione il post e tutti gli interessantissi commenti… Prendo appunti… Capisco… E trovo l’argomento stimolante. Casualmente sto leggendo proprio in questi giorni la biografia di Jobs…

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      E di nuovo tanti auguri!
      Su Jobs ci vorrebbe un’enciclopedia… un visionario. Questa è la definizione che più calza, secondo me. Ha avuto l’intuizione di capire delle cose con un anticipo ENORME. E sì, a volte ha “creato” dei “bisogni”, ha contribuito a sviluppare i bimbi minkia, però da addetto ai lavori non posso non apprezzare degli oggetti che sono una spanna sopra gli altri. E non mi riferisco tanto agli aifon, quanto ai Mac, fissi e portatili. Al McBook AIR, ad esempio, con dischi solid state che consentono di ridurre il rischio di rottura e perdita dei dati. Una piccola genialata che per chi con questi oggetti ci lavora è molto, molto apprezzata.

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  6. gluci77

    L’Ingeriminese – che in questi anni ha maturato una vera e propria venerazione per la sua figura e per i suoi prodotti – mi ha stimolata ad informarmi. Mi ha comprato il libro e mi ha detto che poteva essere uno spunto efficace per accostare un’ umanista curiosa, un’appassionata di arte e design come me ad un mondo – quello dell’informatica – che mi ha sempre un po’ intimorito. Ammetto che prima del clamore provocato dalla sua malattia e dalla sua morte prematura non sapevo nulla nè di lui nè di quello che ha saputo creare. Sto leggendo e sono affascinata. Ci sono tratti della sua personalità che mi disturbano, ma non si può negare il suo genio.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Vabbè. Allora proprio è inutile. Uno si sgola, cerca di aprire la mente alle persone, e niente. Come fai a chiedermi quante uova ci vogliono scusa??

      NON HAI CAPITO CHE E’ UNA RICETTA VEGANA?????

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