Amsterdam: diario di viaggio

Sono disordinato, perdo tutto, non ricordo mai dove metto le cose. Forse per questo non ho mai avuto l’abitudine di tenere diari, scrivere, ricordare. Perché inconsciamente sapevo che li avrei persi. Ma la mia amica e collega, l’informatica per caso, per capirsi, (che se legge queste righe si dovrebbe sentire orrendamente in colpa per non avermi ancora mandato il profilo da inserire nel suo sequentur blog), la mia amica, dicevo, mi ha mostrato un paio di diari di viaggio, che lei tiene sistematicamente ogni volta che parte, e questo, insieme con la consapevolezza che mi si mischiano i ricordi e confondo Berlino con Praga, oltre a non ricordare quasi nulla in assoluto, mi ha fatto venire la voglia. E ho pensato che il blog è il posto migliore per tenere questi ricordi. E’ molto più ordinato lui di me. E soprattutto ha il magico “search”, che mi risparmia dal dover classificare/catalogare/decidere una struttura/ecc.

Gli appunti di viaggio sono stati presi con Evernote, da bravo sostenitore del Cloud non potevo esimermi. Come non potevo esimermi dal partire con tutti gli aggeggi. Che si sono rivelati risolutivi in almeno un paio di occasioni, ritrovando la bussola con le mappe in un caso, e trovando un negozio specifico in un altro. Ad Amsterdam c’è il wifi gratuito praticamente ovunque.

Ah, una nota di servizio. E’ un diario di viaggio e basta. Non un racconto con finale a sorpresa.

26 ottobre

Mannaggia a me e al mio spirito Shylockiano!!! Devo rassegnarmi all’idea che quello che facevamo vent’anni fa con disinvoltura non lo possiamo più fare. Avevo pensato di sfruttare al massimo i quattro giorni, per cui ho prenotato i voli presto la mattina all’andata e tardo pomeriggio al ritorno. Ma partenza alle 6.30 con una compagnia low-cost significa stare in aeroporto due ore prima, alle 4.30. Sveglia ore 3.30, il taxi è prenotato per le 4.15. Io sono in stato semi-comatoso, Carla (che sarebbe Virna ma insomma meglio chiamarla col suo nome) peggio di me perché ha dormito praticamente un’ora si e no. Ci muoviamo nel buio e nel silenzio della città deserta, il traffico è inesistente e in venti minuti siamo in aeroporto. Lì ci aspetta una brutta sorpresa. Siamo partiti con due trolley che sono al limite delle misure indicate dalla compagnia, ma la mia tranquillità è che in un viaggio precedente, con la stessa compagnia, gli stessi trolley sono passati tranquillamente. Ma da quella volta la crisi è aumentata, e quindi il volo low-cost si trasforma immediatamente in volo di linea, grazie all’obolo di 50€ a trolley. Voglio “fammela pijà bene”, nonostante la hostess di terra incapace che ci mette dieci minuti di orologio a passare la carta di credito, per scoprire solo all’ultimo che la compagnia non accetta Amex e chiedermi la Visa. Saliamo a bordo e per fortuna i posti sono numerati, niente assalto di Fort Apache “a li mejo posti” come accade in un’altra compagnia che detesto.

Due ore di volo, sembra niente, specie se si è attrezzati con Kindle al seguito che aiuti a prender sonno e recuperare un po’. Ma se tre file più avanti c’è una comitiva di napoletani ululanti (che quasi fanno venir voglia di dire “quando è troppo è troppo”) il sonno è precluso.


Arrivati a Schiphol ci rechiamo immediatamente all’ufficio turistico, e acquistiamo le carte “I Am sterdam”, che ci daranno accesso gratuito al sistema di trasporti cittadino e ad un importante numero di musei. I collegamenti dall’aeroporto alla città sono spettacolari (mica è Roma!), e noi abbiamo preso un albergo nella parte sud di Amsterdam, per cui ce la caviamo con appena 10 minuti di treno che ci porta a Zuid (che si pronuncia Saut, e che
vuol dire sud, come mi ha spiegato l’impiegata lasciandomi a bocca aperta mentre pensavo a South) Station. E da lì poche centinaia di metri ci portano all’hotel. Lasciamo i bagagli e ci rechiamo in un mercato relativamente vicino all’albergo, un chilometro di strada pieno di bancarelle. Ne approfitto per munirmi di guanti e cappello, ché i miei sembravano quelli di Dan Aykroyd in “Una poltrona per due”. Le biciclette sono anche predisposte per trasporto bimbi, ma non col seggiolino, con la culla! (mi spiace per la foto sfocata)

Finito il giro del mercato prendiamo il tram e scendiamo a Museum Plein, una piazza dove si affacciano tre musei importanti, lo Stedelijk (arte moderna), il Rijksmuseum (arte fiamminga, enorme), e il Van Gogh, chiuso per lavori sino ad aprile 2013 (le principali opere sono disponibili all’Hermitage). Il Rijksmuseum richiederebbe un’intera giornata, e Carla non è nel mood per trascorrere una giornata intera a vedere pittori fiamminghi, vorremmo però vedere lo Stedelijk. La coda è immensa, nonostante siano appena le 10. Rimandiamo a dopo, e ci facciamo una passeggiata nelle vicinanze. Passiamo davanti al museo dei diamanti, lo visitiamo e scopriamo che ci dà diritto ad entrare nell’adiacente fabbrica di diamanti. Lì ci sono tagliatori e fresatori che effettivamente stanno tagliando e levigando diamanti, non c’è nessuna guardia armata, né particolari protezioni tipo porte blindate o caveau. La visita è ovviamente uno specchietto per allodole per tentare di vendere. La nostra guida è un ucraino che parla un buon italiano, con noi ci sono due milanesi molestissimi, specialmente lei. A un certo punto chiede all’ucraino “Conosce mica la gioielleria Piripacchio di Porto Cervo?” Lui la guarda come si guarda un alieno, e lei incalza “E Piripicchio di via Montenapoleone?” Lui tenta di spiegare che tratta con i grossisti e non con le gioiellerie ma si rende conto che è fiato sprecato e glissa. Inizia a mostrarci diamanti come se non ci fosse un domani. Arriviamo a visionare pietre da 200.000 euri, che fanno abbastanza impressione.

Per pranzo capitiamo in un negozio di mobili e articoli di arredamento che fa anche ristorazione, io mangio una deliziosa zuppa di zucca e Carla un panino con formagigo di capra, zucca e noci.

Dopo pranzo andiamo allo Stedelijk. Bellissimo museo, con tantissimi locali, pieno di
famiglie con bambini. Perché in Olanda la cultura la si insegna in casa, e da piccoli. Così quando si diventa grandi si ha il piacere automatico di andare per musei. Un dipinto di Roberto Matta, How-Ever, mi ha colpito tantissimo. Sembra un sogno di Stephen King.  Poi per carità, ci sono anche cose che ci si poteva risparmiare. Questa “opera” è una lista di numeri scritti in lettere uno dopo l’altro. Ci riusciva anche Cesare, il mio gatto. Anzi forse lo faceva meglio.

All’arrivo in hotel, un tragedione da stanchezza. La stanza è particolare, con un design particolare e delle scomodità intrinseche, tra cui l’assenza dell’armadio, solo parzialmente compensato da un grande cassettone sotto il letto, e niente finestra apribile. Sembra quasi di stare in una cabina di una nave della Costa Crociere. Dopo aver appurato che non esistono camere differenti, ci rassegniamo e Carla crolla a dormire, la stanchezza prevale.

27 ottobre

Risveglio pigro, con uscita alle 10 passate. Andiamo in tram fino alla Stazione Centrale, edificio tra quelli che ci eravamo ripromessi di visitare. Dobbiamo tra l’altro acquistare uno spazzolino da denti per me e un paio di ciabatte per Carla, dimenticati a Roma. Le ciabatte, insieme con la farmacia (dovrei prendere dell’advil, ho parecchio mal di schiena) diventano la caccia al tesoro della giornata.

La Stazione Centrale è un bell’edificio sette-ottocentesco, con soffitti alti e molto arioso, entrando non è difficile immaginare l’arrivo di qualche nave e di qualche treno che scarica i passeggeri impressionati da tanta imponenza.

Approfittiamo del posto per imbarcarci e fare il giro dei canali in battello, disturbati per tutto il tragitto da una comitiva di tedeschi: otto galli e otto galline disposti quattro a quattro (maschietti con maschietti e femminucce con femminucce, rigorosamente) che facevano casino più di una intera classe di liceali. Molto bello comunque, bella la storia dell’espansione verso ovest con costruzione di tre canali paralleli e case principesche lungo le rive, belle le chiuse (si dice sea-locks in inglese, non ci avei mai pensato), bello l’Amstel, belle le house boats, ce ne sono 2.500 e pare sia un problema limitarle.

A seguire ci concediamo una passeggiata in centro, dove le introvabili pantofole alla fine si disvelano in un enorme mall organizzato tipo Rinascente; nel reparto biancheria da bagno troviamo delle pantofoline di spugna da doccia che fanno al caso nostro. Il centro è molto bello, molte vie sono isola pedonale, spesso sono strette, con case variopinte tutte rigorosamente basse e in mattoni, la pavimentazione è realizzata con grandi ciottoli larghi color rosso mattone, ci sono molti negozi, e tantissimi coffee shop, tutti rigorosamente pieni di gente fatta come una pigna. Per riconoscere un coffee shop non c’è bisogno di guardare l’insegna, basta l’olfatto. Arrivano delle inconfondibili zaffate di hashish. In ogni caso c’è tantissima gente fuori a passeggio, che approfitta del tempo “buono”. Nonostante faccia un freddo becco, infatti, c’è un timido sole, che pare sia un’assoluta rarità da queste parti.

Pranzo veloce e poi a piedi sino all’Hermitage, che ospita una parte delle opere di VanGogh che non possono essere viste nell’omonimo museo, chiuso per ristrutturazione. Il famoso mandorlo, gli autoritratti, “I mangiatori di patate”, facciamo in breve tempo una “scorpacciata” di Van Gogh. Gli impressionisti sono meno coinvolgenti, un po’ inframmezzati con i classicisti e quindi per questo forse di minor impatto, ma insomma capiamoci, è sempre tutto molto bello, eh.

Poi tram e passeggiata nel quartiere a luci rosse e finalmente ho capito perché si dice a luci rosse. O meglio forse lo sapevo pure ma era in un angolo di cervello talmente remoto che non me lo ricordavo proprio. Praticamente sopra le vetrine delle signorine in esposizione c’è un tubo al neon largo quanto la vetrina che manda luce. Rossa. Believe it or not.

Ho visto cose che voi umani. Una bodrilla da almeno 160 kg, una che si è messa a ululare e insultare perché dall’altra parte del canale le stvano fcendo una foto, branchi di maschi (sicuramente non alfa) in preda ai fumi dell’alcool che vagavano con sguardo imbambolato farfugliando proposte grottesche, piú che indecenti. E poi impressionano quelle giovani. Ragazzine di 16-18 anni che giocano a fare le donne.

La sera, mentre eravamo sulla via della bisteccheria dove poi siamo andati, ci siamo imbattuti in una manifestazione pre-Halloween, con tantissima gente mascherata di tutto punto, una vera e propria sfilata degli orrori che poi abbiamo scoperto essere sponsorizzata da FOX, comprendendo contemporaneamente perché ci fossero così tanti zombies (Walking Dead).

28 ottobre

Colazione in albrego a strafogarsi, oltre ai danesi con l-uvetta (2) anche un cornetto semplice farcito col miele, ché non si sa mai, magari potrebbe far più freddo fuori.

Prendiamo il fidato tram 5, compagno oramai delle nostre escursioni, e ci dirigiamo verso i canali, con l’intento di visitare la casa di Anna Frank, che abbiamo appreso ieri essere stata trasformata in museo solo recentemente, grazie agli incassi di “Schindler’s list” di Spielberg. La fila quando arriviamo e’ allucinante, credo siano non meno di due ore. Il problema e’ che l-‘houseboat museum, l’altro che abbiamo in programma, non apre prima delle 11. C’è un museo dei tulipani, facciamo una visita rapida (anche perché sono tre salette tre) e apprendiamo i segreti della coltura intensiva del tulipano, scopro anche che esisteva una borsa dei tulipani e che c’è stata una bolla speculativa, quante cose sicuramente studiate a scuola finite nel dimenticatoio… Usciti dal “museo” ci rimane tempo per una passeggiata sui canali. I canali della parte Ovest, che sono stati realizzati nel 700 piu’ o meno, quando ci fu l’espansione verso ovest. L’architettura della zona è deliziosa, nonostante nessuna casa abbia balconi e siano tutte rigorosamente attaccate le une alle altre.

Poco prima delle 11 arriviamo davanti al “museo” che in realtà non è altro che una houseboat aperta al pubblico. Scopriamo che le houseboat sono usate sin da qualche secolo fa. Addirittura nel 700 si viveva nella sola parte sotto il pozzetto di poppa dove erano ricavate due cuccette nelle quali era necessario infilarsi con i piedi in avanti; oltre a questa comoda zona notte nei pochi metri quadri davanti alla stiva era ricavata la zona giorno, con cucina e “salone”. Niente bagno, solo un secchio. Vabbè, si parla della fine del ‘700. In tempi moderni, da quella che era la stiva sono state ricavate, dopo che la barca ha smesso di essere usata come barca, la cucina, un saloncino, e una zona gioco per i bambini dove si può disegnare e fare giochi da tavolo. Ovviamente c’è un bagno, con tanto di box doccia e tutto quanto serve. La riflessione è che deve essere molto bello viverci. Tra l’altro ci sono anche i termosifoni, in salone c’è una stufa a legna che scalda l’acqua del circuito e una piccola pompa che la invia ai radiatori. Nel pozzetto di poppa, accanto al timone, c’è una verandina con delle poltrone, dove quando c’è il sole ci si può accomodare. Tanto è ambito, questo tipo di vita, che ci sono circa 2500 barche adibite a casa oggi. E le richieste sono in continuo aumento.

Pranzo frugale in centro, e poi nel pomeriggio passeggiata dalle parti di Spui, dove c’è un mall in un edificio di cristallo. Al quarto piano c’è un ristorante panoramico dalle cui vetrate si vede tutta la città. Nelle immediate vicinanze un mercato d’arte: quadri, sculture, oggetti di design.

Cena sempre da quelle parti, in un posto che sembrava tipicamente olandese ma che si è rivelato il solito bistrot/brasserie/caffetteria. Ho dovuto arrendermi all’evidenza che l’equivalente olandese di “trattoria” non esiste. D’altra parte non mi sembra che gli olandesi siano esattamente famosi per la loro cucina. A parte l’aringa, che poi è più norvegese, e il salmone, idem con patate, non ho ravvisato piatti e sapori tipici neanche nei posti più centrali.

29 ottobre

Ultimo giorno, nella prima mattina ci infiliamo in un supermercato per fare incetta di formaggio. Il formaggio locale è il gouda, ma contrariamente a quanto accate in Italia, dove si trova di norma una varietà soltanto, qui non c’è che l’imbarazzo della scelta. Innanzitutto sulla stagionatura, e poi sulla speziatura. Alla fine usciamo con tre chili di formaggio.

Dopo una sosta in albergo per preparare i bagagli torniamo verso il centro. La carta “I amsterdam” è scaduta, tentiamo nuovamente il museo di Anna Frank, ci mettiamo anche in fila, ma poi sentendo in giro ci rendiamo conto che la fila dura piú di due ore. Nonostante l’interesse, riteniamo che due ore spese in fila siano troppe, e ce ne andiamo a passeggio. Scopriamo anche il vero clima di Amsterdam, e ci rendiamo conto che aver avuto tre giorni filati di sole è stata una condizione del tutto eccezionale ed estremamente fortuita. Avevamo infatti letto prima di partire che il tempo ad Amsterdam ricade in tre categorie. Piove, sta per piovere, è appena finito di piovere. E in realtà l’intera giornata va così, anche se gli olandesi sembrano non accorgersi della pioggia, continuano imperterriti ad andare in bicicletta e a piedi a volte senza neanche coprirsi la testa. E a proposito delle biciclette, più di qualche volta abbiamo rischiato di essere falciati. Praticamente nelle immediate vicinanze del marciapiedi c’è SEMPRE una pista ciclabile, il che significa spesso anche sul marciapiede stesso. Ed è come se fosse la strada, anche perché le bici viaggiano mediamente a 30 km/h, quindi si dà per scontato che i pedoni non le occupino. Le bici sono tantissime, ci sono vari punti in città dove sono stati costruiti appositi parcheggi riservati che occupano migliaia di metri quadri, proprio come i parcheggi auto.

All’arrivo in aeroporto non resistiamo e ci compriamo una confezione da 10 waffels e  una di pastiglie Droste all’arancia e ce li mangiamo come se non ci fosse un domani. 10 waffel fanno 400 grammi. Solo per la cronaca.

Il ritorno in patria è sancito dall’immancabile applauso al momento dell’atterraggio. Che mi sa che è un’altra di quelle cose che facciamo solo da noi. Un po’ come se quando faccio firmare al cliente un verbale di collaudo gli astanti si alzassero in piedi e mi applaudissero fragorosamente.

Bello, un gran bel weekend. Amsterdam meriterebbe una visita più lunga, o un ritorno.

38 pensieri su “Amsterdam: diario di viaggio

  1. Ema

    Inutile dopo quel post, quando hai parlato di comitiva sull’aereo pensavo ad un effetto a sorpresa.. 🙂
    Grazie per aver allietato la serata col tuo racconto!

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      1. Wish aka Max Autore articolo

        Eh sì, anche nel suo accrescitivo adorabile “bodrillona”, che paradossalmente è meno “enorme”. Perché bodrillona è quasi tenero, bodrilla è debordante. (esegesi del romanesco, cfr “I Bassifondi della Capitale”, ediz adelphimicacazzi)

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  2. ђคгเєl

    ahahh…mi hai fatto ridere quando hai scritto che per certe cose non hai più l’età…o na roba simile! La cosa informatica-tecnologica che hai usato per prendere appunti ovviamente non la conosco 😀 Ma al mercato che hai comprato??? hai solo girato o mi sono persa qualche passaggio dove illustri gli acquisti? ( essendo notte il sonno può farmi scherzi!!) Bellissima la foto di tua moglie…vvero: bellissima tua moglie! E c’è una foto tu dove sembri a Venezia! 😛
    …e cmq si…mi sa che l’applauso lo facciamo solo noi all’atterraggio!! ahahahah

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Non so che è successo perché sono SICURO che avevo risposto ma la risposta se l’è mangiata uorpress, il maledetto!!!
      In buona sostanza dicevo che un pochino ho girato, e ti garantisco che lo facciamo solo noi. Gli stranieri ci guardano attoniti (se è la prima volta) o con sguardo carico di commiserazione, se già avuta l’esperienza…

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  3. Lina

    Non sono mai stata ad Amsterdam e dubito di poterci andare a stretto giro ma…il tuo racconto sponsorizza bene la città.
    P.S.
    Mi sono sempre chiesta anch’io se l’applauso al pilota lo facciamo solo noi…prima o poi mi documenterò al riguardo!
    Buona giornata Max!

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Solo noi, Lina. Un po’ di mondo l’ho girato, e finora non ho mai riscontrato altri casi. E anzi, ogni volta vedo facce di stranieri che mostrano sorpresa (se è la prima volta che gli capita) o commiserazione. Una delle millemila peculiarità da far rientrare nella categoria “ahimé” di questo paese.

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  4. Luci

    Bella l’idea del diario, soprattutto perchè è condiviso con noi! Ogni volta che parto per un viaggio nella mia borsa non mancano macchina fotografica e un piccolo quadernetto… non scrivo delle vere e proprie cronache, ma giorno per giorno segno le cose più importanti, quello che mi ha colpito, talvolta faccio pure qualche disegnino… Il più bello è senza dubbio quello che abbiamo realizzato insieme io e l’Ingeriminese in viaggio di nozze…ne è venuta fuori una cosa spiritosissima perchè lui è un vignettista nato, così quando lo rileggiamo ci ritornano alla mente tutte le cose più divertenti e assurde che ci sono capitate!

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Ecco l’idea è più o meno quella, avere qualcosa che mi ricordi i viaggi. Peccato non averci pensato prima, molte, moltissime cose sono perse nei meandri della memoria, e si confondono una con l’altra.

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      1. Lina

        Pensavo di essere una delle poche “smemorandine” che confone gli episodi e le situazioni nei vari viaggi.
        Vedo, invece, che sono in buona compagnia.
        E che compagnia…

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  5. elinepal

    Che bel weekend! Mi ha fatto effetto leggere il tuo diario, perché mi sembra di aver fatto quasi gli stessi giri quando andai annida. Tranne che abitavo a casa di un’amica praticamente di fronte alla casa di Anna Frank, che ho visitato. E ricordo ancora l’emozione intensa. Grazie Max!

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