C’è un posto

C’è un posto.
C’è un posto che non so dov’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è dove ci sono storie.

Ieri sera ho finito di scrivere un racconto. Lo pubblicherò più tardi. E’ un racconto che è nato pensando a kuroko e ai suoi disegni. kuroko mi ha colpito una volta, quando ha disegnato il buco. Lo ha disegnato esattamente come io lo avrei visualizzato se fossi capace di visualizzare chiaramente le immagini e non le parole. E se io avessi, oltre alla capacità di visualizzare nitidamente quella specifica immagine, anche quella di riportarla su carta, se io fossi capace a tenere una matita in mano, io avrei disegnato esattamente quello. Perché è successo? Io avevo la sensazione che kuroko fosse in grado di leggere tra le righe, di “penetrare” i miei scritti con una specie di supervista, e rendere in immagine ciò che io faccio con le parole. La cosa singolare è che si è verificato anche il viceversa. Più di qualche volta guardando i suoi disegni ho pensato a delle cose, ho visto degli elementi, ho fatto delle riflessioni, e ne ho scritto sul suo blog. Riflessioni a cui kuroko non aveva pensato mentre era lì che disegnava. Ma che riconosceva sue. Proprio come io ho riconosciuto mia l’immagine che kuroko ha disegnato.

E siccome mi piacciono le immagini di kuroko, perché le trovo pacificatrici ed inquietanti allo stesso tempo, mi sono messo in testa di scrivere qualcosa che avesse a che fare con queste visioni. E ci siamo scambiati un po’ di email. Abbiamo parlato, abbiamo scambiato. E ho iniziato a scrivere. E poi mi sono “bloccato” ad un certo punto, ho scritto di getto la prima parte, perché era più “mia”, più familiare, un terreno consueto. E poi non riuscivo ad andare avanti. Un po’ perché è un periodo un po’ così. Sta di fatto che scrivevo una riga e la cancellavo, poi dieci e le cancellavo, poi magari riuscivo a mettere giù una frase e salvavo e chiudevo. E ho riparlato con kuroko, avevo delle idee ma erano confuse. E poi evidentemente sono tornato in quel “posto”. Ci sono andato, senza rendermene conto, e lì c’era la storia. C’era la conclusione. E non lo sapevo che sarebbe andata così. Ero davanti al mac ieri sera, e cercavo di buttare giù una frase, quando a un certo punto ho iniziato a ticchettare furiosamente. E scrivevo e non sapevo cosa sarebbe successo dopo. Mentre scrivevo la storia si dipanava. E ho finito il racconto. E kuroko ha detto “in alcuni frasi becchi gli Ombromini, come li vedo io”. Ed è lei che ha tirato fuori l’idea del “posto”. Il posto delle storie, il posto delle visioni, il posto delle idee. Il posto. E basta. E mi piace pensare che in questo posto ci sono tanti posticini. E ciascuno ha il suo. Ma a volte si riesce a “sconfinare”, e andare nel posticino del vicino.

Ieri parlavo di entanglement. Che non saprei neanche come tradurre. E’ una di quelle parole imparate leggendo in inglese. Che le derivi dal contesto nel quale sono state scritte. E capisci il concetto che sottendono. Lo comprendi profondamente al punto che non sai trovare una parola che vada bene. Entanglement è un concetto di aggrovigliamento, di connessione stretta, di relazione strettissima. Empatia? Vogliamo osare? Come fanno due elettroni a essere “empatici”? Eppure lo sono. E questo filmato lo dimostra. Mi scuso, è in inglese, provo ad abbozzare una traduzione sotto.

“Due oggetti, due elettroni creati insieme, sono legati (empatici). Spediamone uno all’altro capo dell’universo. Ora, facciamo qualcosa a uno dei due. L’altro risponderà istantaneamente. Istantaneamente. Quindi, delle due l’una. O l’informazione sta viaggiando a velocità infinita, oppure, nella realtà, loro (i due elettroni) sono ancora connessi. E sono… legati (empatici). E siccome ogni cosa era legata al momento del Big Bang, questo significa che ogni cosa si sta ancora toccando. Lo spazio è solo un costrutto che ci dà l’illusione che esistano oggetti separati… (siamo già abbastanza giù nella tana del coniglio?)”

Ecco. Il posto di cui parlo mi fa tanto pensare all’entanglement. E mi scuso se insisto nell’usare il termine ostrrogoto, ma come detto, con tutto l’amore che ho per l’italiano, non esiste una singola parola che abbia la stessa forza di “entanglement”. Penso all’entanglement quando penso che gli Ombromini sono la stessa cosa, in quel posto, per me e per kuroko. Solo che io li scrivo e lei li disegna. Io li ascolto magari, e lei li vede. O io in quel posto leggo un libro sugli ombromini, mentre kuroko vede un film sugli ombromini. E accanto al posticino degli ombromini c’è il posticino del clown di Iaia. E magari un giorno riesco ad andare anche lì

C’è un posto.
C’è un posto che non so dov’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è dove ci sono storie.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è dove ci sono storie e io ci sono stato.

38 pensieri su “C’è un posto

  1. 黒子 くろこ kuroko

    non ci provo neanche a tentare di spiegarlo. ci sono una serie di piccoli elementi proprio ora che ho letto, che ho appena disegnato, che c’è la musica e una candelina e la luce del sole non mi acceca e. un foglio scartato il tè, l’uvetta finita e una banana che forse non la mangio.
    e quella è una filastrocca ma non è una cosa stupida. le filastrocche sono la cosa più difficile da scrivere. perché pensiamo che basti sparare una cazzata e metterci qualche rima o qualche giochetto di parole. invece le filastrocche “fatte bene” racchiudono, sono il senso stesso, profondo e spaventosamente semplice. poche cose ci riescono meglio di complicare tutto, rendere tutto un groviglio incomprensibile, riusciamo anche ad esserne soddisfatti. e quando leggiamo una filastrocca “vera” la troviamo stupida e inutile. invece. ci sono cose che se proprio le devi dire non puoi che dirle così. semplicemente, come un gioco. i giochi sono la cosa più divertente e seria che ci sia. saper giocare è fondamentale.

    il tè è finito e la luce è cambiata. il momento perfetto si è distorto con spontaneità, come è normale che succeda. però ora ne conservo un ricordo indelebile, fisico, lo sento al centro del petto che batte dietro agli occhi.
    è una delle cose più preziose in assoluto.
    grazie.

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  2. Hariel

    è un posto dove c’è gente empatica?
    beh io ci credo all’empatia tra persone.
    Conosciute o sconosciute…a volte accadono cose che non si possono spiegare…si posso soltanto vivere. beh…siamo curiosi di leggere cosa ne è venuto fuori 🙂

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Più tardi. Prometto. Sto aspettando dei disegni. 🙂 Perché voglio che sia una cosa bella. E per renderla bella anche a chi non conosce il posticino degli Ombromini deve essere una storia illustrata bene. 🙂

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      eh un attimo eh!!! 😀 qui stiam mica a portare al pascolo le pecorelle del presepe, stiam mica qui a dar la caccia ai tacchini sul tetto, stiam mica qui a far la punta alle piramidi, stiam mica qui a fare i buchi nel gruviera… 😀 😀 😀

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      1. elinepal

        a pettinà le bambole, si dice. Tesoro tu parli ad una buddista del collegamento che esiste tra tutti gli esseri senzienti ed insenzienti? (il correttore automatico tenta di scrivere inservienti, ci sarà anche lì un motivo). Figuriamoci! ci credo, ci credo! come credo che l’attesa srà ancora lunga e posso andare a preparare la cena. Se ti ho imparato un poco a conoscere “i piccoli aggiustamenti” saranno millimetrici.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      E meno male! Perdersi è la cosa più bella che possa capitare. Trovarsi in quella zona d’ombra dove i riferimenti saltano, dove tutto è possibile ma anche il contrario di tutto è possibile, dove il bianco e il nero non ci sono più, dove forse si riesce a raggiungere uno stato coscienziale superiore dove gli opposti non hanno più senso, dove ci si sente in armonia con l’intero universo, dove l’entanglement fa veramente parte di noi, dove siamo in comunicazione con la parte più intima di noi stessi, dove riusciamo a guardarci dentro senza paura. Questo è perdersi. Per me, eh. 🙂

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Eh, sì. Ho molto pensato, proprio a questo, quando seguivo il corso su Einstein e la relatività ristretta. Ci sono cose che possono essere spiegate qualitativamente, senza entrare negli aspetti quantitativi, segnatamente matematici “spinti”, ma al tempo stesso senza nulla togliere all’efficacia descrittiva.
      Ho la sensazione che (per lo meno per quanto riguarda il nostro Paese) questa cosa sia voluta, e abbia a che fare pesantemente con la cultura cattolica della quale siamo totalmente pervasi. Un approccio di questo tipo evidentemente mette in crisi tutta la cultura dogmatica, senza però privare di una visione trascendentale. Il che, in un’ottica cattolica, è pericolosissimo. D’altra parte, se da 2000 anni sono lì, ci sarà un motivo, no?

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