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Corsa e pista

Stitch Running BikeSi può fare un parallelo tra una corsa, un allenamento di un’oretta, a più o meno 10 km/h, e un turno in pista alla media di circa 150 km/h? Quali sono i punti in comune, e quali le differenze, oltre alla velocità?

Può sembrare strano ma le cose comuni sono molte. Più di quante non si pensi. Innanzitutto corsa e pista hanno bisogno entrambe di concentrazione. Molta concentrazione. Non ci si può distrarre, anche se per motivi diversi. Se ci si distrae in pista, si va ovviamente fuori. Ma se ci si distrae durante la corsa si perde il ritmo e si fatica molto, molto di più. Il ritmo è un’altra cosa comune. In pista ci vuole ritmo, non così cadenzato come quello della corsa, che può andare a tempo di musica, ma all’interno del circuito le sequenze di curve richiedono un vero e proprio ritmo. In una chicane come la esse di Vallelunga, ad esempio, ci sono tre fasi che devono essere armonizzate con ritmo. La curva a sinistra, dove ci si butta dentro e si tiene stretto il cordolo, la parte centrale dove si sposta il peso da sinistra a destra e si “scavalca” la moto in un’unico movimento, e la curva a destra nella quale ci si tuffa puntando la corda, che non è esattamente a metà curva ma più avanti, e aprendo tutto il gas cercando equilibrio tra il tenere la moto e il lasciarla scorrere. Questi movimenti sono fortemente ritmati e devono essere eseguiti con un movimento armonico e continuo, e se il tempo non è quello giusto il risultato è pessimo. Nella corsa il ritmo è costante, e deve rimanere tale. Quando inizia la fatica, cerco di ricomporre i movimenti, che tendono a diventare svogliati, forzando le gambe a muoversi alzando le ginocchia, le braccia ad oscillare aderenti al corpo, la testa a stare eretta. Se sono in crisi profonda metto in cuffia la canzone che ha il mio ritmo giusto. Per lungo tempo è stata Good Golly Miss Molly, poi era diventata Travelin’ Band. Sì, sempre i CCR.

Il tempo. Nel senso il tempo come variabile da tenere in considerazione, il tempo sul giro in pista, il tempo sul chilometro per la corsa. Ovviamente sono un fanatico delle “frocerie”, mi scuso per il termine grossier e non politically correct, ma rende bene per indicare tutto quel set di aggeggi che non sono dei salvavita, né degli oggetti imprescindibili, ma che (per lo meno a me) aiutano molto. Gli smartphone con GPS sono stati una vera svolta per quelli come me, nel senso che si trovano tantissime app per runners che rilevano posizione e velocità, e periodicamente avvisano del tempo o dei km trascorsi, fornendo informazioni accessorie tipo media, e quant’altro. Io uso quella della Nike, anche perché è collegata ad un sito e traccia il percorso con un semplice color code per cui i tratti di percorso in rosso sono quelli più lenti, quelli verdi i più veloci, quelli gialli intermedi. Il tutto rapportato all’attività eseguita quel giorno, quindi con evidenza delle “velocità relative”. Sulla moto ho montato il cronometro a infrarossi più semplice che esista, perché del GPS non mi fido. O meglio, c’è un problema di precisione e indeterminazione che non mi piace. E d’altronde il cronometro lo si riesce a intravvedere appena giusto un momento durante il passaggio sotto il traguardo, dove si piazza la torretta che dà il segnale al cronometro a bordo. Ricevuto il segnale, il tempo sul giro lampeggia per una ventina di secondi, lasciando il tempo di guardare e vedere se è meglio o peggio del precedente. Se è il migliore si accende una piccola “b” a sinistra, e normalmente se capita mi metto a ululare dentro il casco (quando dico che faccio parte di una banda di picchiatelli mica scherzo, eh). Ma in realtà la “b” è relativa a quello specifico set di giri, diciamo che io ho in testa molto chiaramente qual è il mio tempo da battere, sino al centesimo, e quindi basta un’occhiata per capire. Intanto il primo check è sui minuti, se la prima cifra è 2 già andiamo male. Se la prima cifra è 1, allora la seconda neanche la guardo perché è 5, e vado sulla terza. Un 8 mi sta DILUDENDO, un 7 è soddisfacente, se vedo un  5 MUORO e devo andare all’OSPITALE perché vuol dire che è record…

La cosa più bella: il tempo rallentato in pista, lo stato coscienziale superiore in corsa. Le sensazioni sono molto, molto simili, ancorché come detto in situazioni totalmente differenti. In entrambi i casi si è presenti a se stessi in un modo che è molto complicato rendere a parole. Anche un logorroico come me è in difficoltà. Ho tentato di descrivere il tempo rallentato, e nel racconto “Alba quantistica” ho tentato di dare un’idea dello stato coscienziale che raggiungo, ma come detto, le parole non sono sufficienti. E in entrambi i casi, sia per la pista sia per la corsa, queste sensazioni sono arrivate totalmente inattese, e accolte con un piacere immenso. E’ come sentirsi energia pura, ma senza essere privi di corpo. Un paradosso “quantistico” degno di Einstein, con una natura di massa e di energia contemporaneamente presente nella mente in modo totalmente inspiegabile.

E infine, la cosa che maggiormente accomuna le due attività è la sensazione finale. Alla fine di una giornata, o mezza giornata in pista, sono in una specie di trance che dura sino al momento in cui vado a dormire, e per un paio di giorni mi porto dietro le sensazioni positive, incantandomi a tratti mentre ripenso a un passaggio, una curva, una staccata. Alla fine della corsa sono stanco ma carico di energia positiva e di motivazione per affrontare la giornata. E questo aspetto credo sia ciò che fa nascere la voglia di continuare.

Vallelunga mon amour

Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Era ora.

Dopo un anno quasi di stop, finalmente una giornata a Vallelunga con la motocicletta. Avevo due novità importanti da provare. Anzi tre. La prima è il codone monoposto, che ha un’inclinazione differente, e una seduta leggermente più alta, oltre a non avere la sella imbottita: c’è solo una sfoglietta di neoprene da 2 cm (e infatti oggi mi fa male il posteriore. Nota per i lettori maliziosi: non è come sembra :lol:). La seduta più alta cambia la distribuzione dei pesi e facilita l’entrata in curva, oltre a ritardare il momento nel quale il ginocchio si schiaccia contro la carena e consentire angoli di piega maggiori. La seconda novità è il gas rapido, praticamente con neanche mezzo giro di manetta si apre tutto il gas. In uscita dalle curve strette si sente più sbacchettamento, ma poter aprire il gas in anticipo è indubbiamente vantaggioso. La terza novità erano i miei 13kg in meno. Sembra una scemenza, ma togliere 13 kg di peso da una qualunque moto equivale a spendere 3.000 euro per sostituire parti plastiche e di metallo con carbonio e/o titanio! 😆

Bene. Nonostante tutte le novità non sono riuscito a migliorare il mio record sul giro, però ho girato costantemente su tempi intorno ai 2-3 secondi sotto, il che considerando l’anno di ruggine accumulata è un ottimo risultato.

E comunque, al di là dei tempi, e delle novità da provare, quello che mi mancava, e di cui ho fatto per fortuna provvista, era l’atmosfera del paddock, e le sensazioni della pista. I motociclisti pistaioli sono una categoria singolare. Per certi versi assimilabili ai pescatori. Mentono come arabi. Ogni circuito ha i suoi tempi di riferimento, per Vallelunga una prima soglia importante è quella dei 2 minuti. Se si sta sotto i 2 minuti già è un bel risultato. Chi va veramente forte gira intorno a 1’50”. I professionisti girano intorno a 1’40” (come regola di buon senso, aggiungendo una quindicina di secondi ai tempi dei professionisti di norma si ottiene un riferimento per gli amatori). Ora, ascoltando le chiacchiere da paddock (la zona antistante i box dove ci si “parcheggia” con furgoni e tendalini quando si fanno le giornate di prove libere) a Vallelunga, praticamente non c’è praticamente nessuno che giri sopra il famoso 1’50” (tranne il sottoscritto, che per antica abitudine dice la verità e si autoassegna un tempo poco sotto i 2 minuti), è tutto un florilegio di confronti sulle percorrenze di questa o dell’altra curva, di racconti di quella volta che ho fatto il tempone, di thriller su quell’altra volta che a momenti mi hanno centrato, e via così. Poi si entra. E mentre io giro tranquillamente per i fatti miei, mi imbatto in quello che aveva testé dichiarato tempi da professionista; peccato che sembri un motociclista a passeggio concentrato sul panorama… lo passo e tiro diritto. Ma il bello è il re-incontro al paddock. Neanche mi vede e già mi racconta quanto “proprio oggi” abbia le sospensioni fuori taratura, e non capisce come mai non riesca a metterle a punto, ma su ogni staccata l’anteriore gli va “a pacco” e il posteriore innesca delle orrende oscillazioni in uscita… Diciamolo, i pescatori sono dei dilettanti…

Altro paragone calzante sono gli sciatori. Ora è molto che non frequento le piste da sci, ma ricordo distintamente che l’abilità sciistica, ai miei tempi era inversamente proporzionale al costo dell’attrezzatura indossata. C’erano sciatori provetti che giravano in jeans e ghette, e pippe fantasmagoriche con abbigliamento rigorosamente Moncler, scarponi ultimo grido e sci da supercompetiscion. In pista funziona abbastanza così. Arrivano questi ragazzotti con montati una serie di optional stra-costosi (un monoammortizzatore posteriore Ohlins costa circa 1.000 eurini per capirsi, una forcella anteriore completa intorno ai 2.000) che sono in grado di declinarti a memoria tutti i set di regolazioni in funzione dell’umidità dell’aria e del vento a favore. Questi li passi alla prima curva. Poi arriva un tipetto sfigatello, con tuta sdrucita, una moto di 7-8 anni, carene in vetroresina non verniciate, e te lo vedi passare come un missile nei 35 cm di spazio che hai lasciato tra te e il cordolo…

Come si fa a descrivere le sensazioni della pista? Ci vorrebbe la penna di Salgari… ho provato a parlare del tempo rallentato in questo post. Oggi provo a dare qualche flash sparso. A Vallelunga la prima curva dopo il rettilineo box, che con enorme sforzo di fantasia si chiama Curvone, è la più veloce del circuito, si fa a oltre 200 all’ora con il ginocchio che struscia a terra. Subito dopo c’è una controcurva a sinistra, prima della discesa che porta ai Cimini (devo aprire una parentesi per comunicare che la somma froceria acquistata, gli occhiali provvisti di telecamera, per errore del sottoscritto hanno prodotto un film inguardabile. Si vede l’asfalto davanti alla ruota. E qualche cordolo. Peccato perché il sonoro non era niente male, preso dall’interno del casco. Ah, e la seconda ripresa è andata ad cazzum perché si è sfilata la microSD dall’alloggiamento. Maremma maiala). La preparazione del Curvone inizia all’imbocco del rettilineo box, quando si esce dalla Roma e si infilano in sequenza le marce sino alla quinta (la sesta non si fa in tempo). Dopo il rettilineo si scollina con una piccola deviazione sulla sinistra, e dopo lo scollinamento si vede il Curvone nella sua maestosità. Inutile negare, la paura è tanta. Si cerca di ritardare il momento in cui si chiude il gas (non si frena, rigorosamente), si tiene d’occhio il cordolo che si avvicina, si inizia a spingere sulla pedana destra contemporaneamente spostando a destra il peso del corpo, si cerca di portare la testa in avanti, si “abbraccia” il serbatoio con il braccio sinistro e si butta giù la moto, “costringendola” a entrare nella curva. Appena impostata, quindi appena si inizia a piegare, si ridà gas (i professionisti aprono a martello), che serve anche a compensare il fatto che la moto punta decisamente all’interno e se non si apre si finisce sul cordolo. Non voglio menarla di nuovo col tempo rallentato, ma chiaramente tutte queste cose avvengono in frazioni di secondo. Quello che è prevalente è la sensazione di dominio del mezzo, di piegare la volontà della moto alla propria. Sembra di avere per le mani un potere enorme, mentre si costringe il mezzo a fare quello che noi vogliamo che faccia.

Questa sensazione di potere può facilmente sfociare in delirio di onnipotenza e portare a risultati inattesi. Come nel mio penultimo turno, quando ho imboccato la prima dei Cimini “a cannone”. I Cimini sono due curve con un micro-rettilineo in mezzo, che vanno percorse come se fosse una sola. Il tutto condito da un saliscendi che contribuisce a fornire una sensazione da ottovolante. Praticamente si “pela” la prima curva, si allarga e si punta sulla seconda. Il gas gioca un ruolo fondamentale anche in questo caso, soprattutto per sfruttare tutta la pista e imbroccare la traiettoria migliore che consente di ritardare la corda della seconda curva per poter uscire veloce sul rettilineo successivo. In buona sostanza, dopo aver buttato dentro la moto nella  prima curva, si apre il gas lasciando scorrere la moto verso l’esterno, per poi puntare decisamente verso la seconda curva, aprendo tutto il gas subito dopo la corda. Ebbene, in uno di quei momenti da delirio di onnipotenza, subito dopo la prima ho dato una “manata” di gas decisamente troppo brusca, e la ruota posteriore ha disegnato un bel virgolone nero sull’asfalto. Il problema vero è stato però che invece di assecondare la sbandata e pelare il gas, ho chiuso di scatto. L’immediato recupero di aderenza ha trasformato la moto in un cavallo imbizzarrito, e ho preso un colpo da sotto in su che ha rischiato di farmi volare in alto e buttarmi a terra. Per fortuna è andata bene…

Mi ha telefonato stamane un amico al quale avevo proposto la giornata di ieri, dicendo che stanno organizzando per l’8 ottobre a Misano. Hmmmmmmmmmmm chissà, magari viene Luci a fare la ragazza ombrellino! 😆

Scrivere, il traffico di Roma e due chicche TED

Ho voglia di scrivere. E’ da un po’ di giorni che voglio sedermi davanti al Mac e ticchettare in santa pace, leggevo qualche giorno fa su un blog (ma non ricordo assolutamente quale) che la scrittura a volte diventa una necessità, una valvola di sfogo, un imprescindibile bisogno. Non è così, per me. E però scrivere mi rilassa, il solo fatto di essere qui, di fronte all’editor di wordpress, e vedere i caratteri che pian piano riempiono lo spazio, allenta la morsa dello stress. Ché ringraziando Iddio di stress ce n’è da vendere, da queste parti, ultimamente. Basta uscire di casa, tuffarsi nella bolla di caldo e prendere la macchina, e comincia la giostra.

Il traffico di Roma è un incubo. Non esiste l’uguale, neanche a Napoli. Parlo con cognizione di causa, ho frequentato assiduamente Napoli per lavoro con l’auto, e so di cosa parlo. Il caos napoletano ha una sua logica. Perversa, ma ce l’ha. Come le regole di “Così parlò Bellavista”, quando diceva che col rosso si passa, col giallo fai come ti pare, e col verde devi stare attento perché potrebbe esserci qualcuno che passa col rosso. Queste sono regole, abbastanza singolari, ma regole. A Roma no. A Roma o fai le scorrettezze o le subisci, o sei un velociraptor o sei una preda. Tertium non datur.  E questo è indipendente, curiosamente, dal mezzo. Ho visto cinquantini effettuare prepotenze indicibili a danni di enormi SUV, e ho visto autisti di autobus accanirsi con inermi ciclisti. I velociraptor possono assumere qualsiasi sembianza, è un problema di come uno è fatto dentro. E in questo confronto costante tra vittime e carnefici si realizza la sublimazione del “tutti contro tutti”.

Io sono, manco a dirlo, un velociraptor. Se sono in scooter (la moto solo in pista, da quando ho realizzato che percorrevo il GRA a oltre 200 kmh…) prima di partire non dimentico mai di indossare il mantello di Harry Potter, quello dell’invisibilità. Perché l’automobilista medio non vede le due ruote. Ho realizzato questa drammatica verità un po’ di tempo fa. Non è una questione di cattiveria, né di modalità di guida. Se uno è in macchina, a meno di non avere un allenamento specifico, delle due ruote non si accorge. Punto e basta. Da quando ho fatto questa scoperta evito di usare il clacson. Decimi di secondo persi inutilmente, che invece possono essere dedicati all’effettuazione di una manovra di emergenza, o usati per guardare attorno anche meglio. L’automobilista che mette la freccia a destra e gira a sinistra non mi stupisce più, da allora. Quello che inchioda e accosta a destra neanche. Nella mia testa gira un complicatissimo film che tende a prevedere tutte le possibili mosse di chi mi sta davanti o accanto. E’ l’unico modo per non essere sorpresi. Ed è l’unico modo per essere un velociraptor e rimanere in piedi. Ma come si fa a fare il velociraptor in scooter? Ci si infila in ogni singolo spazio, si affiancano gli automobilisti dalla parte del guidatore (che è l’unica situazione nella quale si può avere la ragionevole certezza di essere stati visti) e li si stringe in modo da farli scansare. Si va spediti sulla linea di mezzeria pronti a scartare, si arriva sempre in prima linea al semaforo, si cerca di anticipare tutto l’anticipabile.

Se sono in macchina ho sempre uno sguardo sugli specchietti. Tutti e tre. Ciascuno dà una sua prospettiva. Fare il velociraptor in auto è più semplice per certi versi, ma spesso l’efficacia è inferiore. Sulla Colombo faccio slalom come se fossi in scooter, se il traffico è fluido. E quindi è necessarissimo guardare, specialmente per evitare gli scooter (se posso cerco di vederli). In macchina la decisione è tutto. Se arrivi deciso ti cedono il passo, se tentenni non passerai mai. Due mani sempre sul volante, alle 9.15, busto eretto, braccia e gambe piegate leggermente, come mi hanno insegnato al corso di guida sicura. E coltello in mezzo ai denti.

Rileggendo quanto ho scritto mi rendo conto che sembra il delirio di un pazzo. E nella rilettura ho limato alcuni passaggi, avevo iniziato elencando le tecniche e i trucchi principali: come “creare” uno spazio in cui infilarsi col motorino, come bypassare file in auto, eccetera. Le ho tolte per snellire, ma la verità è che Roma è una giungla. Io attraverso la città tutti i giorni, abito all’EUR e lavoro vicino alla Stazione. Se guido in questo modo ci metto una mezz’ora circa per tratta. Se guido rilassato ci metto quasi il doppio. In ballo c’è quindi un’ora al giorno, che non mi rassegno a perdere.

E la metafora dei velociraptor è molto pertinente. Come dicevo all’inizio, non c’è via di mezzo, a Roma: o perpetri angherie, o le subisci. Io preferisco perpetrarle, in nome del risparmio di tempo. Però questo clima non aiuta a guidare sereni. Sia i velociraptor sia le prede sono perennemente incazzati neri. Ed è un continuo urlare e gesticolare all’insegna di questo o di quello. Ecco, in questo io ho smesso. Non urlo più, non gesticolo più, non mando la gente a quel paese. Sono concentrato. Una macchina da traffico. Sempre alla ricerca dello spiraglio, del varco, del passaggio per sgusciare via e guadagnare qualche secondo.

In tutto questo quadretto idilliaco, ci sono poi due situazioni in cui l’inferno diventa se possibile ancor peggiore, entrambe legate ad eventi atmosferici. Quando piove, e quando fa caldo. Quando piove, la maggioranza delle persone pensa che se accelera oltre i 40 all’ora la curva successiva sarà costretta a farla in sbandata controllata. Quando fa caldo, la stessa maggioranza pensa che si possa addormentare, o almeno sonnecchiare, mentre si usa l’auto. E questo fa sì che tutte le tecniche da “macchina da traffico” diventano più complesse da utilizzare, la concentrazione deve essere ancora maggiore, e tutto diventa più complicato. E più lungo. E più lento. E quindi già sei stranito che fa caldo, ti tocca anche spendere più energie e perdere ancora altro tempo.

Come rilassarsi quindi? Con un bel video di TED, che domande! Questa volta ne metto addirittura due, sempre affascinanti. Per il primo ci sono disponibili i sottotitoli, anche in italiano. Parla di cose che diamo per scontate ma che forse scontate non sono…

Il secondo (purtroppo sottotitoli solo in inglese) parla di una cosa che mi sta particolarmente a cuore, che è il morbo di Alzheimer. La speaker ha il padre affetto dalla malattia, e lei parla di come si sta preparando nel caso in cui il mostro la dovesse aggredire. Toccante, specie nell’ultima parte.

Millennium – Uomini che odiano le diete

Non è vero. Non odio le diete. Però mi piaceva l’idea del titolo ad effetto, perché come ho già detto in qualche blog amico, mi piace lagnarmi un po’ e farmi un po’ coccolare un po’ consolare.

Certo, mangiare mi piace. E mi piace mangiare tanto. Tanto e bene. Sembra un secolo da quando ho scattato questa foto… e ancora me lo ricordo, il sapore di quell’amatriciana quasi fuori stagione… e proprio per questo particolarmente gradita, particolarmente buona, perché in parte rappresentava una cosa proibita, una cosa che (direbbe la perfida genitrice) “non si fa”, “non sta bene”. Perché nel mio modo di mangiare c’è anche il gusto della trasgressione, specialmente relativa alle quantità, ma anche come detto alle cose che non si dovrebbero fare. Non si dovrebbe usare lo strutto, perché viviamo nel ventunesimo secolo e vogliamo un’alimentazione fat-free. Non si dovrebbe esagerare con il pecorino, perché i formaggi non fanno bene. E via così andare. Perché alla fine tutto quel che piace a me, nelle quantità che piacciono a me, fa male.

E come dicevo con pani, che beato lui ha il senso della moderazione, io non ce l’ho. Io sono binario. 1 o 0. Apro un piccolissimo incipit che spero strapperà una risata a Biancaneve Suicida. Recentemente ho portato la moto dal meccanico, per fare il tuning al gas rapido. Il gas sulla moto si dà con la manopola destra, ruotando il polso verso il basso. Il comando🚑💋✌ normale richiede una rotazione del polso molto ampia, e così le moto preparate da pista montano un comando che rende la rotazione meno ampia. Quello che ho comprato io ha quattro diverse “ruote” interne, di diametri differenti. A seconda del diametro più o meno ampio il gas sarà più o meno rapido. Io avevo montato una ruota che ricordavo fosse la terza, dove la quarta era quella di serie, e avevo pertanto la sensazione che la rotazione del polso fosse ancora troppo ampia. Quindi avevo chiesto al mio fidato meccanico nonché amico di montare la seconda. Quando sono andato in officina lui mi ha detto che in realtà avevo già la seconda montata, e non la terza, e che quindi mi aveva montato la prima, cioè la ruota che rende il gas il più rapido possibile. L’ho provata, e l’ho guardato con un’espressione che diceva “mah… mi sembra sempre lungo…”. Prima che potessi aprire bocca mi ha detto “Se vuoi per farlo più rapido possiamo mettere un interruttore!”. Lì ho pensato che in questa frase si riassume la mia quintessenza di essere binario. Gas chiuso o gas al massimo, 1 o 0, tutto o niente, bianco o nero.

E qualcuno dei miei 5 lettori penserà “e vabbè ma con tutti quei pipponi che ci attacchi sull’oriente e sullo yin e yang, fino al punto che financo Iaia si mette a cucinare taoista, ancora non hai imparato l’equilibrio tra bianco e nero?” Ecco, qui penso di aver capito una cosa, anche se continuo ad avere più dubbi che certezze. Che il bianco è bianco e il nero è nero, e l’equilibrio si trova su un altro piano. Se sto ragionando a due dimensioni, l’equilibrio tra bianco e nero di una figura piana va cercato nella terza dimensione, in altezza. Se sono in tre dimensioni, l’equilibrio va ricercato in una dimensione interiore che prescinde dai volumi e dai solidi. E quindi il mio assolutismo devo cercare di risolverlo su un piano che può anche passare per una dieta, ma innanzitutto deve essere un lavoro interiore, proprio come nel caso del fumo.

Ma sto divagando. L’idea era quella di raccontare un po’ questa dieta, dal perché al come. Sono piuttosto alto, 187 cm, ma la mia ossatura è sottile e leggera, per cui il mio peso forma quando ero giovane si aggirava intorno ai 78 kg, mentre ora mi accontento di 85. Questo peso forma dovrei mantenerlo fondamentalmente per tre ragioni: apnee notturne, schiena e artrosi. Non voglio scrivere un’enciclopedia medica, per amor di sintesi riporto i soli fatti fondamentali: ho tre ernie del disco e una spina calcaneale. Le indicazioni di pesare poco ci sono tutte. Ergo, nonostante quando sono vestito non si veda più di tanto, devo perdere 10kg.

Negli anni, siccome sono binario, ho provato molti metodi basati sulla deprivazione del cibo. Poco tempo impegnato, risultati spettacolari. Ho cominciato col digiuno assistito quasi vent’anni fa, quando era una cosa che non conosceva nessuno. Se l’era inventata un endocrinologo per la cura dei grandi obesi, prima che nascesse l’operazione della resezione dello stomaco o dell’intestino. Una flebo di amminoacidi al giorno, corrispondente a meno di 800 Kcal, e nient’altro salvo liquidi. 10kg in 3 settimane, e mantenuti. Per la semplice ragione che lo stomaco si restringe. Ma con l’età non si migliora, e quindi le prestazioni mirabolanti si sono progressivamente ridotte, e anche il mantenimento. Poi ho provato anche le buste, un concentrato iperproteico che manda in chetosi, praticamente l’equivalente del sondino nasogastrico che va tanto di moda ora, con la differenza che non c’è il sondino! Anche lì risultati eccellenti ma non mi piace il concetto della chetosi indotta, che non è esattamente una condizione normale.

E quindi? E quindi, per la prima volta con determinazione, faccio una dieta MDM (Magna De Meno), a 1250Kcal, concordata con la dietologa che è anche la mia medichessa di famiglia ma soprattutto un’amica, avevamo i figli nella stessa classe alle medie e poi nello stesso liceo anche se in classi diverse, e da allora ci conosciamo e frequentiamo. Non è una dieta giorno per giorno. Ci sono due macro-schemi feriali e due giornate festive. Nei giorni feriali non ci sono praticamente farinacei, tutto l’apporto di carboidrati e glucidi è garantito da frutta e verdura. A pranzo posso scegliere tra un’insalatona o carne ai ferri (declinata nelle sue varianti, manzo maiale pollo tacchino) con verdura, e frutta. Per cena se mangio l’insalatona ho la carne, se mangio carne le uova (sempre fatte con i cosi iaiosi, o affettati o wurstel di tacchino. Nel weekend pasta per pranzo al sabato, e pizza per cena alla domenica. Non soffro la fame, anche se mangio poco. Mi alzo da tavola con un senso di quasi sazietà. Insoddisfatto, ma sazio. E nel frattempo cerco di lavorare su di me, per arrivare ad un regime alimentare che di norma sia controllato, e ogni tanto mi consenta qualche piccolo sfizio. Certo 80 grammi di amatriciana checché ne dica pani nunsepossenttì, la cosa importante secondo me è tenere a mente che il pasto deve essere possibilmente completato con verdure e frutta, il che consente di limitare le quantità del resto.

Scrivendo su un blog qualche giorno fa, a qualcuno ho detto che non amo comprare il pollo. Il motivo è in queste due foto qui sopra, io questo lo chiamo “pollo silvan”. Sono talmente pieni di ormoni che basta passarli in padella per qualche minuto e quel che sembrava un bel boccone di pollo (guardate soprattutto quello sulla sinistra in alto, che razza di trasformazione ha subito…) diventa vizzo come una tetta di strega, oltre che ridotto in volume di circa la metà. Ecco è per questo che preferisco il vitellone o il maiale, sono meno a rischio effetto Silvan.

Comunque spero di riuscire a mantenere un dimagrimento di circa 1kg a settimana, il che significa che di qui a un paio di mesi dovrei aver quasi raggiunto l’obiettivo. E poi, sperabilmente (pessima traduzione di hopefully ma non me ne vengono altre, benvenuti suggerimenti), dovrei essere riuscito a lavorare su un altro piano che mi consenta di acquisire, o appiccicarmi addosso, quella moderazione che non fa parte affatto di me.

Chiudo con l’ennesimo bellissimo video di TED, questa volta si parla della ragione per cui chiamiamo X le incognite. La spiegazione risale al tempo della venuta in Spagna degli arabi. Molto acuto, molto divertente. Mi scuso, non è sottotitolato. Ma Terry Moore è molto chiaro.

Moto, guida in pista e time-warp

E parliamone un po’, di questa moto che tanto mi appassiona…

Le due ruote hanno sempre avuto un grande fascino per me, sin da quando ebbi il primo motorino, e successivamente il 125. L’amore è stato di breve durata, però, perché a 18 anni, presa la patente B, sono stato costretto a scegliere, e per quanto affascinanti, le due ruote avevano degli indubbi svantaggi logistici che alla fine hanno fatto sì che le abbandonassi. Parliamo della fine degli anni settanta. Poco più di vent’anni dopo, complice il trasferimento all’estero di un’amica, proprietaria di uno scooterone che mi ha lasciato in gestione mentre era fuori, ho ripreso contatto con l’aria sulla faccia. E poi, nel 2002, a 43 anni suonati, un giorno sono entrato in casa e ho detto “oggi vado dal concessionario e compro una Hornet”. E lì la storia è ricominciata come se non si fosse mai interrotta. Con un’unica differenza, che la testa, per fortuna, non era più quella del ventenne… Il che mi ha consentito di prendere confidenza con il mezzo un po’ per volta. Di cose in vent’anni ne erano cambiate tante, una su tutte la frenata. Con un doppio disco davanti ho capito quasi subito che il freno anteriore andava dosato con grandissima cautela… In quel periodo trascorrevamo l’estate in un posto vicio ad Anzio, e il su-e-giù dal lavoro era incredibilmente più veloce e soprattutto poco variabile nella tempistica. E muoversi nel traffico era assolutamente meravigliosamente più semplice e veloce. Ma la vera svolta è stata la pista. Dopo quasi 4 anni dall’acquisto della Hornet, e frequentando gruppi di motociclisti, scopro che è possibile andare in pista per prove libere, senza gara, solo per girare in circuito. Ravanando un po’ sul web scopro un articolo di un certo manetta, che dice che andare in pista è “bestialmente divertente”. Leggo tutto l’articolo e decido che almeno una volta devo provare. E siccome si fa un gran parlare nell’articolo dei corsi di guida, decido di iscrivermi ad un corso, sempre Hornet-munito. E lì, quello che era un intenso amore è diventato passione sfrenata, quella passione che non ti fa capire più nulla, che ti prende e ti porta via, in un mondo parallelo fatto di time-warp e tempo rallentato, come andrò a spiegare più avanti. Il corso lo ricordo con grandissimo piacere, fatto in un piccolo circuito vicino Anagni. Una parte teorica e una pratica, della teoria ricordo tra tutto il concetto che raggiungere il limite del mezzo, date le potenzialità del mezzo, era praticamente impossibile, quindi bisogna concentrarsi sul superare i propri, di limiti. Guardare le traiettorie, allungare la staccata, cercare di trovare riferimenti, e poi scoprire in un altro corso come “entrare in curva col freno in mano”, vale a dire continuare la frenata con la moto già inclinata, già dentro la curva, e come aprire prima il gas, e come guadagnare secondi sul giro. Dopo un po’ di volte all’ISAM (il circuito di Anagni) faccio il grande passo e vado a Vallelunga. Nel frattempo avevo venduto la Hornet e preso un bicilindrico Suzuki, la SV1000S, che se impari a guidare quella in pista puoi guidare qualunque cosa… La prima volta a Vallelunga ho fatto 2’20, sempre con il Suzuki, adesso il mio record personale è con il CBR 900 blu, ed è un bellissimo (per me) 1’55.

I tempi della superbike sono intorno a 1’38, quindi mi mancano ancora 5-6 secondi per essere, grosso modo, a 10 secondi dai tempi di riferimento del circuito, che significa, per un amatore, girare veramente forte. Ma, al netto della soddisfazione del miglioramento, le sensazioni della pista sono fortissime, e non relative alla velocità in senso assoluto. C’è l’adrenalina, il brivido della moto inclinata, il fatto di trovarsi buttato fuori dalla moto all’interno della curva con la moto praticamente sopra di te, noi diciamo “sottosopra” perché il manubrio te lo ritrovi proprio sopra, e le braccia sono rivolte in alto, per lo meno questo è quello che sembra. C’è la sfida con quello che va più forte di te, sfida non con lui, ma con te stesso per cercare di andarlo a prendere, o quantomeno di guardare cosa fa per andare così più forte di te. Ecco in pista si fanno dei gran bagni di umiltà. Perché c’è SEMPRE chi va INFINITAMENTE più forte di te. Tu pensi di stare al massimo, stai facendo una curva come non l’hai mai fatta prima, e mentre stai lì che quasi ti congratuli con te stesso, uno ti passa all’esterno piegato come tu non riuscirai mai a essere, e ti passa in surplace come se stesse a passeggio sul lungomare… Anche per questo motivo, insieme con un pazzo come me, e mio coetaneo, abbiamo coniato un logo per il nostro Team, il mitico GRT (Geriatric Racing Team)… (per chi non lo conosce Troy è Troy Bayliss, che ha vinto l’ultima gara a 40 anni…)

Però la sensazione più bella, o almeno quella che a me piace di più, è quella che io chiamo il “tempo rallentato”. Provo a descrivere una sequenza aiutandomi con un video, e indicando a quale secondo mi riferisco con la descrizione. Prima di continuare con la lettura, guardate il video per i primi 30-35 secondi almeno (anche tutto, ma i primi 30 secondi sono quelli descritti di seguito)

Rettilineo box, i segni che indicano i posizionamenti sul traguardo che corrono velocissimi (0:04), terza-quarta-quinta, piega leggermente a sinistra (0:07), scollinamento(0:09), rallenta, dentro nel curvone a destra a 190 (0:11), cerchi di stare stretto e cucito al cordolo mentre la moto ti tira verso fuori e il vento ti strappa perchè sei sporto fuori con il ginocchio per terra, raddrizza in uscita (0:14), apri tutto il gas e punta direttamente la corda della curvetta a sinistra, imbocca senza rallentare (0:17) e buttati nella discesa verso i Cimini, resta sulla sinistra e tieni il gas spalancato, arrivi a 210 al cartello dei 100 metri (0:20), e qui inizia la magia, qui il tempo inizia a dilatarsi. Inizi a fare tutte le operazioni al rallentatore. Scala due marce (0:20), sposta il culo a destra, gira il piede destro verso l’interno della curva e apri il ginocchio, spingi il busto in avanti e la testa verso l’interno, togli il gas, pianta la staccata, inizia a buttare dentro la moto non lasciando completamente il freno, piega, piega, cerca la corda (0:23), ecco, il ginocchio struscia a terra, piega ancora, ritrai la gamba e occhio a non andare troppo giù, ecco ora lascia il freno, spingi sulla pedana esterna e apri il gas (0:24), solo parzializzato perché c’è la Cimini due, occhio a controllare la spinta verso l’esterno, lascia andare la moto che tira ma richiamala appena intravedi la corda della Cimini 2, togli gas e giù di nuovo (0:25), corda, ecco ora spingi forte sulla pedana esterna (0:28), rialza la moto buttando ancora di più il peso all’interno e dai gas, daglielo tutto, attento che perdi il retrotreno, parzializza leggermente, eccolo c’è di nuovo, apri tutto (0:30) e vai… pieghetta a sinistra e via sul rettilineo verso la Campagnano…
Dal cartello dei 100 metri all’uscita della Cimini 2 sono passati 7 secondi, ma è come se fossero durati il doppio, perché questa sensazione di segmentazione delle operazioni ti fa vivere il tempo rallentato. Mi dice una persona che conosco che facendo karate la sensazione di “rallentatore” è molto simile, la mia sensazione è che questi fenomeni si verifichino quando il livello di concentrazione è estremamente elevato. Ecco, io riesco a raggiungrere questi livelli di concentrazione solo in moto, e solo in pista. Normalmente quando faccio qualcosa c’é una parte della mia testa che se ne va per conto suo, che pensa ad altro. Un classico che mi capita spesso è, a casa, di alzarmi con l’intenzione di farmi un caffè, arrivare in cucina dopo pochi secondi avendo pensato a tantissime altre cose e non ricordare più cosa dovevo fare… In pista questo non succede. Non ci si può distrarre. Sei tu, la moto, l’asfalto. E ogni giro è sempre uguale e sempre diverso, ogni curva è sempre la stessa ma mai uguale. E più giri, e più entri nel mantra, e più riesci a dilatare i tempi e capire dove stai sbagliando, dove puoi migliorare, dove puoi fare di più. E quando esci da una curva già ti prepari per la successiva ricordando i proponimenti del giro precedente e di tutti i giri precedenti e di tutte le volte che ci sei entrato in quella maledetta curva e ancora non hai capito come farla al meglio anche se intuisci che c’è qualcosa che stai sbagliando ma non sai cosa. E poi un giorno, magari perché stai inseguendo uno che gira appena più forte di te e tenti disperatamente di stargli dietro, “rubi” una traiettoria, un riferimento, ed improvvisamente è tutto chiaro, e capisci cosa devi fare, e lo fai, e l’adrenalina è a mille perchè lo sai, lo sai che il cronometro ti darà ragione, e cerchi di non fare scemenze nel resto del giro perché lo vuoi vedere, quel decimo in meno, quei due decimi in meno, e sai che sarà il giro migliore della giornata, e arrivi al traguardo e sì, cacchio, è proprio così, e a quel punto sei al settimo cielo, hai gareggiato con te stesso, e hai vinto. Ma c’è ancora tanto da migliorare, tante curve da limare, traiettorie da perfezionare, secondi da togliere.
Quando passo una giornata in pista me la porto dentro per un paio di giorni, più di qualcuno mi ha fatto notare che a volte mi “imbambolo” perchè sto rivivendo un giro proprio come se stessi guardando un frammento del video qui sopra. E in quei momenti sono di nuovo lì, con la tuta appiccicata alla pelle, il sudore che cola ma che non senti neanche, l’adrenalina a mille, quella sensazione di essere “sottosopra” che ti accompagna per tutta la curva, e il rumore del ginocchio che gratta l’asfalto.