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Interiorità complesse

RobinWilliams

Ne parlo spesso, di interiorità, di complessità interiori, di sentimenti che magari non appaiono all’esterno, di apparenze che ingannano. E pensando al suicidio di Robin Williams non si può non pensare proprio alle apparenze che ingannano. In un articolo di Alastair Campbell di oggi c’era una frase splendida.

The most retweeted tweet I have ever done was one I posted when Stephen Fry had talked of another suicide attempt. ‘To those asking what Stephen has to be depressed about,’ I asked ‘would they ask what he has to be cancerous, asthmatic or diabetic about?’

La forza espressiva dell’inglese in questa costruzione è straordinaria, con quell’about alla fine della frase che in una parola riassume un concetto amplissimo. La traduzione potrebbe essere, più o meno: “Il mio tweet più ritwittato è stato quando Stephen Fry aveva parlato di un ennesimo tentativo di suicidio, che diceva: A quelli che si chiedono cosa avesse da essere depresso Stephen, dico semplicemente se si chiederebbero cosa avesse da essere canceroso, diabetico, o asmatico”.

Voglio fare una digressione. Spesso parlo con persone che mi conoscono di un paradosso che mi colpisce per la sua semplicità, ma drammatica irresolubilità. Viviamo in un posto del mondo nel quale quando usciamo e diciamo “Ci vediamo stasera” possiamo tranquillamente affermare che il livello di attendibilità di quest’affermazione, che si riferisce alle successive 8-10 ore, ha una probabilità di essere vera del 99,9999%. Uso quattro nove dopo la virgola perché l’imprevisto è sempre in agguato, un incidente può capitare. Ma il punto è che esiste una parte importante di mondo, e una percentuale significativa di persone, per le quali la stessa affermazione ha una probabilità di esser vera molto, molto inferiore. E non penso a Gaza di questi giorni, ma penso a territori da sempre martoriati e tormentati. Ebbene, pensando a questo, alzandosi la mattina ciascuno di noi dovrebbe semplicemente fare quattro capriole e andare incontro alla propria giornata con allegria sbarazzina. E invece no.

E invece si scopre che anche Robin Williams, una persona che nell’immaginario collettivo non ha motivo di essere men che felicissimo, anche lui finisce per non trovare più un senso nell’andare avanti, e si impicca con una cintura. Non si imbottisce di alcool, non si fa di coca, non prende funghetti allucinogeni. No. Prende una cintura, se la mette intorno al collo, e se ne va. Forse perché non ha più voglia, forse perché non trova un senso, forse perché i mostri che ha dentro hanno preso il sopravvento.

Mi piace parlare di interiorità complesse per indicare persone che hanno particolari sensibilità. Persone che sono in grado di apprezzare delle sfumature. Persone che sono capaci di vedere cose che altri non vedono, che altri osservano di sfuggita. Ma queste sensibilità hanno un prezzo, di norma. Questo prezzo spesso e volentieri è costituito da zone tenebrose sepolte nelle profondità più nascoste. Veri e propri vasi di Pandora che se per qualche strana alchimia si socchiudono lasciano uscire mostri oscuri. Ma se non ci fossero quei vasi di Pandora forse non ci sarebbero neanche le sensibilità che rendono grandi le persone come Robin Williams.

Non ho una conclusione, non ho una ricetta, non ho una risposta, né voglio, come Alistair, dire che la depressione va considerata come una malattia. Però mi piacerebbe una cosa. Che la si piantasse di dire “Ma cosa mai avrà avuto da esser depresso, Robin Williams”. Questo mi piacerebbe davvero.