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Renzo Tramaglino e il “Sor Cesare”

conoscere3Alla scuola di scrittura un po’ di tempo fa abbiamo fatto un esercizio. Si trattava di prendere un dialogo da un libro, un dialogo un po’ lungo, e possibilmente senza troppe parti di prosa di supporto, un dialogo secco, insomma. Poi bisognava togliere tutte le frasi di uno dei due personaggi, e sostituirle con frasi inventate, creando quindi un altro personaggio e magari un’altra situazione, ma essendo costretti a scrivere coerentemente con le battute “fisse”. Io ho preso il dialogo tra Renzo Tramaglino e don Abbondio, all’inizio de “I Promessi Sposi”, quando, dopo che il curato è stato minacciato dai due bravi, Renzo si reca da lui per aver indicazioni sull’ora in cui celebrare il matrimonio, quel giorno, e si trova di fronte un don Abbondio che gli nega tutto. Ho tolto tutta la parte di don Abbondio, rimpiazzandolo con il “Sor Cesare” (le sue frasi sono in corsivo), un “romano de Roma” di una certa età. E questo è il risultato.

– Son venuto per sapere a che ora le comoda che arriviamo.
– Uhm…nun te trovo in agenda, ma de che giorno stamo a parlà, scusa?
– Come, di che giorno? non si ricorda che s’è fissato per oggi?
– Oggi? ma che stai a di’… famme ricontrollà… ma no, ma poi oggi nun se ne parla proprio… oggi nun posso.
– Oggi non può! Cos’è nato?
A bello, guarda che qui mica è ‘n ospedale! Oggi nun posso perché c’ho ducento cazzi e oltretutto er regazzetto ha chiamato che sta male, quindi sto puro da solo!
– Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di così poco tempo, e di così poca fatica…
Ma poco tempo de che? Anvedi questo, anvedi… se vede proprio che ‘n c’hai niente da fa tutto er giorno te… te nun c’hai manco idea de che vor dì, lavorà… e poi… nun me fa parlà, dai…
– E poi che cosa?
E poi ce stanno ‘n po’ de ‘mpicci, che te lo dico affà, ‘mpicci e ‘mbroji…
– Degl’imbrogli? Che imbrogli ci può essere?
A cì, ma allora sei proprio tonto… ma che ‘n ce lo sai che ce sta chi ariva e vole bagnà er  becco?
– Ma, col nome del cielo, non mi tenga così sulla corda, e mi dica chiaro e netto cosa c’è.
Oh madonna, ma che ho fatto de male pe’ meritamme ‘sto deficiente… senti, a coso, famo così. Diciamo che devo da fa’ firma’  ‘na cosa ar capo mio, vabbè?
– Bisogna ben ch’io ne sappia qualche cosa, – disse Renzo, cominciando ad alterarsi, – poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non s’è sbrigato ogni cosa? non s’è fatto tutto ciò che s’aveva a fare?
Aaaaaaaaaah ma allora sei de coccio!!! Nun se po’ oggi, e manco domani!!! Devo da sistema’ ‘n po’ de ‘mpicci!! Ma ‘n te preoccupà, ‘n cambia gnente! E’ giusto ‘na formalità!
– Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.
Oddio oddio oddio. Gesù damme la forza de nun menaje, a questo. Ma che sei, impedito???
– Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?
Ce lo sai, ce lo sai, senti papà tuo, talis pater, come dicevano l’antichi…
– Si piglia gioco di me? – interruppe il giovine. – Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?
Fijo mio, qua nun è questione de lingua, qua er problema è che sei de coccio!
– Orsù!…
Senti, bello. Io c’ho da lavorà, te l’ho detto. Quindi vedi d’annattene, famme er favore.
– Che discorsi son questi, signor mio? – proruppe Renzo, con un volto tra l’attonito e l’adirato.
Come te lo devo da dì? Te ne devi annà!!! Te faccio un disegno?
– In somma…
Insomma gnente! Puro si t’avevo detto oggi, e nun te l’ho detto, oggi nun se po’ fa!
– Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?
Aridanga…
– Le ho detto che non voglio latino.
Manca ‘na pratica, devo chiamà l’agenzia e fà ‘na ricerca!
– Ma non le ha già fatte queste ricerche?
E certo che l’avevo fatte!
– Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tutto era finito? perché aspettare…
Allora ‘n se capimo proprio! NUN SE PO’ FA’ OGGI!!! CE SENTI O NUN CE SENTI?
– E che vorrebbe ch’io facessi?
Che te dai ‘na bella carmata e aspetti!!!
– Per quanto?
Famme pensà… boh, pe’ me ce voranno ‘na quindicina de giorni, dai.
– Quindici giorni! oh questa sì ch’è nuova! S’è fatto tutto ciò che ha voluto lei; s’è fissato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni!
Quindici… – riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e battendo il pugno nell’aria;
Abbello già te l’ho detto, vedi da datte ‘na bella carmata, che ce metto du’ secondi a chiama’ i rumeni ar campo zingari e fatte da’ ‘na ripassata. Statte carmo e aspetta, e vedemo si je la famo a fa’ tutto in una settimana.
– E a Lucia che devo dire?
Je dici che se da’ na bella carmata puro lei, e che aspetta ’na settimana. Mica casca er monno!!
– E i discorsi del mondo?
Ancora, ma che te frega de quello che te dicheno, ma lasseli dì…
– E poi, non ci sarà più altri impedimenti?
No, tranquillo, te rivenghi  tra ‘na settimana e te la consegno, ‘sta cazzo de Smart!

La scrittura richiede lavoro

snoopy

Mi sono iscritto ad una scuola di scrittura. Ed è un’esperienza meravigliosa, uno dei pochi raggi di luce in un periodo che continua a restare buio, prevalentemente. Due ore a settimana di pura evasione, ma evasione non futile, evasione creativa.

Sto imparando tante cose, la prima per importanza è una citazione attribuita a Hemingway: “The first draft of anything is shit”, che suona più o meno “La prima stesura di qualsiasi cosa è merda”. Ed è da qui che ho pensato al titolo, perché la seconda cosa che ho imparato è che togliere è assai più importante, e assai più difficile, che scrivere. E sto pian piano entrando in una modalità differente. Quella del rivedere, del rileggere, del riguardare. Del togliere, per l’appunto. Sfrondare, alleggerire, tagliare, eliminare. Buttare via frasi che erano costate sudore, togliere parole che non suonano.

Il ritmo, e la struttura in tre atti: Sergio Donati, sceneggiatore di “C’era una volta il west”, per citare uno tra i tanti lavori, dice che nel primo atto lo scrittore fa salire il personaggio su un albero, nel secondo atto lo prende a sassate, e nel terzo atto lo fa scendere dall’albero. Se scende vivo è una commedia, se scende morto è una tragedia. Che ricalca straordinariamente quanto mi insegnavano a scuola per fare i temi: introduzione, parte centrale, conclusione. Solo che per raccontare una storia che interessi è necessario che nell’introduzione succeda qualcosa, si descriva la situazione di partenza, la salita sull’albero, per l’appunto. Nel secondo atto si devono creare delle difficoltà, l’interesse dei lettori è catturato dalla variazione, non dalla stasi. E nel terzo atto, si capisce come il personaggio ha reagito alle difficoltà del secondo atto, scendendo vivo o morto dall’albero. In tutto questo, il ritmo deve mantenersi costante, non può essere incalzante e poi rallentare, per poi magari tornare incalzante. E niente trucchetti. Un racconto di uno dei partecipanti al laboratorio che faceva capire solo nell’ultima frase che la voce narrante era quella di un gatto è stato bocciato senza appello. Il lettore crederà a qualunque cosa, ma solo se condotto in un percorso logico, o quasi, perché se si cattura l’attenzione del lettore, lo si prende per mano e lo si porta dove si vuole, anche in mondi fantastici che rivoltano le leggi della fisica. Ma tutto deve avere un senso, e soprattutto deve essere scevro da inganni e trucchetti, come dicevo. Non bisogna giocare sporco. Tutto deve essere chiaro, anche perché di norma il racconto narra la cosa più importante che accade nella vita del personaggio. Altrimenti che racconto è?

Ho imparato anche che serve leggere il proprio lavoro davanti a tutti. Perché leggendo a voce alta a qualcuno che ascolta, è come se si uscisse dal proprio corpo e da autore ci si trasformasse in lettore. E’ una sorta di metempsicosi, ma leggendo a voce alta ad un uditorio che ascolta, si colgono imperfezioni, parole sbagliate, frasi deboli, cali di ritmo, che in cento riletture fatte con gli occhi non si erano visti.

E infine, ho imparato che c’è un sacco di gente che scrive da dio. Ed è un piacere ascoltare quello che scrivono.