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Non mi voglio lamentare

Ed è per questo che non ho scritto. Perché mi sarei lamentato, e non è giusto. Non è giusto perché mi ritengo una persona fortunata. In questo periodo così buio, nel quale si sentono storie di tutti i generi, mi guardo intorno e mi dico che va tutto bene, nel mio piccolo microcosmo.

Ci sono delle piccole cose. Ma per l’appunto sono piccole. Voglio concentrarmi sulla sostanza, sul “bersaglio grosso”. Ne parlavo per l’appunto con il mio amico più caro, quello di cui ho parlato qui, e l’ho anche raffigurato come Paolo in “Quando è troppo è troppo“. Ecco, lo sono andato a trovare recentemente, ha deciso di lasciare Roma e tornare nella sua terra natale, e neanche a farlo apposta, dopo pochi giorni che si era finalmente “sistemato”, a momenti ci resta secco per una peritonite quasi degenerata in setticemia. Il problema è stato che non ha sentito dolore. Evidentemente ha una soglia molto, troppo elevata, per cui quando il dolore si è manifestato l’infezione era avanzata molto, quasi troppo.

E quindi sono andato a trovarlo dopo questo episodio così grave, cosa che avrei fatto comunque, ovviamente; ma con queste condizioni di contorno, la visita ha assunto una valenza diversa. Con lui non c’è bisogno di tante parole, ci diciamo tanto di più con un abbraccio, con uno sguardo, con un sorriso. E nel suo abbraccio, negli sguardi e nei sorrisi, c’era tutta la felicità per lo scampato pericolo, e soprattutto c’era la consapevolezza del rischio corso. E questa consapevolezza aiuta a ridimensionare le piccole cose che non vanno, a catalogarle come piccolo fastidio e a non farne un dramma. Perché, diceva il suo sguardo, quando cominci a realizzare compiutamente che oggi potresti non esserci, qui, allora ti rendi conto di quanto ti piace starci, qui. Di quanto tu ci voglia rimanere fin quando non sarà il momento di andare, e comunque sia, quando sarà il momento sarà forse sempre troppo presto. Perché ci sarà ancora qualcosa che si sarebbe voluto fare, qualcosa che si sarebbe voluto dire, qualcosa che si sarebbe voluto pensare.

E quindi non mi voglio lamentare. Voglio concentrarmi sulle cose buone. Voglio usare il pensiero positivo sino in fondo. Voglio trascurare i fastidi, ignorarli. E andare avanti col sorriso. Guardando in alto, verso il sole.

sole

Non ho un titolo

Il bucoNo. Non ce l’ho un titolo. Ho bisogno di scrivere però, un bisogno quasi fisico. Avrei bisogno di correre. Tanto bisogno. Ma la schiena non me lo consente. L’osteopata dice che non dipende dalla corsa. La mia amica appassionata di bioenergetica dice che c’è una relazione con qualche situazione. Boh. Se mi chiedono come sto rispondo che ricordo periodi molto più allegri della mia vita. Il buco è lì. Mi chiama, incessantemente, da giorni e giorni. E’ una sirena. Invitante, sinuoso, assume le forme che più mi piacciono, perché sa come piacermi. Sa come farsi piacere.

Resisto. Non so neanche io perché. Ho in testa questo stereotipo del sopravvissuto, del sopravvivere. O sottovivere, come dice con felice intuizione mia sorella. Tutto va bene, niente va bene. Situazioni intrecciate, complicate, sembrano dipanarsi poi si riaggrovigliano. Un groviglio di emozioni. Morsa allo stomaco, bentornata ansia. Era un bel po’ che non ci si vedeva. Sì sì, anche tu a invitarmi, a dirmi quanto è bello il buco. Sveglia nel cuore della notte, occhi sbarrati, il cuore che batte forte. Un sogno che sfugge via come una coperta tirata da un gatto attraverso la porta, provo a buttarmi per raggiungerlo, l’ho quasi preso ma mi sfugge, va via senza consentirmi di capire. Di ricordare. Di rivivere.

Quanto vorrei correre. Sentire il respiro, controllarlo. Espirare fino in fondo, svuotare i polmoni. Creedence nelle orecchie. Pensieri in libertà. Come piace a me, senza obbligo di imbrigliare codificare organizzare mettere in fila. A briglia sciolta, associazioni improbabili, voli. Volare via, andare tornare venire. Esserci ma non esserci, presente a me stesso ma fuori. Uno stato coscienziale superiore. Dal quale attingere energia positiva. Ecco, è quella che manca. Sì, cara ansia. Proprio quella. Pensavo di non rivederti sai? Mi ero quasi dimenticato di te. Quasi. La parola chiave. Sempre quasi. Guardo una scatola bianca e blu. La metto via. Poi la riprendo. Poi la metto via. La metto via. Fino a quando?

Chiacchiere al telefono. La moglie di un amico. Mi dice che lui ha un mieloma midollare. Cerco su Internet. Non si capisce un cazzo. Neanche quale. Di tanti che ce ne sono di mielomi. Si dirà mielomi? Plurale? Chissà. Quasi coetaneo. Lei dice che lui ha reagito male. Strano, penso io. Ti dicono che devi morire e tu reagisci male. Mi domando quanto gli resti. Mi domando cosa penserei io. Mi dico che ecco, sono questi i problemi, e allora che cazzo vai cercando. Mi rispondo serenità. Accoglienza. Meno badilate in faccia.

E alla fine. Per oggi niente buco. Un post anti-buco. Domani vedremo. Altro giro, altro regalo. Altro giorno, altro espediente.