Archivi tag: relatività

William Blake e lo spaziotempo

Auguries of Innocence – William Blake
To see a World in a Grain of Sand
And a Heaven in a Wild Flower
Hold Infinity in the palm of your hand
And Eternity in an hour.

Questo è l’inizio di una poesia meravigliosa di Blake, che potrebbe essere tradotto più o meno così:

Per vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un paradiso in un fiore di campo,
Poni l’infinito nel palmo della mano
E l’eternità in un’ora.

Il bello è che non l’ho trovata in un libro di storia della letteratura, ma in un libro di fisica, “La danza dei maestri Wu Li”, che tanto per cambiare tratta di fisica moderna, quantistica e relatività.

In questo specifico caso, il tema è lo spaziotempo. L’introduzione dello spaziotempo in fisica, per merito di Einstein, è stata una rivoluzione molto più grande di quanto possa apparire a prima vista. Il motivo principale è che per la prima volta Einstein dimostrò matematicamente qualcosa che non poteva essere comprovato da una esperienza diretta. E l’esperienza diretta è la base della fisica Newtoniana. Avventurandosi quindi nel mondo dell’astrazione pura, fisica e poesia si avvicinano sino a toccarsi, e questo è il punto di contatto tra Blake e Einstein.

Noi non riusciamo a immaginare un continuum spaziotemporale, perché i nostri sensi ci rimandano un mondo tridimensionale in cui il tempo è una variabile “assoluta”, che scorre solo in avanti. E NON E’ POSSIBILE immaginarlo. Non lo è come non sarebbe possibile a chi vive in un mondo a due dimensioni (un piano) immaginare un solido tridimensionale.

Ma. Ma come sempre c’è un ma, perché l’umanità è ricca di persone piene di immaginazione. E quindi un giorno è arrivato Guy Murchie, che ha scritto il libro “Music of Spheres”, all’interno del quale c’è l’illustrazione che ho riprodotto con pazienza visto che in rete non ne ho trovato traccia.

Per capire il parallelo, è necessario fare riferimento alle antiche conoscenze delle medie, quando ci hanno spiegato il teorema di Pitagora, secondo il quale il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Il che significa che se “teniamo ferma” l’ipotenusa e facciamo variare i cateti, otteniamo infinite combinazioni di cateti la somma dei cui quadrati è uguale a quel quadrato che abbiamo “tenuto fermo”. E ora guardiamo la figura. Il quadrato sull’ipotenusa rappresenta il continuum spaziotemporale, uno dei cateti rappresenta lo spazio (o meglio il quadrato costruito su di esso) e il quadrato costruito sull’altro cateto rappresenta il tempo.

Spaziotempo

 

La parte azzurra del disegno rappresenta il continuum spaziotemporale, mentre la parte rossa e la parte verde sono due esempi di come rappresentare quel continuum. Nella parte verde la superficie occupata dal tempo è molto elevata, nella parte rossa è molto elevata la superficie occupata dallo spazio.

Quel che ci dice Einstein è che sia l’osservatore verde sia l’osservatore rosso vedono la stessa cosa, lo stesso continuum azzurro, semplicemente è rappresentato in due modi diversi. E allora, consentitemi di ripetere qui di seguito i versi di Blake.

Per vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un paradiso in un fiore di campo,
Poni l’infinito nel palmo della mano
E l’eternità in un’ora.

E’ un po’ come la mela di Newton. Solo che la gravità non è una “forza”, ma una deformazione dello spaziotempo. Per cui quella mela può essere immaginata come la Terra, che ruota attorno al sole non perché c’è una forza che l’attrae, ma perché la curvatura dello spaziotempo la obbliga a muoversi su quella traiettoria. Una mela intelligente, insomma…

 

D’interiorità, di fisica moderna e di soprannaturale. Completo di premessa sui quaquaraquà

<Premessa_che_non_c’entra_col_post>
Purtroppo questo non è “un blog che affronta tematiche sociali“. Quindi non parlerò di “BDSM tarocco” nè del nesso di causalità tra sostanze chimiche e omosessualità, né di “Upskirt“, né di dimensione (chissà di cosa?) che conta o che non conta, tutti argomenti profondi e che ovviamente hanno un riflesso filosofico e socio-culturale importante, anzi fondamentale, e che DEVONO far parte di “un blog che affronta tematiche sociali“. Mi domando perché nei blog che “affrontano tematiche sociali” non si parli anche di scie chimiche o della piramide trovata su Marte, che mi sembrerebbero argomenti altrettanto profondi e filosoficamente ficcanti.

Per questo blog faccio fatica a trovare una definizione che vada oltre il titolo. Pensieri occasionali. Tutto qui. Potremmo discutere se un’opinione sulle misure del pistolino sia un pensiero. A me pare che la frase “pensare alle misure del bigolo” sia un ossimoro. Ma tant’è. Ognuno ha le sue fisse, e come sempre mi definisco il profeta del libero arbitrio.

A titolo di “excusatio non petita” mi corre l’obbligo di sottolineare anche io, come già fatto da altri, che questa premessa non si riferisce ad una persona singola, ma ad una categoria: quella che Sciascia definiva i “quaquaraquà”, che vengono dopo gli ommeni, i mezz’ommeni, gli ommenicchioli e i pigliainculo. Soprattutto dopo i pigliainculo. Perché per prenderlo in culo serve una certa dignità, della quale il quaquaraquà non dispone. Il che non significa che il quaquaraquà non lo prenda in culo, soltanto che lo faccia con meno dignità dei piglainculo. In rete è pieno di quaquaraquà, alcuni usano termini desueti come “blogosfera” riferendosi all’intero mondo della rete, il che è francamente patetico, considerando che siamo alle soglie di Internet 3.0. Per capirci, è un po’ come se qualcuno ancora pensasse che il Sole giri attorno alla Terra, o che l’intero Universo sia costituito dal solo Sistema Solare.
</Premessa_che_non_c’entra_col_post> (I quaquaraquà capiranno il riferimento ai tag? Mah!)

Questa immagine è nota come "I pilastri della creazione", è stata scattata dal telescopio Hubble. La trovo molto adatta all'argomento.

Questa immagine, nota come “I pilastri della creazione”, è stata scattata dal telescopio Hubble. La trovo molto adatta all’argomento.

La considerazione sull’Universo ci porta dritti al cuore del post, che prende spunto da un haiku di Ivano, che lui argutamente chiama I.Q. giocando con la pronuncia anglofona, e che solo per questo calembour meriterebbe la mia stima. Ma in realtà Ivano è persona profonda, almeno tale appare dai racconti che scrive, anzi da come scrive in generale. Ho parlato spesso in queste pagine di interiorità complesse. Ecco, a me pare che Ivano disponga di un’interiorità di quelle che io definisco complesse, per cui quando ha postato il suo haiku, ho commentato dicendo che mi sembrava che la sua invocazione al Padre, indicativa evidentemente di fede, cozzasse un po’ con l’idea che mi ero fatto di lui.

Ho ricevuto risposte sia da Ivano sia da Primula, entrambe interessanti e acute, e ho detto a entrambi che un commento non riusciva a sintetizzare il mio pensiero in modo appropriato, e che pertanto avrei scritto un post.

Avviso ai naviganti: sarà una roba lunga, e forse neanche semplicissima.

Parto da lontano, cioè dalla mia passione per la fisica moderna. Per intenderci, parlo della fisica post-Newtoniana, quella che nasce all’inizio del ‘900, con la teoria della relatività ristretta prima, e quella generale poi, da parte di Einstein, e successivamente con lo sviluppo della meccanica quantistica, scienza che studia i fenomeni che accadono nel mondo delle particelle sub-atomiche.

Mi appassiona questa materia, pur non potendomene definire un esperto, perché dimostra sperimentalmente come esista una discrasia tra quello che noi percepiamo e quello che succede “realmente“. E’ chiaro ed evidente che noi disponiamo di un apparato sensoriale estremamente sofisticato, che ci fa percepire la realtà fisica in un modo che difficilmente può essere messo in discussione tout-court. Ciò è talmente vero, che la fisica Newtoniana ancora oggi è usata per applicazioni pratiche delle quali usufruiamo tutti i giorni, come ad esempio la costruzione degli edifici nei quali viviamo. Al tempo stesso però, oggi, dopo l’avvento della meccanica quantistica, noi usiamo oggetti che si basano su effetti che noi non abbiamo modo di percepire e riscontrare con il nostro apparato sensoriale. Tutti noi usiamo un computer, o uno smartphone, o semplicemente un’automobile con una centralina che regola il flusso di carburante. Ecco, alla base di tutte queste cose c’è un fenomeno, che si chiama “effetto tunnel“. Questo fenomeno consente ad un elettrone, qualora si verifichino determinate condizioni all’interno di un pezzo di silicio, di “passare attraverso” una barriera di energia che teoricamente non potrebbe mai superare. Riportata nel macromondo, questa cosa corrisponde a qualcuno in grado di attraversare un muro di cemento armato.

Orbene, mentre noi ci troviamo seduti sul divano di casa nostra, abbiamo piena contezza del fatto che il pavimento su cui camminiamo è strutturato per reggere il nostro peso e quello dei mobili, e altresì piena contezza del fatto che se sovraccarichiamo il pavimento probabilmente si aprirebbe un buco (fisica Newtoniana). Se, mentre siamo su quel divano, prendiamo il nostro smartphone per rispondere ad un commento su wordpress, ecco, non abbiamo esattamente contezza del fatto che in quel momento ci sono milioni di miliardi di elettroni che stanno attraversando barriere di energia tanto invalicabili per loro quanto lo sarebbero per noi le mura della nostra casa. E altrettanto non riusciamo ad avere contezza del fatto che il tempo scorre differentemente se si viaggia a velocità comparabili con quella della luce. Sembra irreale e poco pratico? Ebbene non lo è. Nei nostri navigatori GPS è inserita una correzione che tiene conto del fatto che il tempo sui satelliti da cui arrivano i dati scorre differentemente, se quella correzione non fosse presente le nostre mappe “scivolerebbero” di circa dieci chilometri al giorno.

Potrei parlare anche dell’entanglement, che è una delle cose su cui Einstein si dannava l’anima, un effetto per cui due particelle legate restano legate anche se sono allontanate a distanze enormi. E come si verifica il legame? Semplice, stimolando una particella l’altra reagisce istantaneamente indipendentemente dalla distanza a cui si trova dalla prima. E perché Einstein si dannava l’anima? Perché esiste un assioma, rimasto inconfutato dall’evidenza sperimentale, secondo il quale è impossibile viaggiare a velocità superiori a quella della luce, pari a trecentomila chilometri al secondo, circa. Ebbene, se le particelle di cui parlavamo si trovano a un anno-luce di distanza (che è la distanza coperta dalla luce in un anno, quindi trecentomila chilometri moltiplicato il numero di secondi presenti in un anno, cioè circa trentuno milioni e mezzo, per un totale di quasi diecimila miliardi di chilometri), e continuano a reagire su base istantanea, questo potrebbe significare che esiste una trasmissione di informazione con una velocità ben superiore a quella della luce, visto che riesce in un istante a coprire la stessa distanza che la luce copre in un anno. Studi successivi hanno portato a un’altra ipotesi, assai più suggestiva e affascinante: esiste una realtà distribuita, in cui due particelle legate (entangled) costituiscono un unico pezzo di realtà anche se sono allontanate di decine di migliaia di miliardi di chilometri.

E allora? Cosa c’entra tutto questo con la religione? Non moltissimo, se preso così. Vi chiedo ancora un po’ di pazienza.

Esiste un’altra branca della scienza che utilizza un approccio mirato a superare il meccanicismo newtoniano. E’ l’approccio sistemico, che consiste nel considerare i sistemi non lineari come tali, nella loro complessità, senza tentare di semplificarli e linearizzarli. L’approccio meccanicistico non consente di studiare i sistemi non lineari, a causa di limiti intrinseci negli strumenti matematici utilizzati. Le equazioni differenziali, uno degli strumenti più sofisticati della matematica, riescono a modellare “solo” realtà moderatamente complesse. Attenzione, non sto banalizzando. Le equazioni di Maxwell sono ancora oggi usate per la realizzazione di antenne radiomobili, oltre che in mille altre applicazioni infinitamente più sofisticate. Ma se consideriamo la terra come un unico sistema, e consideriamo la frase di Lorenz, padre degli attrattori omonimi, “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?“, ecco che ci troviamo di fronte a complessità non affrontabili con la matematica usata nell’approccio meccanicistico. E qui inizia ad entrare in ballo l’approccio sistemico, che vede un sistema complesso come un insieme di parti ma, al contrario dell’approccio meccanicistico, non sostiene che riducendo il sistema complesso a parti elementari e studiando le singole parti si arriva a capire come funziona il tutto. E anzi, si concentra sul concetto di “proprietà emergenti”, definite come quelle proprietà che nascono, “emergono” per il fatto stesso che degli organismi più semplici si sono uniti per formare un organismo più complesso.

Questo approccio porta a dimostrare che, se noi riavvolgessimo il “film” della vita sulla Terra, non è affatto evidente che torneremmo all’uomo, per lo meno all’uomo che conosciamo. Questo aspetto è quello che trovo più intrigante dell’approccio sistemico, e penso che possa essere la base per rispondere (senza pretendere di avere la risposta) al cosiddetto “Paradosso di Fermi”. Fermi, sulla base di indagini statistiche assolutamente solide, calcolò che, considerando solo l’Universo conosciuto, esistono mille miliardi di miliardi (dieci elevato alla ventesima) di pianeti come la Terra. Vale a dire pianeti con una stella alla giusta distanza per avere il giusto calore, con un’atmosfera fatta di azoto idrogeno e ossigeno, eccetera eccetera eccetera. Insomma parliamo di mille miliardi di miliardi di pianeti dove, teoricamente, si sarebbe potuta sviluppare la vita come sulla terra. Ecco, il paradosso di Fermi, nella sua formulazione più semplice, recita: “Dove sono gli altri?” Se usiamo l’approccio sistemico possiamo immaginare che ci siano altre forme di vita che non siano affatto antropomorfe. Forme di vita sviluppatesi milioni di anni prima della nostra e oramai estinte, ovvero ad un livello di conoscenza tale rispetto a noi pari al nostro rispetto alle formiche. Se noi costruiamo un’autostrada, una colonia di formiche che si trova nelle vicinanze è in grado di comprenderne il significato?

Se siete arrivati sino a qui, complimenti. Qui inizio a parlare del mio rapporto con il sovrannaturale.

Innanzitutto, io credo sinceramente che la nostra spiritualità, così come i nostri sensi, così come la nostra intelligenza e la nostra capacità di astrazione e immaginazione, siano proprietà emergenti del nostro organismo. Per questo motivo, credo che non esista un’anima separata dal corpo, ma sono fermamente convinto che la nostra spiritualità sia per l’appunto legata indissolubilmente al nostro corpo.

Credo altresì che siamo, in fondo, acqua e carbonio. E in quanto acqua e carbonio, ancorché parte di un organismo autopoietico (e la pippa sull’autopoiesi ve la risparmio) rimarremo parte di questo universo. Forse in un’altra forma. Non mi riferisco alla reincarnazione. Mi riferisco al fatto che in altre parti di questo immenso Universo le particelle subatomiche che ci compongono potrebbero essere riaggregate in qualcos’altro. O forse potremmo vivere in un Multiverso, cioè in un sistema di infiniti Universi, e chissà in quale potremmo finire, e chissà attraverso quale incomprensibile canale di comunicazione tra l’uno e l’altro Universo. Ma. Ma cerchiamo di essere pragmatici. L’intera storia dell’uomo (dall’Homo Erectus intendo) rappresenta poco più di un battito di ciglia in questo Universo. La nostra vita è una minuscola, insignificante frazione di quel battito di ciglia.

E veniamo al punto, alle religioni e al soprannaturale. Per quanto attiene alle religioni, parlando delle tre religioni monoteiste sono tutte fondate su una serie di dogmi che prevedono una visione antropomorfa dell’Universo, il che, dal mio punto di vista, è sufficientemente dogmatico da meritare di essere rifiutato ab origine. Un poco diverse sono le religioni orientali, che si avvicinano maggiormente ad una visione filosofica che, curiosamente, ha dei punti di contatto impressionanti proprio con la fisica subatomica. Stati coscienziali superiori nei quali si raggiunge l’illuminazione buddista, altro non sono che la capacità di abbandonare la nostra percezione basata sui nostri sensi della realtà e avere una visione dell’Universo a tutto tondo, comprensiva quindi dei fenomeni quantistici e relativistici di cui si diceva.

In tutto questo, io non ho certezze, tranne quella della caducità della nostra esistenza, naturale visto che siamo organismi autopoietici imperfetti, e quindi nel tempo tendiamo a “degradare” sino a morire. Per quanto ho detto sopra, la morte del nostro corpo corrisponde alla fine della nostra spiritualità, legata indissolubilmente ai nostri neuroni che interagiscono col resto del nostro corpo. Ma l’acqua e il carbonio che ci compongono restano. E chissà dove andranno a finire. Io me lo domando tutti i giorni.

Il tempo è relativo

Persistenza_1Il mio buon amico masticone, commentando il post su Einstein, mi ha detto che avrei dovuto fare il fisico. E questo ha riportato alla mia memoria un episodio, di quando ero appena laureato. Il mio prof di Fisica II mi cercò, e mi propose di fare il ricercatore. In realtà non era ancora professore, era l’assistente del professore. Erano i tempi in cui stava nascendo Tor Vergata, la seconda università di Roma, e un manipolo di validi assistenti aveva finalmente la possibilità di avere la cattedra. E lui si acchiappò la cattedra di Fisica II a Ingegneria, Io lo ammiravo tantissimo per il modo con cui insegnava, scanzonato ma rigoroso al tempo stesso, e anche per il suo nome, perché si chiama Folco, un nome che per me era un nome evocativo di mondi lontani e oceani inesplorati. La proposta mi tentava, e molto, ma fu lui stesso a dire una cosa che mi dissuase completamente. Mi disse che lui proveniva da famiglia ricca, e quindi poteva mantenere un tenore di vita decente nonostante lo stipendio universitario. E disse anche che se avesse dovuto vivere di quello, sarebbe stata veramente dura. Ho apprezzato molto l’onestà intellettuale, l’ho ringraziato moltissimo, e ho deciso di fare altro.

Ma evidentemente, come dice masticone, la passione per la scienza mi è rimasta nel sangue, e come gli ho detto rispondendo al suo commento, quello che mi ha sempre affascinato nello studio, e in particolare negli studi scientifici, come la matematica e la fisica, è la scoperta. La scoperta di cose che non so, il “vedere” cose che magari erano lì, sotto il mio naso, ma che non avrei mai pensato di osservare. Il “capire come funziona”. Ci sono cose che per essere comprese richiedono degli strumenti complessi. Matematica superiore, derivate parziali, trasformate di Fourier e di Laplace, e via discorrendo. Per cui di norma matematica e fisica vanno di pari passo. Quello che, lo ribadisco ancora una volta, mi ha invece affascinato della teoria della relatività ristretta di Einstein, è proprio l’esprimibilità dei concetti base senza ricorrere ad alcuno strumento matematico complesso. E addirittura, la possibilità di fare discorsi qualitativi, ma che fanno comprendere l’essenza della teoria.

E siccome una delle cose che mi piacciono tanto è condividere l’informazione, e credo di essere in grado di farlo in modo relativamente (ahah) chiaro, vorrei tentare di trasferire il concetto di relatività del tempo.

I fondamenti della teoria sono due: il primo è che se due persone si stanno muovendo una rispetto all’altra con un movimento rettilineo e a velocità costante, non è possibile stabilire chi sia fermo e chi si muove, e il secondo è che la velocità della luce è costante in qualunque sistema di riferimento. Questa seconda affermazione è meno banale di quanto possa apparire ma per ora non andiamo oltre.

Einstein 1Dovendo misurare il tempo, immaginiamo un orologio basato su un principio semplice. Due specchi posizionati ad una certa distanza tra di loro, con un raggio di luce che “rimbalza” dall’uno all’altro, indefinitamente, e supponiamo di avere un sistema per contare i rimbalzi. Non importa quanto sia complesso realizzarlo in pratica, ai fini del ragionamento. Ovviamente la luce si muove in linea retta, quindi se i due specchi sono paralleli il raggio di luce non “scapperà” fuori. Nella figura qui accanto c’è uno schemino che sintetizza questo dispositivo teorico.

Ora supponiamo di avere uno di questi orologi accanto a noi, e di darne uno al nostro amico Bob, e che Bob si trovi a bordo di un veicolo che si muove rispetto a noi in linea retta a velocità costante. Ad esempio, supponiamo di trovarci sul marciapiede di una stazione ferroviaria e che il nostro amico Bob sia su un treno che passa senza fermarsi.

Ora immaginiamo di scattare tre fotografie molto velocemente, in modo da fotografare l’orologio del nostro amico mentre il raggio di luce si sta muovendo da uno specchio all’altro. Se sovrapponiamo le tre foto otteniamo una cosa di questo tipo, dove non è ancora rappresentato il raggio di luce. Questo schema rappresenta l’orologio in movimento di Bob così come appare a noi che lo stiamo osservando da fermi.Einstein 2a

Ora facciamo un semplice ragionamento. Supponiamo che siamo stati sufficientemente veloci a scattare da cogliere i momenti in cui il raggio di luce è rimbalzato sugli specchi, ciò significa che il percorso della luce che noi vediamo è rappresentato da questa figura.Einstein 2b

È intuitivo che il percorso compiuto dalla luce è più lungo. Ma siccome inizialmente abbiamo postulato che la velocità della luce sia costante in qualsiasi sistema di riferimento, ciò significa semplicemente che se il percorso è più lungo, e la velocità è la stessa, allora il tempo deve essere maggiore. Che cosa significa tutto questo? Significa che il tempo di Bob, che io osservo, scorre più lentamente. Ed è per questo che il gemello che parte torna più giovane. Solo che questo effetto diventa misurabile quando le velocità iniziano ad essere comparabili con quella della luce. Per avere un’idea, la velocità della luce è di 300.000 chilometri al secondo, mentre un aereo di linea si muove a circa 200 metri al secondo…

Io credo che messa in questi termini la relatività sia comprensibile a chiunque. E’ evidente che ci sono anche altri aspetti, più complessi, che implicano la necessità di eseguire dei calcoli, eccetera. Ma. Ma intuitivamente, qualitativamente come si dice quando si parla di scienza, l’idea alla base della teoria brilla sfavillante nella sua evidenza, nella sua semplicità. Al punto da far scattare la domanda “ma perché non l’ho visto?”. Ecco, perché? Era lì. Aspettava solo di essere scoperta.

Giangius, che mi onora leggendomi e commentandomi, faceva notare come l’humus scientifico degli anni intorno al 1905 era favorevole per effettuare la scoperta. E io sono assolutamente d’accordo. Erano i tempi in cui si pensava che ci fosse il cosiddetto “etere”, il mezzo all’interno della quale la luce doveva propagarsi. Essendo la luce di natura ondulatoria, si riteneva avesse bisogno di un mezzo, l’etere per l’appunto, per potersi propagare. Michelson e Morley, una coppia di scienziati dell’epoca, misero in piedi un esperimento che, contrariamente alle aspettative, dimostrò che l’etere non esisteva.

Ma il mio punto è sempre lo stesso. E’ verissimo che l’humus era favorevole, ma è altrettanto vero che una rivoluzione di questo tipo è geniale. Soprattutto quando si pone in modo così semplice, lineare, ed evidente. Ecco, tutto qui.

Einstein era un genio

Einstein“Apperò! Hai altre rivelazioni sconvolgenti, tipo che il sole sorge a oriente?”

Questo direi io, se leggessi un titolo così. Eh sì, è veramente la scoperta dell’acqua calda. Ma al netto della retorica usuale, ho avuto modo di apprezzare appieno la genialità di Einstein da qualche settimana. Sto seguendo questo corso su Coursera.org, il sito che organizza corsi in collaborazione con le massime università americane, di cui avevo parlato, qualche post fa.

Il corso sulla relatività ristretta (o speciale, in funzione dell’attitudine del traduttore) è alla portata di chiunque abbia una preparazione matematica di base (il massimo che sia richiesto è algebra lineare, equazioni di primo grado per capirsi) e tanta voglia di far vagare la mente in universi strani. E non si tratta di un mero corso scientifico, grazie al cielo. C’è una parte iniziale del corso nella quale si percorre la vita di Einstein fino al cosiddetto “anno del miracolo”, il 1905, nel quale Einstein pubblicò il suo lavoro sulla relatività ristretta e altri articoli fondamentali.

Quello che colpisce seguendo le lezioni, è la semplicità. E’ un po’ difficile da spiegare, provo con un esempio. I postulati con i quali Einstein è partito sono molto semplici e molto lineari. Il primo è che la velocità della luce è costante indipendentemente da dove la si stia osservando, il secondo è che se due persone si stanno muovendo una rispetto all’altra a velocità costante e seguendo una retta, è di fatto impossibile dire chi sia fermo e chi sia in movimento, in quanto soggettivamente ciascuno dirà di essere fermo e che l’altro si sta muovendo. Da questo discende che tutto ciò che vale in un sistema fermo deve valere anche in un sistema che si muove a velocità costante. Niente di realmente trascendentale, ma. Ma c’è un ma. Ma se si segue correttamente il nesso di causalità che discende dai postulati, si arriva a capire che il tempo così come ce lo immaginiamo e ce lo siamo sempre immaginati non regge, non regge come concetto. Per cui il signor Albert, che, si noti bene, all’epoca lavorava in un ufficio brevetti, non era in un’Università a misurarsi con le massime menti speculative del secolo, il signor Albert, chiacchierellando con un amico a proposito dei suoi studi, ebbe a dire “Hmmmmmmm, il tempo è sospetto”.

Siamo nel 1905. La fantascienza non esisteva neanche. Il tempo era una roba assoluta. Lo era non dai tempi di Newton. Lo era dai tempi di Aristotele. Mettere in discussione un concetto di questo tipo, specialmente nel contesto dell’epoca, è qualcosa che rasenta la follia totale. Che non a caso confina con la genialità. E la cosa assolutamente fantastica è che andando dietro a questa stupefacente, fantastica, totalmente rivoluzionaria intuizione, escono fuori delle meraviglie che ti lasciano totalmente a bocca aperta. Perché altro è sentir parlare di relatività, altro è andarci dentro, scoprendo che non servono strumenti matematici evoluti, ma è sufficiente un po’ d’algebra, e con dei semplici ragionamenti si arriva a concepire un’idea di tempo che è totalmente differente da quella che siamo abituati a considerare. Il che non significa che da domani mi cambia la vita, perché gli effetti della teoria si vedono in condizioni che non capitano nella vita di tutti i giorni. Ma poi, non è neanche del tutto vero questo. Perché combinando teoria della relatività ristretta e teoria della relatività generale si dimostra in modo relativamente semplice che gli orologi a bordo dei satelliti GPS vanno avanti rispetto a quelli della superficie terrestre di qualcosa più di 35 microsecondi al giorno. Ecchissenefrega, direbbe il solito abitante dei bassifondi della Capitale. E no, invece. Perché questo anticipo significa che ci sarebbe uno sfasamento di circa 10km al giorno, se non se ne tenesse conto. E quindi i navigatori oggi funzionano anche perché Albert aveva ragione, a rifiutarsi di considerare il tempo come una variabile assoluta.

Ed è nella semplicità che si nasconde la bellezza. Sino ad arrivare ad un punto in cui della bellezza si può dare una definizione quantitativa, a quanto pare. Sto leggendo un libro, e sono in grande ritardo perché il corso mi assorbe più di quanto non avessi preventivato (ed è anche in arrivo un racconto, fatto come compito facoltativo). Il libro si chiama “L’universo elegante”. Parla delle ricerche mirate a trovare una unica teoria unificante che riguarda il funzionamento dell’Universo. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Pare che esistano delle piccole incongruenze tra la meccanica quantistica e la relatività generale, che impediscono a tutt’oggi di avere una teoria di questo tipo. Il punto a cui voglio arrivare è che gli sforzi maggiori si incanalano nell’approfondimento di teorie “belle”. Dove per bellezza si intende innanzitutto una linearità di ragionamento che deve sottendere l’intera teoria, ma anche dei canoni di simmetria che sono alla base della quantificazione della bellezza di cui parlavo poc’anzi.

Ed è questa la genialità. Scoprire o rivelare delle cose che erano lì (perché parliamoci chiaro, è tutto lì, bisogna solo vederlo…) spiegandole con semplicità. Ed Einstein era semplice anche nell’enunciazione della sua spiritualità, quando diceva “Subtle is the Lord, malicious He is not.” Che significa che il Signore è complesso, è sottile, ma non è malizioso. Tutto risponde ad un disegno, ad una modalità di funzionamento che è indipendente dallo specifico luogo e dallo specifico tempo. E quindi non c’è trucco e non c’è inganno. Bisogna magari fare dei ragionamenti complessi per arrivare al nocciolo, ma non ci sono sorprese, una volta scoperto il funzionamento. Non c’è la fregatura. Ma la frase che in assoluto mi piace di più è questa: “There remains something subtle, intangible and inexplicable. Veneration for this force beyond anything that we can comprehend is my religion.” Vale a dire che rimane sempre qualcosa di sottile (che torna…), intangibile e incomprensibile. Dietro questa incomprensibilità delle cose, c’è una forza. La religione di Einstein era la venerazione per questa forza. 

Che bello. Nel senso rinascimentale del termine. Che ho scoperto essere prossimo a quello scientifico.

Di schiene doloranti, di corsi e di paure

Ernia del discoE’ una vita che combatto con ‘sta roba che si vede a sinistra. Nel 2001 c’era un’offerta speciale, un 3×2, e così ne avevo prese 3 e via. Una addirittura espulsa. E però dopo delle terapie, alcune delle quali oltre il limite dello sciamanesimo e della stregoneria, ero rimasto sereno e relativamente tranquillo sino a qualche settimana fa, quando dei dolori lancinanti al nervo sciatico mi hanno fatto sospendere la corsa. Sereno e relativamente tranquillo significa comunque un contatto costante con il mio osteopata di fiducia, dal quale mi reco periodicamente per quelli che io chiamo “tagliandi”. Peraltro da quando avevo iniziato a camminare prima, e a correre poi, lo stato generale era migliorato decisamente, e addirittura la spina carcaneale e la rizoartrosi al pollice sinistro erano regredite significativamente, merito credo ascrivibile alla migliore tonicità muscolare. E insomma dopo un po’ di tentativi ho fatto l’ennesima risonanza magnetica della mia vita e olllllléééééééé, ecco lì la quarta ernia del disco, sioresiori!! Il mio morale era sotto i tacchi, ma il fido osteopata mi ha rincuorato, e mi ha promesso che mi avrebbe consentito di ricominciare a correre. La magia si chiama ozonoterapia. Sono alla quarta applicazione e i dolori sono scomparsi, ho ricominciato a fare la camminata veloce per ora, e incrocio le dita. Lui (l’osteopata, che poi è anche medico e omeopata) sostiene, e non ho motivo di dubitare di lui, che non esiste nesso di causalità tra corsa ed ernia del disco. In altre parole, l’ernia viene per problemi posturali, la corsa non incide sulla formazione, ma ovviamente non è consentita mentre l’ernia duole. Pare che l’ozono abbia la “magica” capacità di farla rientrare, e quindi taaaac. Speriamo.

Saltando di palo in frasca, ho scoperto Coursera. E’ un sito che eroga corsi in modalità online. Sono filmati corredati di materiale aggiuntivo, con test e quiz in corso d’opera, e si rilascia un attestato di partecipazione. Le materie sono le più varie, mi ha colpito il fatto che è totalmente gratuito, e che le persone che insegnano sono per la maggior parte professori emeriti delle principali università mondiali. Unico neo, la stragrande maggioranza dei corsi sono tenuti in inglese, ed è necessario avere una buona padronanza nella comprensione, anche se sono disponibili sottotitoli (sempre in inglese). Mi sono iscritto e sto seguendo un corso su Einstein e la relatività ristretta, che è svolto ad un livello qualitativo per cui non richiede competenze matematiche eccelse. Mi pare un buon modo per cominciare. L’impegno richiesto è di qualche ora a settimana, assolutamente fattibile. Trovo che sia un’iniziativa stupenda, ed è un modo per tenere la materia grigia in movimento, che aiuta sempre.

Chiudo con un video di TED, che parla di paura. E come la paura può stimolare la nostra immaginazione, e cosa possiamo imparare dalla nostra paura. Ci sono i sottotitoli in italiano.

Poi dice che uno

Ve lo ricordate Totò, sì? Il famoso “Poi dice che uno si butta a sinistra”. No no, non è un post politico. Per scrivere un post politico dovrei prendere preventivamente dosi massicce di Peridon per evitare attacchi di vomito, visto quello che sta succedendo in questa campagna elettorale.

E’ un post sulle affinità, e il “poi dice” si riferisce a “poi dice che uno si fissa con la meccanica quantistica”, “poi dice che uno la mena continuamente con l’entanglement”, “poi dice che uno si mette a parlare degli stati coscienziali superiori”.

I fatti. Ieri sera stavo guardando un film. Perché la finale di Sanremo no. Ma proprio no. Guardavo questo film, “W.” di Oliver Stone, veramente appassionante, e alla fine del film decido una prima volta di andare a dormire (in realtà poi mi sono messo a vedere “Il Patriota” e sono andato a dormire alle 2); prima di andare mi affaccio su Facebook, e scorrendo la mia bacheca trovo questo post di elinepal (i nomi sono anneriti, per questioni di privacy; chi conosce elinepal sa come raggiungerla)

Post Eli short 1Guardo il nome, e le prime righe. Mi viene in mente che, uhm, quel viso non mi è nuovo. Mi pare che… ma no, non è possibile. Controllo. Faccio una piccola search sul blog, e rispondo a elinepal

Post Eli 1Più di sei mesi fa avevo scritto di questo signore, Giles Duley, in questo post, raccontando la sua storia, perché mi aveva molto colpito la sua doppia rinascita, la prima quando ha abbandonato la professione di fotografo di moda per diventare un fotografo utile agli altri, la seconda, molto più dolorosa e coraggiosa, dopo la mutilazione, diventando un testimonial vivente contro le mine antiuomo. E oggi, sei mesi dopo, la cara elinepal viene colpita esattamente dalla stessa storia. E non solo, la scrive su Facebook. E non solo, io mi trovo lì proprio nel mentre. Non troppo presto, non troppo tardi, giusto in tempo per leggere e per condividere. Se non sono affinità, se non è entanglment questo, cosa lo è?

E oramai è talmente una “rota” (dipendenza, cfr “Il dialetto dei bassifondi della Capitale”, Wish aka Max, ed. Adelphimicacazzi), che su suggerimento dell’ottimo Ema (che poi Ema quando te lo apri un blog così ti posso linkare?) mi sono comprato “La fisica del diavolo”, che è molto, molto divertente, e spiega in modo chiaro e semplice i principali paradossi con i quali si sono confrontati i fisici. Ovviamente la relatività generale, la relatività ristretta e la meccanica quantistica la fanno da padroni, ma c’è lo spazio anche per un raccontino in introduzione che spiega correttamente cos’è un paradosso e cosa non lo è, che voglio condividere qui, prima di passare al gran finale, neanche a dirlo quantistico, tanto per cambiare ;).

Ci sono tre viaggiatori che per una serie di circostanze si trovano a dover dormire in una stanza di albergo tutti insieme. La stanza costa 30€, per cui ciascuno di loro consegna 10€ alla receptionist. Mentre stanno salendo, la receptionist si ricorda improvvisamente che quella settimana era in vigore una promozione per cui il costo della stanza non era 30€, ma 25€. Mentre si avvia per restituire 5€, pensa che 5 non è divisibile per 3, e quindi decide di restituire ai tre viaggiatori un euro a testa, trattenendone due per sé. Ora, a questo punto abbiamo un problema. Perché ciascun viaggiatore ha pagato 9€, per un totale di 27€, e due euro li ha trattenuti la receptionist. Dov’è finito l’euro mancante?

Mentre ci pensate (Ema non puoi rispondere) vi propino un video di TED. Un po’ di tempo fa avevo parlato del fatto che portando il microcosmo nel macrocosmo si rischia di fare un gran casino, arrivando al gatto di Schroedinger. Aaron O’Connell si è messo in testa che se gli effetti quantistici valgono per i singoli atomi, e per le singole particelle subatomiche che compongono il singolo atomo, allora deve esserci un modo per farli valere anche per un insieme ordinato di atomi. Per vedere realmente, con gli occhi, gli effetti quantistici. Nessuno ha mai visto realmente una particella subatomica, la si può immaginare, si possono guardare le tracce lasciate con esperimenti tipo quello dell’interferenza, ma le dimensioni sono troppo piccole per essere realmente osservate. Ebbene, il buon Aaron dopo anni di studi e tentativi ha costruito un oggetto dove effettivamente c’è un pezzo di materia che si trova in due posti contemporaneamente. La spiegazione è affascinante, e ci sono i sottotitoli in italiano.

Ah, giusto. Dov’è finito l’euro. Quello mancante. Ecco. Questo esempio viene usato da Al-Khalili per mettere in guardia contro i falsi paradossi. Qui non esiste alcun paradosso, in realtà. Noi siamo portati a pensare in termini dei 30€ perché ci è rimasta “appiccicata” questa informazione contenuta nei dati di partenza. E quindi sembra mancare un euro. In realtà la stanza costa 25€, e i tre viaggiatori hanno pagato 27€, due euro in più del dovuto, proprio i due euro che si è intascata la receptionist. Per dire che non c’è nulla di paradossale, è solo una costruzione mentale nostra che ci porta a sommare invece che a sottrarre, per il fatto che il nostro riferimento è rimasto 30 (e ovviamente chi racconta non ha alcun interesse a fare chiarezza). I paradossi, e i finti paradossi, sono un ottimo sistema per aprire la mente, e per stimolare la parte destra del cervello. Quella intuitiva, di cui parlava Aaron. 🙂