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Marino hai rottoercà

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Ora io capisco tutto. E va bene il Papa. E va bene lo sciopero. E va bene tutto (*). Ma pure i Rolling Stones? Eccheccazzo, suonano domenica! Non era possibile aspettare a chiudere via dei Cerchi? Proprio di venerdì? E proprio il venerdì in cui gioca la Nazionale? Che sono tutti in fibrillazione e (ovviamente) aumenta il traffico perché le persone se ne vanno prima e preferiscono prendere la macchina? E dai, cazzo! Non serve un genio per capire che fai casino no?

La foto qui sopra è la Cristoforo Colombo venendo dal Raccordo verso il Palasport. Ma garantisco a tutti che la visuale di via S. Gregorio verso il Colosseo stamattina era assolutamente la stessa. E menomale che sono venuto in ufficio in motorino!!! Altrimenti non so cosa ne sarebbe uscito!!! Nonostante il motorino, mi sono trovato BLOCCATO nel mare di macchine più di una volta, finendo per impiegare qualcosa come 45 minuti per il percorso Eur-Termini, che in motorino ne richiede si e no la metà…

Ma perché non ci mettiamo uno di Roma, a fare il sindaco? Ma non uno che a Roma ci ha vissuto negli ultimi anni, e magari si è mosso in auto blu… Mettiamoci uno che a Roma ci è nato e cresciuto, che lo sa che se chiudi via dei Cerchi succede un casino dappertutto! Che se viene il tuo assessore alla mobilità e ti propone una cazzata del genere lo cacci e ce ne metti un altro… E dai cazzo!

 

(*) va bene pure ercazzochettesefrega, come diciamo nei bassifondi della Capitale, e per i non capitolini chiedete che vi spiego… 😀

Fuori dal buco

Basta. E’ ora di uscire. E’ ora di scrollarsi di dosso l’autocommiserazione (anche se debbo dire che c’è quasi un perverso piacere nel crogiolavisi) e tirarsi fuori. Allargare il buchino da dove si guardava fuori e issarsi su.

Per fortuna sono circondato da belle persone. Alcune fanno parte della rial laif, come mia sorella, Ema, maghetta e il mio amico di cui ho parlato qui, altre sono parte del virtual uorld, come Biancaneve, Luci, elllisa, comearia, kuroko, Katia, apity, Sissa, pani, altre sono a metà come Angela. Alcuni sono vecchie conoscenze, altri sono nuovi, come gli amici di Fuga da Polis, e il buon masticone, che decisamente non è più un tizio qualunque. Sicuramente sto dimenticando qualcuno e me ne scuso anzitempo. Ma ciònacertaetà.

Alcune delle persone elencate sanno molto di quello che sta succedendo, altre non ne sanno nulla. Alcune probabilmente intuiscono. Ma una cosa accomuna tutti, indistintamente. La voglia di stare vicino a qualcuno in difficoltà. Semplicemente dichiarandolo, senza offrire soluzioni, senza pretendere di insegnare nulla, offrendo semplicemente una parola di conforto. Un abbraccio, reale o virtuale. Un sorriso, reale o virtuale. E del tempo. Tempo che in questo mondo dove la frenesia la fa da padrone è merce rara, e preziosissima. Tempo per un pranzo o una cena, tempo per scrivere un’email, tempo per replicare a un post, tempo per una chat gtalk.

E insomma grazie. Grazie a tutti.

Ho capito che era il momento giusto ieri, nel traffico. In questi giorni il traffico romano è particolarmente pestifero, e io sono particolarmente irritabile, non solo per la situazione personale, ma anche perché ai lavori condominiali di rifacimento della facciata, di per se stessi forieri di stress e rotture di zebedei sparse, abbiamo pensato di aggiungere, noi furbi, la ritinteggiatura completa della casa e il rifacimento di un bagno. Vivendoci dentro. O meglio, a metà. Perché moglie e una figlia si sono trasferite al mare, mentre io e la Dottoressa Cippi siamo rimasti nel polverone e nel casino.

Mi trovavo (per chi conosce la Capitale) a Santa Maria Maggiore, nella discesa che porta all’incrocio con via Cavour dove si gira a destra per andare verso la stazione Termini. Per chi non è di Roma allego apposita istantanea di Google Maps.

Poiché quando il semaforo diventa verde la fila che gira a destra rimane ferma, per far attraversare i pedoni, mi sono accostato alla sinistra del taxi e ho preso la curva più larga, confidando sulla doppia corsia della strada sulla destra. Mentre faccio questa manovra, e passo dietro l’ultimo pedone, sento un pe-peeeeeeeeeeeee tanto imperioso quanto fastidioso, del quale oggettivamente non capivo la ragione. Mi volto, e vedo una segaligna signora alla guida di un’utilitaria. Le faccio eloquenti gesti alla De Niro (cfr Taxi Driver, “are you talking to me?”), e quando lei annuisce attendo che mi si affianchi (il semaforo di via Cavour era rosso, eh, pazzo sì ma non fino al punto di bloccare tutto), abbasso il finestrino e le chiedo perché avesse suonato. “Eh noi ci siamo fermati per far passare i pedoni e lei è andato avanti” “Sì”, ribatto, “ma i pedoni non c’erano più quando sono passato io”. “Eh ma noi eravamo fermi e lei è passato”. Le dico “Ah, capisco. E lei mi ha suonato per questo?” “Sì”.

Cos’è il genio, si diceva in Amici Miei? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Vista l’espressione segaligna, vista l’argomentazione, intuito che un insulto non sarebbe stato efficace perché era quello che la signora si aspettava, l’ho guardata per due secondi con espressione grave, dritta negli occhi, e le ho detto: “Signora, lei non sta bene”. Le è cascata la mascella ed è rimasta ammutolita, mentre sono ripartito per la mia strada sorridendo. La sua espressione mi ha ripagato di tutto lo stress da traffico della giornata.

In quel preciso momento ho capito che era ora di uscire, da ‘sto buco.

Update

Lo avevo detto che ciònacertaetà. Ho fatto una dimenticanza di quelle da chiedere pubblicamente scusa. Trattasi della mia collega informatica per caso e psicologa/attrice/runner per vocazione, più volte ammorbata a pranzo, da cui ho ricevuto una bellissima email di felicitazioni e di bentornato (e una piccola tiratina d’orecchi ;))

Scrivere, il traffico di Roma e due chicche TED

Ho voglia di scrivere. E’ da un po’ di giorni che voglio sedermi davanti al Mac e ticchettare in santa pace, leggevo qualche giorno fa su un blog (ma non ricordo assolutamente quale) che la scrittura a volte diventa una necessità, una valvola di sfogo, un imprescindibile bisogno. Non è così, per me. E però scrivere mi rilassa, il solo fatto di essere qui, di fronte all’editor di wordpress, e vedere i caratteri che pian piano riempiono lo spazio, allenta la morsa dello stress. Ché ringraziando Iddio di stress ce n’è da vendere, da queste parti, ultimamente. Basta uscire di casa, tuffarsi nella bolla di caldo e prendere la macchina, e comincia la giostra.

Il traffico di Roma è un incubo. Non esiste l’uguale, neanche a Napoli. Parlo con cognizione di causa, ho frequentato assiduamente Napoli per lavoro con l’auto, e so di cosa parlo. Il caos napoletano ha una sua logica. Perversa, ma ce l’ha. Come le regole di “Così parlò Bellavista”, quando diceva che col rosso si passa, col giallo fai come ti pare, e col verde devi stare attento perché potrebbe esserci qualcuno che passa col rosso. Queste sono regole, abbastanza singolari, ma regole. A Roma no. A Roma o fai le scorrettezze o le subisci, o sei un velociraptor o sei una preda. Tertium non datur.  E questo è indipendente, curiosamente, dal mezzo. Ho visto cinquantini effettuare prepotenze indicibili a danni di enormi SUV, e ho visto autisti di autobus accanirsi con inermi ciclisti. I velociraptor possono assumere qualsiasi sembianza, è un problema di come uno è fatto dentro. E in questo confronto costante tra vittime e carnefici si realizza la sublimazione del “tutti contro tutti”.

Io sono, manco a dirlo, un velociraptor. Se sono in scooter (la moto solo in pista, da quando ho realizzato che percorrevo il GRA a oltre 200 kmh…) prima di partire non dimentico mai di indossare il mantello di Harry Potter, quello dell’invisibilità. Perché l’automobilista medio non vede le due ruote. Ho realizzato questa drammatica verità un po’ di tempo fa. Non è una questione di cattiveria, né di modalità di guida. Se uno è in macchina, a meno di non avere un allenamento specifico, delle due ruote non si accorge. Punto e basta. Da quando ho fatto questa scoperta evito di usare il clacson. Decimi di secondo persi inutilmente, che invece possono essere dedicati all’effettuazione di una manovra di emergenza, o usati per guardare attorno anche meglio. L’automobilista che mette la freccia a destra e gira a sinistra non mi stupisce più, da allora. Quello che inchioda e accosta a destra neanche. Nella mia testa gira un complicatissimo film che tende a prevedere tutte le possibili mosse di chi mi sta davanti o accanto. E’ l’unico modo per non essere sorpresi. Ed è l’unico modo per essere un velociraptor e rimanere in piedi. Ma come si fa a fare il velociraptor in scooter? Ci si infila in ogni singolo spazio, si affiancano gli automobilisti dalla parte del guidatore (che è l’unica situazione nella quale si può avere la ragionevole certezza di essere stati visti) e li si stringe in modo da farli scansare. Si va spediti sulla linea di mezzeria pronti a scartare, si arriva sempre in prima linea al semaforo, si cerca di anticipare tutto l’anticipabile.

Se sono in macchina ho sempre uno sguardo sugli specchietti. Tutti e tre. Ciascuno dà una sua prospettiva. Fare il velociraptor in auto è più semplice per certi versi, ma spesso l’efficacia è inferiore. Sulla Colombo faccio slalom come se fossi in scooter, se il traffico è fluido. E quindi è necessarissimo guardare, specialmente per evitare gli scooter (se posso cerco di vederli). In macchina la decisione è tutto. Se arrivi deciso ti cedono il passo, se tentenni non passerai mai. Due mani sempre sul volante, alle 9.15, busto eretto, braccia e gambe piegate leggermente, come mi hanno insegnato al corso di guida sicura. E coltello in mezzo ai denti.

Rileggendo quanto ho scritto mi rendo conto che sembra il delirio di un pazzo. E nella rilettura ho limato alcuni passaggi, avevo iniziato elencando le tecniche e i trucchi principali: come “creare” uno spazio in cui infilarsi col motorino, come bypassare file in auto, eccetera. Le ho tolte per snellire, ma la verità è che Roma è una giungla. Io attraverso la città tutti i giorni, abito all’EUR e lavoro vicino alla Stazione. Se guido in questo modo ci metto una mezz’ora circa per tratta. Se guido rilassato ci metto quasi il doppio. In ballo c’è quindi un’ora al giorno, che non mi rassegno a perdere.

E la metafora dei velociraptor è molto pertinente. Come dicevo all’inizio, non c’è via di mezzo, a Roma: o perpetri angherie, o le subisci. Io preferisco perpetrarle, in nome del risparmio di tempo. Però questo clima non aiuta a guidare sereni. Sia i velociraptor sia le prede sono perennemente incazzati neri. Ed è un continuo urlare e gesticolare all’insegna di questo o di quello. Ecco, in questo io ho smesso. Non urlo più, non gesticolo più, non mando la gente a quel paese. Sono concentrato. Una macchina da traffico. Sempre alla ricerca dello spiraglio, del varco, del passaggio per sgusciare via e guadagnare qualche secondo.

In tutto questo quadretto idilliaco, ci sono poi due situazioni in cui l’inferno diventa se possibile ancor peggiore, entrambe legate ad eventi atmosferici. Quando piove, e quando fa caldo. Quando piove, la maggioranza delle persone pensa che se accelera oltre i 40 all’ora la curva successiva sarà costretta a farla in sbandata controllata. Quando fa caldo, la stessa maggioranza pensa che si possa addormentare, o almeno sonnecchiare, mentre si usa l’auto. E questo fa sì che tutte le tecniche da “macchina da traffico” diventano più complesse da utilizzare, la concentrazione deve essere ancora maggiore, e tutto diventa più complicato. E più lungo. E più lento. E quindi già sei stranito che fa caldo, ti tocca anche spendere più energie e perdere ancora altro tempo.

Come rilassarsi quindi? Con un bel video di TED, che domande! Questa volta ne metto addirittura due, sempre affascinanti. Per il primo ci sono disponibili i sottotitoli, anche in italiano. Parla di cose che diamo per scontate ma che forse scontate non sono…

Il secondo (purtroppo sottotitoli solo in inglese) parla di una cosa che mi sta particolarmente a cuore, che è il morbo di Alzheimer. La speaker ha il padre affetto dalla malattia, e lei parla di come si sta preparando nel caso in cui il mostro la dovesse aggredire. Toccante, specie nell’ultima parte.