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Blog, fai il tuo mestiere

Caro blog, se sei un serbatoio di pensieri occasionali, vuol dire che da serbatoio ti devi comportare. E siccome sono alla ricerca spasmodica di un succedaneo della corsa, ti toccherà sopportare, e accogliere nella tua pancia dei pensieri sconclusionati qualunque.

Stamattina mi è venuta in mente la parola ordalia. Non mi ero mai imbattuto nella parola ordalia prima della lettura di Dune, di Frank Herbert. Dal libro fu tratto anche un film di Lynch, ma come spesso accade la resa cinematografica di un romanzo non è mai completamente all’altezza. E ricordo che incontrai la parola proprio all’inizio del romanzo, quando il giovane Paul Atreides ne subisce una da parte della Reverenda Madre.

– Bene – disse la vecchia, – hai superato la prima prova. E adesso, ecco in che cosa consiste la seconda: se togli la mano dalla scatola, muori. Nient’altro. Tieni la mano nella scatola, e vivi. Toglila, e muori. Paul respirò profondamente per calmare il tremito. – Se urlo, in un attimo la stanza sarà invasa dai servi, e allora voi morirete!
– I servi non passeranno oltre tua madre, che è di guardia fuori da questa portá. Puoi esserne certo. Tua madre ha superato questa prova. Ora è il tuo turno. Devi esserne onorato. Molto raramente sottoponiamo dei ragazzi ad essa.
La curiosità ridusse il terrore di Paul a un livello controllabile. Non poteva negarlo: le parole della vecchia gli erano suonate sincere. Se sua madre era di guardia fuori… se questa era veramente una prova… Qualsiasi cosa fosse, sapeva di esserci dentro fino al collo, intrappolato da quella mano con l’ago, il gom jabbar. Richiamò alla mente la litania contro la paura che sua madre gli aveva insegnato, secondo il rito Bene Gesserit.
Non devo aver paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.
Sentì la calma invaderlo nuovamente, ed esclamò: – Sbrigatevi, vecchia.
– Vecchia! ribatté lei. – Hai del coraggio, non si può negare. Bene, vedremo, signor mio. – Si chinò su di lui, sfiorandolo, e abbassò la voce fino a un bisbiglio: – Sentirai dolore alla mano, nella scatola. Un dolore atroce, ma… Ritira la mano e ti toccherò il collo col gom jabbar! La sua morte è rapida come la scure che mozza il capo al condannato. Ritira la mano, e il gom jabbar ti ucciderà. Hai capito?
– Che cosa c’è nella scatola?
– Dolore.

Ecco. Questo è il senso dell’ordalia. Cosa c’è nella scatola? Dolore. Questo rappresenta la parola meglio di ogni spiegazione, meglio di ogni definizione. Una scatola vuota dove devi mettere una mano, e sai che ci sarà dolore. E non puoi sottrarti, altrimenti il gom jabbar penetrerà nella gola e ti ucciderà all’istante. Ordalìa. Ha un suono sinistro. Solo pronunciarla fa paura. Ma come dice il giovane Atreides, la paura va guardata in faccia, bisogna permetterle di attraversarci, per aprire il nostro occhio interiore e vedere da dove è passata. E dove andrà la paura, non ci sarà niente. Soltanto io ci sarò.

E la paura mi ha fatto venire in mente la fisica quantistica (e poi lo dico il collegamento, eh). C’è un filmato stupendo che illustra l’esperimento delle due fessure. Quello che fa capire come la particella possa essere in due posti nello stesso momento. E’ un cartone di pochi minuti

Ecco, il collegamento con la paura è quello finale, perché l’elettrone ha “paura” di essere osservato. E avendo paura, “decide” di fregare l’osservatore. Ma. Ma così si fa male da solo alla fine. Perché scegliendo, perde la seconda possibilità. Perde la possibilità di essere in due posti nello stesso momento. Ma alla fine non è neanche colpa del povero elettrone. E’ colpa dell’osservatore. Che vuol dire tutto questo? Boh.

Ma ho letto un interessante post di un blog che mi ha attirato innanzitutto per il nome. Il blog si chiama “Rem tene, verba sequentur”, che ha risvegliato in me delle reminiscenze antiche, quando facevo le versioni di latino ed ero uno dei pochi a cui il latino piacesse. E tacevo questo fatto, per non essere sbeffeggiato. Ma penetrare la frase latina era quasi come risolvere un’equazione, un procedimento molto molto logico. E la frase che dà il titolo al blog invita a stare sulle cose, perché nel momento in cui si conoscono le cose le parole verranno da sole. Questa frase, attribuita a Catone, rappresenta una rottura rispetto al credo aristotelico secondo cui è necessario sì conoscere, ma è necessario anche sapere come dire ciò che si conosce. In questo specifico, Catone è assai più intrigante, perché mette l’accento sull’esigenza conoscitiva, sull’approfondimento, sulla sostanza. E anche se è vero che la forma è sostanza, è anche vero che la sostanza può diventare forma. E comunque, siccome sto divagando come sempre, vorrei dire che il post cui mi riferisco è questo, e dice che se ti fai scappare una cosa l’hai persa, perché non si torna indietro. Come l’elettrone.

E chi è l’osservatore esterno che si prende la colpa? Difficile da capire, perché restiamo confinati a questo mondo. Mentre l’osservatore che disturba l’elettrone appartiene ad un altro mondo. C’è un osservatore lì fuori? Che forma ha? Siamo come le figure piane di Flatland che non conoscono la terza dimensione? Che non conoscono il volume? Esiste una quarta dimensione? Esiste l’entanglement? Quella teoria secondo la quale siccome all’inizio dei tempi, nel momento del Big Bang, era tutto unito, allora le cose sono effettivamente tutte legate, e la distanza tra particelle è un di cui? E se io prendo due elettroni appartenenti allo stesso atomo, ne porto uno a distanza ragguardevole, e lo stimolo, l’altro risponde. Ecco questo entanglement, ha applicazioni pratiche nel macromondo? Esistono comunicazioni extrasensoriali?

E che ne so? Così risponderebbe Quelo. Sai a che ora me so’ alzato stamattina? Alle 7 meno un quarto, e la bambina mi ha vomitato in macchina.

Cena da blogger

Per una serie di circostanze delle quali non sto a dire (perché altrimenti violerei un patto di riservatezza)(e chi mi conosce sa quanto io tenga alla riservatezza) per una serie di circostanze, dicevo, questa sera ho ospitato a casa mia, con enorme piacere e soddisfazione, elinepal e masticone.

E’ stata una di quelle serate alla fine delle quali il pensiero dominante, per quanto mi riguarda, è: “sono felice di essere nato in questa epoca; se avessi vissuto in un’altra epoca, non avrei avuto una chance come questa”.

A quale chance mi riferisco?

Chi non ha un blog, chi non frequenta assiduamente la rete, chi disprezza il mondo virtuale, per favore non continui a leggere. Si stanno per fare affermazioni che possono ulteriormente esacerbare il già cattivo rapporto con Internet.

La chance alla quale mi riferisco è quella di trascorrere una serata piacevolissima, essendo sicuri in partenza che lo sarebbe stata, semplicemente perché le persone con cui si è stati a cena, le si “conosceva”. E le virgolette fanno la differenza. Perché io masticone ed elinepal non li avevo mai visti. Ma li “conoscevo”. Li conoscevo perché innumerevoli volte ci siamo confrontati sui rispettivi blog. Li conoscevo perché ci siamo scambiati un numero significativo di email. Li conoscevo perché gli scambi sono avvenuti sotto l’egida di un comune sentire, di affinità che si sono manifestate prima, e perfezionate poi. E che hanno portato ad una cena densa di scambi, di chiacchiere, di discussioni filosofiche, etiche e di vita vissuta.

Grazie alla rete, che permette di ampliare i propri orizzonti e conoscere delle belle persone. Con cui condividere cose straordinarie. Come il fatto che una poesia, da me raccolta dal web nel corso di una delle mie peregrinazioni alla ricerca perenne del bello, costituisce l’incipit di un libro che ha un significato particolare per tutti e tre (e io non lo sapevo prima, eh)

Una delle tante, tantissime dimostrazioni che niente è per caso.

E quindi grazie masticone, per l’arguzia, la simpatia e i complimenti. E grazie elinepal, per la delicatezza, la sensibilità e la gentilezza. E speriamo di rifarla presto.