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A mezz’acqua

Martedì scorso mi sono trovato a pranzo con elinepal, e ci raccontavamo un po’ di cose reciprocamente. Lei mi aggiornava sulla sua situazione di cuore, che definirei “felicemente tormentata”. Perché, parliamoci chiaro. Solo Grillo e il suo manipolo di Cittadini riescono a far sembrare semplice tutto. Nella vita reale le cose sono sempre molto complicate. E le cose belle spesso sono le più complicate di tutte. Per questo quell’apparente ossimoro. Perché spesso ci si trova nel dilemma: questa cosa è bella, ma comporta una serie di complicazioni e di problemi. La porto avanti e mi carico l’onere dei problemi, oppure lascio stare? Debbo dire che una delle cose che apprezzo di più di elinepal è l’onestà intellettuale. E’ una delle persone che conosco che sono in grado di ammettere di aver sbagliato, e di tornare sui propri passi. Anche se significa infilarsi in una situazione felicemente tormentata.

Per conto mio, le dicevo di me, e del fatto che ho un po’ di questioni appese che non mi fanno star sereno, ancorché mi renda conto che non solo mi trovo in una situazione di privilegio, ma posso anche contare su una serie di problemi risolti al mio attivo, che oggettivamente mi dovrebbero risollevare e sostenere. Per inciso è sull’onda di questi ragionamenti che ho postato Butterfly Circus, che, come ho detto in alcune repliche a dei commenti ricevuti, è servito innanzitutto per me medesimo. E comunque, dicevo ad elinepal che mi sentivo in una situazione piena di incertezze, per cui la sensazione che prevaleva in me era quella di sentirsi immerso nell’acqua a mezza altezza, con dei grandi punti interrogativi che mi giravano intorno.

Ed elinepal mi ha immediatamente detto “sai dovresti parlarne con kuroko, sono sicura che ne potrebbe cavare un disegno”. E ovviamente io sono stato d’accordo. Tant’è che la sera, tornato a casa le ho scritto

 mi sento come se fossi in una massa d’acqua enorme, a metà tra il pelo dell’acqua e il fondo, sospeso, in mezzo a tanti punti interrogativi che mi girano intorno, e che questa sensazione si espande a tutta la mia giornata, con questa idea di apnea non apnea, dove io sono sott’acqua e non respiro ma è come se non ne avessi bisogno, sono in una specie di stato di sospensione, e ho tutti questi enormi punti interrogativi che mi fluttuano attorno.
mi domandavo se da questo delirio riuscissi a cavare una delle tue opere d’arte…

E subito dopo averle scritto, ho guardato il suo blog e ho trovato questo post, dove ad un certo punto lei dice

è esattamente la sensazione che si proverebbe facendo il morto a galla in un mare limpido. un morto a galla passivamente intento ad abbandonarsi sul pelo dell’acqua. nessuna immersione, nessuna terra in vista.
il problema è riuscire a immergersi. e ritrovarsi a fare il morto sott’acqua. senza saperlo.

Vabbè, ve la risparmio la storia dell’entanglement, per chi si fosse perso le puntate precedenti può andare a documentarsi qui. Sta di fatto che continuo a farmi cadere la mascella, ma ho rinunciato a torturarmi con delle domande sul perché e sul per come, accettando il fatto che evidentemente c’è un canale di comunicazione che ci fa “scambiare” in questo modo.

E comunque il vero punto è che kuroko, come al solito, è stata fantasticamente pronta. E mi ha dato l’idea di nuovo che c’è un posto al quale entrambi accediamo, dove io ascolto cose e lei vede cose. Ma le cose che io ascolto e che lei vede sono le stesse. Perché ogni volta capita che io me le immagino come lei le disegna, e lei se dovesse le scriverebbe come io le scrivo.
E potrebbe essere che quel posto sia uno di quelli dove si fanno i TSO, eh 😆
Se fosse così, vi prego aiutatemi a ottenere una stanza col wifi, dove possa essere rinchiuso coi miei aggeggi 😉

Ed ecco, questa è l’opera dell’artista, in tutta la sua bellezza. Grazie, amica mia.

mezzacqua

C’è un posto

C’è un posto.
C’è un posto che non so dov’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è dove ci sono storie.

Ieri sera ho finito di scrivere un racconto. Lo pubblicherò più tardi. E’ un racconto che è nato pensando a kuroko e ai suoi disegni. kuroko mi ha colpito una volta, quando ha disegnato il buco. Lo ha disegnato esattamente come io lo avrei visualizzato se fossi capace di visualizzare chiaramente le immagini e non le parole. E se io avessi, oltre alla capacità di visualizzare nitidamente quella specifica immagine, anche quella di riportarla su carta, se io fossi capace a tenere una matita in mano, io avrei disegnato esattamente quello. Perché è successo? Io avevo la sensazione che kuroko fosse in grado di leggere tra le righe, di “penetrare” i miei scritti con una specie di supervista, e rendere in immagine ciò che io faccio con le parole. La cosa singolare è che si è verificato anche il viceversa. Più di qualche volta guardando i suoi disegni ho pensato a delle cose, ho visto degli elementi, ho fatto delle riflessioni, e ne ho scritto sul suo blog. Riflessioni a cui kuroko non aveva pensato mentre era lì che disegnava. Ma che riconosceva sue. Proprio come io ho riconosciuto mia l’immagine che kuroko ha disegnato.

E siccome mi piacciono le immagini di kuroko, perché le trovo pacificatrici ed inquietanti allo stesso tempo, mi sono messo in testa di scrivere qualcosa che avesse a che fare con queste visioni. E ci siamo scambiati un po’ di email. Abbiamo parlato, abbiamo scambiato. E ho iniziato a scrivere. E poi mi sono “bloccato” ad un certo punto, ho scritto di getto la prima parte, perché era più “mia”, più familiare, un terreno consueto. E poi non riuscivo ad andare avanti. Un po’ perché è un periodo un po’ così. Sta di fatto che scrivevo una riga e la cancellavo, poi dieci e le cancellavo, poi magari riuscivo a mettere giù una frase e salvavo e chiudevo. E ho riparlato con kuroko, avevo delle idee ma erano confuse. E poi evidentemente sono tornato in quel “posto”. Ci sono andato, senza rendermene conto, e lì c’era la storia. C’era la conclusione. E non lo sapevo che sarebbe andata così. Ero davanti al mac ieri sera, e cercavo di buttare giù una frase, quando a un certo punto ho iniziato a ticchettare furiosamente. E scrivevo e non sapevo cosa sarebbe successo dopo. Mentre scrivevo la storia si dipanava. E ho finito il racconto. E kuroko ha detto “in alcuni frasi becchi gli Ombromini, come li vedo io”. Ed è lei che ha tirato fuori l’idea del “posto”. Il posto delle storie, il posto delle visioni, il posto delle idee. Il posto. E basta. E mi piace pensare che in questo posto ci sono tanti posticini. E ciascuno ha il suo. Ma a volte si riesce a “sconfinare”, e andare nel posticino del vicino.

Ieri parlavo di entanglement. Che non saprei neanche come tradurre. E’ una di quelle parole imparate leggendo in inglese. Che le derivi dal contesto nel quale sono state scritte. E capisci il concetto che sottendono. Lo comprendi profondamente al punto che non sai trovare una parola che vada bene. Entanglement è un concetto di aggrovigliamento, di connessione stretta, di relazione strettissima. Empatia? Vogliamo osare? Come fanno due elettroni a essere “empatici”? Eppure lo sono. E questo filmato lo dimostra. Mi scuso, è in inglese, provo ad abbozzare una traduzione sotto.

“Due oggetti, due elettroni creati insieme, sono legati (empatici). Spediamone uno all’altro capo dell’universo. Ora, facciamo qualcosa a uno dei due. L’altro risponderà istantaneamente. Istantaneamente. Quindi, delle due l’una. O l’informazione sta viaggiando a velocità infinita, oppure, nella realtà, loro (i due elettroni) sono ancora connessi. E sono… legati (empatici). E siccome ogni cosa era legata al momento del Big Bang, questo significa che ogni cosa si sta ancora toccando. Lo spazio è solo un costrutto che ci dà l’illusione che esistano oggetti separati… (siamo già abbastanza giù nella tana del coniglio?)”

Ecco. Il posto di cui parlo mi fa tanto pensare all’entanglement. E mi scuso se insisto nell’usare il termine ostrrogoto, ma come detto, con tutto l’amore che ho per l’italiano, non esiste una singola parola che abbia la stessa forza di “entanglement”. Penso all’entanglement quando penso che gli Ombromini sono la stessa cosa, in quel posto, per me e per kuroko. Solo che io li scrivo e lei li disegna. Io li ascolto magari, e lei li vede. O io in quel posto leggo un libro sugli ombromini, mentre kuroko vede un film sugli ombromini. E accanto al posticino degli ombromini c’è il posticino del clown di Iaia. E magari un giorno riesco ad andare anche lì

C’è un posto.
C’è un posto che non so dov’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è dove ci sono storie.
C’è un posto che non so dov’è ma so che c’è dove ci sono storie e io ci sono stato.

Piccola vacanza

Domattina (sefappeddì visto che ci muoviamo da casa alle 04.00) parto con Virna, quattro giorni ad Amsterdam. Un piccolo stacco, un piccolo regalo che ci siamo fatti per il 27° anniversario, il 14 settembre scorso. Speriamo di ricaricare le batterie.

Al ritorno vi racconto di che persona eccezionale sia kuroko, che mi è venuta a trovare in ufficio (imbarcata da paura) (quanto me piace er linguaggio ccccciovane) e con la quale ho avuto il piacere di mangiare insieme chiacchierando, soprattutto di massimi sistemi.

Sono 7 anni che non fumo, lo dico per i malpensanti. Quindi niente canne.

Solo funghetti. :mrgreen:

L’attak del vaso brisé

Camminare è l’attak per il vaso brisé. Come tutte le attività aerobiche sviluppa endorfine, che contribuiscono a generare sensazioni di benessere. E questo si percepisce chiaramente alla fine, dopo aver fatto gli esercizi di stretching. Mi sento bene, sereno, tranquillo. Come se fosse passato un cancellino sulla lavagna tutta scarabocchiata e l’avesse ripulita per bene.

Cammino da due mesi e mezzo circa. A metà luglio ho scaricato l’app della Nike per i runners, che fa un eccellente servizio anche per i walkers. L’app registra il percorso sulla mappa, e sempre grazie al GPS riesce a dare indicazioni relativamente precise sul passo che si sta tenendo, espresso in minuti/km. Da quando ho iniziato ho migliorato le mie medie in ragione di più di un minuto al km, e ho allungato i tempi e le distanze, da 40 minuti a un’ora, da 4.5 km a 8.

Da un po’ di tempo ho aggiunto gli auricolari e la musica. In questo periodo sto a rota (sono addicted) con i Creedence Clearwater Revival, una band che ha avuto l’apice del successo durante la mia preadolescenza, e che per questo non è stata da me particolarmente seguita. Riscoperta leggendo Haruki Murakami, e adorata immediatamente. Alcune canzoni sono storiche, tipo “Have you ever seen the rain”, altre non le avevo mai sentite, ma tutte sono molto adatte al camminare.

Dopo un po’ che si va avanti si entra in uno stato quasi ipnotico, la musica quasi scompare dalle orecchie, si sente ovattato il rumore dei passi, il proprio respiro, ci si concentra sulla cadenza, sul ritmo. Quasi come se si stesse meditando. E’ in quei momenti che sento forte la voglia di correre, come se le gambe si animassero di vita propria. Ci ho anche provato, in luglio. Camminavo per 5 km allora. Ho  provato a fare l’ultimo km di corsa. Poi gli ultimi due. Poi due e mezzo. Dopo una settimana ho dovuto smettere. Dolori lancinanti al tallone (spina carcaneale) e (sicuramente a causa della ricerca della posizione antalgica) dolore al ginocchio da cattivo appoggio. Ma non dispero, vorrei comprare delle scarpe adatte, e riproverò.

Mentre cammino non penso a niente in particolare. Ma ho notato che determinati pensieri che sono “nel retro della testa”, come fossero dei processi in background, si evolvono, e al termine della camminata ho le idee più chiare.

Mi è capitato con comearia, incontrata per caso grazie a kuroko. E’ una ragazza molto giovane con un disturbo del comportamento alimentare. E’ straordinario quanto sia coraggiosa. E’ straordinaria la determinazione nel volersi liberare del problema. E’ straordinaria la sua capacità di scrivere in modo così intenso, al punto da avermi fatto sentire compenetrato con lei mentre leggevo, una cosa che mi capita con scrittori di livello, e quando le trame sono estremamente avvincenti. Le sue descrizioni sono vivide, emotivamente intensissime ma allo stesso tempo con una lucida freddezza che pervade le certosine descrizioni di tutti i dettagli che riguardano una situazione.

Mi ha colpito la sua descrizione della motivazione che la spingeva a non mangiare, che è all’origine del nick: voleva diventare come aria, appunto. Come dice lei, “Voler essere aria. Leggera, sottile, invisibile, impalpabile. Aria.”

E in questi giorni, proprio durante le camminate ho capito cosa potevo dirle. Perché in casi come questi è sempre molto difficile dire qualcosa senza urtare le sensibilità, senza essere banali e scontati, e senza essere inopportuni. Io sono sicuro che ce la farà. Lo sento. Lo sento su un livello di coscienza diverso da quello usuale.

Forza, A.