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La leggerezza

Cerchiamo di essere più leggeri

i discutibili

Qualche anno fa ero uso trovarmi in auto tra le 8,30 e le 9 del mattino, ed ero un fedele ascoltatore di Golem. In realtà non è qualche anno, ne sono undici per l’esattezza, ché doveva essere il 2002, probabilmente. Golem era una trasmissione cult di Radio 1 Rai, che parlava di televisione ma anche di costume. Era condotta da Gianluca Nicoletti, che riempiva la trasmissione di acume e genialità. Ricordo la sua stigmatizzazione del “caso umano”, figura che iniziava ad affacciarsi nelle trasmissioni televisive di allora. Si trattava del poveraccio di turno chiamato a raccontare la sua storia con l’obiettivo di impietosire il “pubblico a casa”. Nicoletti ne fece un’esegesi memorabile. So che esegesi non è il termine appropriato, lo uso perché una delle caratteristiche di Nicoletti e di Golem era quella di trattare i mezzi di comunicazione moderni alla stregua di testi, e di qui l’estensione del termine.

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Non mi voglio lamentare

Ed è per questo che non ho scritto. Perché mi sarei lamentato, e non è giusto. Non è giusto perché mi ritengo una persona fortunata. In questo periodo così buio, nel quale si sentono storie di tutti i generi, mi guardo intorno e mi dico che va tutto bene, nel mio piccolo microcosmo.

Ci sono delle piccole cose. Ma per l’appunto sono piccole. Voglio concentrarmi sulla sostanza, sul “bersaglio grosso”. Ne parlavo per l’appunto con il mio amico più caro, quello di cui ho parlato qui, e l’ho anche raffigurato come Paolo in “Quando è troppo è troppo“. Ecco, lo sono andato a trovare recentemente, ha deciso di lasciare Roma e tornare nella sua terra natale, e neanche a farlo apposta, dopo pochi giorni che si era finalmente “sistemato”, a momenti ci resta secco per una peritonite quasi degenerata in setticemia. Il problema è stato che non ha sentito dolore. Evidentemente ha una soglia molto, troppo elevata, per cui quando il dolore si è manifestato l’infezione era avanzata molto, quasi troppo.

E quindi sono andato a trovarlo dopo questo episodio così grave, cosa che avrei fatto comunque, ovviamente; ma con queste condizioni di contorno, la visita ha assunto una valenza diversa. Con lui non c’è bisogno di tante parole, ci diciamo tanto di più con un abbraccio, con uno sguardo, con un sorriso. E nel suo abbraccio, negli sguardi e nei sorrisi, c’era tutta la felicità per lo scampato pericolo, e soprattutto c’era la consapevolezza del rischio corso. E questa consapevolezza aiuta a ridimensionare le piccole cose che non vanno, a catalogarle come piccolo fastidio e a non farne un dramma. Perché, diceva il suo sguardo, quando cominci a realizzare compiutamente che oggi potresti non esserci, qui, allora ti rendi conto di quanto ti piace starci, qui. Di quanto tu ci voglia rimanere fin quando non sarà il momento di andare, e comunque sia, quando sarà il momento sarà forse sempre troppo presto. Perché ci sarà ancora qualcosa che si sarebbe voluto fare, qualcosa che si sarebbe voluto dire, qualcosa che si sarebbe voluto pensare.

E quindi non mi voglio lamentare. Voglio concentrarmi sulle cose buone. Voglio usare il pensiero positivo sino in fondo. Voglio trascurare i fastidi, ignorarli. E andare avanti col sorriso. Guardando in alto, verso il sole.

sole