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Di funerali, commenti e trasmissioni grottesche

Fonte: web

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Mi ero ripromesso di non parlare del funerale di Vittorio Casamonica, perché la vicenda è così miserevole, specialmente dal punto di vista delle istituzioni, che ci si sporca solo parlandone.

Ma stasera ho guardato “In Onda”, dove erano ospiti due rappresentanti della famiglia Casamonica. Oltre a Travaglio, che non mi è particolarmente simpatico, ma che decisamente è dotato di acume e di ironia.

Vorrei richiamare l’attenzione su alcuni fatti, che tali sono visto che sono stati documentati da più di una testata giornalistica.

  • Un corteo funebre costituito da una carrozza con un traino a sei e una cinquantina di SUV è stato preceduto, a mo’ di scorta, da auto della polizia municipale.
  • Giunti a destinazione, sul sagrato della chiesa, i vigili provvedevano a smistare il traffico e a indicare i posti per parcheggiare ai partecipanti alla cerimonia
  • Il parroco ha dichiarato di non aver visto la gigantografia che ritraeva il defunto accanto alla scritta “Hai conquistato Roma”, gigantografia di dimensioni pari a quella di Don Bosco.
  • Il sagrestano, il giorno successivo al funerale, ha dichiarato di aver visto molto bene la gigantografia, mostrando meraviglia sul fatto che si facesse tanto baccano su questo funerale, mentre su quello di vent’anni prima nessuno aveva detto nulla
  • Un elicottero ha sparso un carico di petali di rosa, inizialmente si è detto che non necessitava di permessi di sorvolo, successivamente invece si è detto che aveva effettuato una deviazione non autorizzata. Il pilota dell’elicottero ha avuto la licenza ritirata.
  • Il signor Casamonica presente in video ha detto che lui ha precedenti penali, ma che ha pagato, e non c’è stato verso di sapere di che precedenti si trattasse.
  • La signora Casamonica presente in video ha dichiarato che a) la musica del Padrino suonata era un desiderio del defunto, b) che lei lavora onestamente in un albergo e c) che i 5 milioni sequestrati alla famiglia non sono stati usati per le popolazioni colpite dal terremoto de l’Aquila.

Sulla base dei fatti appena elencati, è evidente che c’è un livello operativo di autorità che era perfettamente al corrente di tutto: ovviamente il parroco, altrettanto ovviamente il comando dei vigili della Circoscrizione, e infine il funzionario ENAC che ha rilasciato il permesso per l’elicottero. Sarei francamente sorpreso che il Prefetto non sapesse. Sarei francamente sorpreso se nell’ufficio del Sindaco nessuno sapesse. Per la cronaca, il parroco è lo stesso che ha rifiutato di celebrare la funzione funebre di Welby in chiesa e ha celebrato sul sagrato.

Non voglio parlare di buon gusto, né di opportunità politica nel concedere tutto questo. Le domande che mi pongo sono sostanzialmente due. La prima: è possibile che mai nessuno paghi per dei marchiani errori? La seconda: dov’è finito Galantino, che parla sempre su tutto? Non ha nulla da dire sulla celebrazione di un funerale di quel tipo? Pensa, come ha detto il parroco, che quel che succede fuori dalla chiesa non è affar suo? Comprese le gigantografie del “re di Roma”? Come si dice nella vignetta sotto, il cammino di rinnovamento della chiesa è lento. Molto lento. (Ho censurato la vignetta, ma si può facilmente capire il senso anche senza usare parolacce).

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Un ricordo

L’ho già detto, che volevo bene a mio suocero. Ebbene, mi manca. Mi manca il suo sorriso “furbetto” di cui dicevo, e oggi ho detto alla dottoressa Cippi che ha lo stesso sorriso del nonno, ed è esattamente così, quel sorriso che è una meraviglia, perché è consapevole della “marachella” ma al tempo stesso se ne compiace. Un sorriso Tao, mi verrebbe da dire. Perfetto, nella sua ambigua valenza. E delizioso da guardare. Perché è bello. E a proposito di bellezza, mi piace tanto questa frase.

Discutevo con Chiara stamattina come la bellezza sia intrinsecamente priva di senso, perché è qualcosa che appartiene all’emisfero destro del cervello, e da lì (o forse senza neanche passare per il cervello, ma sicuramente senza coinvolgere l’emisfero sinistro) arriva diritta al cuore. E quindi se non è qualcosa di razionale, come può avere un “senso”? La bellezza è bella e basta. Ti emoziona, fa vibrare delle corde che non vibrerebbero altrimenti.

E quel sorriso, quello di mio suocero, che ha “trasmesso” a mia figlia, è bello. Semplicemente bello. E mi manca. Tanto. Perché in quel sorriso c’era tanto del bene che mi voleva. Anche se mi ritengo fortunato che sia stato traghettato, e che io possa goderne ancora oggi.

Oggi ho portato a casa un po’ di cose. Lui amava, adorava la cucina. Ha sempre cucinato lui, sin da quando i figli erano piccoli. E amava fare le cose con le sue mani. E tra le cose che ho portato a casa, c’è un portapranzo pieno di agnolotti. Fatti da lui. E stasera li mangerò, pensando a lui. E una lacrima rotolerà sulla mia guancia, pigramente, lentamente, mentre io assaporerò questa sua prelibatezza. Come quella che sta rotolando, pigramente, lentamente, sulla mia guancia proprio ora.

William Blake e lo spaziotempo

Auguries of Innocence – William Blake
To see a World in a Grain of Sand
And a Heaven in a Wild Flower
Hold Infinity in the palm of your hand
And Eternity in an hour.

Questo è l’inizio di una poesia meravigliosa di Blake, che potrebbe essere tradotto più o meno così:

Per vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un paradiso in un fiore di campo,
Poni l’infinito nel palmo della mano
E l’eternità in un’ora.

Il bello è che non l’ho trovata in un libro di storia della letteratura, ma in un libro di fisica, “La danza dei maestri Wu Li”, che tanto per cambiare tratta di fisica moderna, quantistica e relatività.

In questo specifico caso, il tema è lo spaziotempo. L’introduzione dello spaziotempo in fisica, per merito di Einstein, è stata una rivoluzione molto più grande di quanto possa apparire a prima vista. Il motivo principale è che per la prima volta Einstein dimostrò matematicamente qualcosa che non poteva essere comprovato da una esperienza diretta. E l’esperienza diretta è la base della fisica Newtoniana. Avventurandosi quindi nel mondo dell’astrazione pura, fisica e poesia si avvicinano sino a toccarsi, e questo è il punto di contatto tra Blake e Einstein.

Noi non riusciamo a immaginare un continuum spaziotemporale, perché i nostri sensi ci rimandano un mondo tridimensionale in cui il tempo è una variabile “assoluta”, che scorre solo in avanti. E NON E’ POSSIBILE immaginarlo. Non lo è come non sarebbe possibile a chi vive in un mondo a due dimensioni (un piano) immaginare un solido tridimensionale.

Ma. Ma come sempre c’è un ma, perché l’umanità è ricca di persone piene di immaginazione. E quindi un giorno è arrivato Guy Murchie, che ha scritto il libro “Music of Spheres”, all’interno del quale c’è l’illustrazione che ho riprodotto con pazienza visto che in rete non ne ho trovato traccia.

Per capire il parallelo, è necessario fare riferimento alle antiche conoscenze delle medie, quando ci hanno spiegato il teorema di Pitagora, secondo il quale il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Il che significa che se “teniamo ferma” l’ipotenusa e facciamo variare i cateti, otteniamo infinite combinazioni di cateti la somma dei cui quadrati è uguale a quel quadrato che abbiamo “tenuto fermo”. E ora guardiamo la figura. Il quadrato sull’ipotenusa rappresenta il continuum spaziotemporale, uno dei cateti rappresenta lo spazio (o meglio il quadrato costruito su di esso) e il quadrato costruito sull’altro cateto rappresenta il tempo.

Spaziotempo

 

La parte azzurra del disegno rappresenta il continuum spaziotemporale, mentre la parte rossa e la parte verde sono due esempi di come rappresentare quel continuum. Nella parte verde la superficie occupata dal tempo è molto elevata, nella parte rossa è molto elevata la superficie occupata dallo spazio.

Quel che ci dice Einstein è che sia l’osservatore verde sia l’osservatore rosso vedono la stessa cosa, lo stesso continuum azzurro, semplicemente è rappresentato in due modi diversi. E allora, consentitemi di ripetere qui di seguito i versi di Blake.

Per vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un paradiso in un fiore di campo,
Poni l’infinito nel palmo della mano
E l’eternità in un’ora.

E’ un po’ come la mela di Newton. Solo che la gravità non è una “forza”, ma una deformazione dello spaziotempo. Per cui quella mela può essere immaginata come la Terra, che ruota attorno al sole non perché c’è una forza che l’attrae, ma perché la curvatura dello spaziotempo la obbliga a muoversi su quella traiettoria. Una mela intelligente, insomma…

 

Cippi 2 – La dottoressa magistrale

arcofrecciaCome si fa a descrivere Cippi in un post? Non basterebbe un romanzo. Innanzitutto chiariamo un punto, Cippi è un diminutivo. Il nome completo è CippiCiappiDellaCasa. Svelati questi piccoli altarini (vedo Cippi che legge il post e le prende un colpo…) sveliamone anche altri. Cippi ha lo stesso, IDENTICO sorriso del nonno. Quel sorriso birichino di quando viene “tanata” su una marachella, o quando una sua battuta coglie nel segno.

È difficile per me parlare di una figlia senza parlare dell’altra. E mi rendo conto che sono così simili e così diverse, così uguali nel profondo, nei valori fondamentali, e così differenti nelle vicende di tutti i giorni. E non posso non cedere ad un moto di orgoglio, orgoglio per il solo fatto di avere la fortuna di essere il loro padre. E, forse, di aver dato loro un po’ di esempio.

Ma questo è il post di Cippi, e di Cippi bisogna, anzi, è doveroso, parlare.

Nella terza pagina della tesi ci sono due parole, cinque lettere in totale. E siccome Cippi non è esattamente una tecnologa, quelle due parole le ha fatte scrivere a me. Una mattina, mentre stavamo finendo il lavoro, mi dice: “Vai dopo il titolo, la pagina successiva”. Io non capivo, per cui vado con Word dove mi ha chiesto. “Metti una interruzione di pagina”. Obbediente, inserisco una nuova pagina. “Metti la formattazione con allineamento a destra”. Lo faccio. Non immagino nulla, solo non capisco perché tutto questo mistero, con istruzioni date momento per momento. “Metti tre righe in bianco”. Semplice, tre Return e via. “Scrivi”. “Cosa?” Rispondo io. “A papà”, mi dice lei, semplicemente e naturalmente, così come è lei. E io mi sono bloccato, mi è scesa la lacrima, e non sono riuscito a scrivere. L’ho abbracciata. E poi ho scritto.

La storia di questa tesi è interessante. Ho messo a disposizione le mie conoscenze informatiche, la conoscenza di Office, e in particolare di Excel, il che ha consentito di elaborare dei dati in modo non convenzionale. Questo è stato il valore aggiunto che ho portato. Insieme con la conoscenza di una persona che si occupa professionalmente di grafica, che ha svolto un ruolo fondamentale nella preparazione della copertina. Ma il grosso del lavoro, le ricerche bibliografiche, le note, il testo, le conclusioni, è stato fatto da Cippi. Cippi ha dei tratti caratteriali molto, molto simili ai miei. È un project manager, perché se si mette in testa una cosa la ottiene, se si dà un obiettivo lo raggiunge, con caparbietà e con determinazione. E questo ha dimostrato, negli ultimi sei anni. Ingoiando quello che non avrebbe mai immaginato di ingoiare, crescendo e comprendendo i rapporti interpersonali, gli equilibri necessari per relazionarsi in un rapporto professionale. E Cippi è come me anche nel non avere tanti desideri. Ma quei desideri sono importanti. Un desiderio che sono strafelice di aver realizzato per lei è l’orologio,. Lei, come me, ama un orologio. Un orologio particolare. Caso strano, è identico al mio. E sono contento che glielo abbiamo regalato. È grande, la Cippi. È donna. Anzi, Donna, con la d maiuscola. È cresciuta, è pronta. Pronta per costruire. Mi piace pensare che l’esempio, quello che le ho insegnato, è per l’appunto che la vita è solo una cosa: costruire. Vai Cippi, vai. Io e mamma siamo l’arco, ma TU sei la FRECCIA. Vola. È ora. Ti voglio bene, ma questo lo sai.

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Buon viaggio

E così è finita. Te ne sei andato zitto zitto, senza aspettare le tue figlie, tuo figlio, senza neanche Dora, la signora che ti accudiva da tanto. Ti ho conosciuto trent’anni fa, mia moglie ti aveva disegnato come un Orco. Ma a me non parevi un orco, né con la O né con la o. Anzi, mi sembravi una persona ospitale. Ti piaceva cucinare alla romana, e quante cose mi hai insegnato! E quante cose facevi anche tu…

E adesso basta. Il tuo viso è sereno, tutta quell’acrimonia degli ultimi tempi è stata cancellata da un’espressione di tranquillità. Sei andato via serenamente, niente smorfie di dolore, solo un sorriso sulla faccia. Ti auguro di aver rivisto quella luce che avevi raccontato si vedeva, quella volta che a momenti te ne stavi andando. Quante volte abbiamo pensato che non l’avresti sfangata? Io ho perso il conto, e anche l’ultima volta, prima del ponte di S. Pietro e Paolo, quando ti hanno ricoverato in terapia intensiva con la pressione che segnava 20-40, e il medico ci ha detto che non riuscivano a infilarti l’ago della flebo perché avevi “le vene sgonfie”, ecco anche allora ho pensato che non ce l’avresti fatta.

E invece dopo tre giorni ti hanno trasferito in reparto, ancora una volta rinato a nuova vita. Ma evidentemente quel processo di degenerazione che era iniziato non si poteva fermare. E così alla fine anche tu ti sei arreso.

Me lo dicevi qualche mese fa, che ti eri stufato. Che non ne potevi più. E credo che fosse la non accettazione del venir meno del tuo corpo, che ti ha sostenuto per tutta la vita. Un toro, sei sempre stato. Fino a oltre sessant’anni ti sei curato, da solo, la campagna, dove scappavi con tua moglie ogni volta che era possibile. Cento piante di ulivo e la vigna, e poi il vino, e gli alberi da frutto, e l’erba medica, e chi più ne ha più ne metta. Infaticabile, mi sembravi, davi dei punti a me che ero ben più giovane e potenzialmente ben più aitante di te.

E quindi c’era in te questa dicotomia quantistica, per cui eri contemporaneamente un lottatore senza tregua da una parte, ma anche alla fine un vecchio stanco di vedere il corpo che non risponde più come una volta.

Ti ho voluto bene, e non sono uno che vuole bene con facilità. Ti ho voluto bene perché me ne hai voluto tanto tu. Non solo per quello. Ti ho voluto bene perché ho visto quanto bene volevi a tua figlia, mia moglie. Ho visto quanto ci tenevi a far pace con lei, quando litigavate. Ho visto come fosse per te un riferimento, proprio come tu lo eri per lei. Siete simili, molto simili. E dietro quell’apparenza burbera e litigiosa c’è tanto amore l’uno per l’altra. E poi ho visto quanto bene volevi alle bambine, sino all’ultimo giorno che ci siamo visti mi hai chiesto della laurea di Cippi. E in terapia intensiva volevi il telefono per chiamare i nipoti.

E sì, l’ho scritta, quell’orazione che leggerò dopodomani. L’ho scritta come mi hai fatto promettere. L’ho scritta oggi pomeriggio, sul tavolo della cucina, quello dove giocavi a carte con tua moglie, dove facevi la Settimana Enigmistica, dove preparavi i quadrettoni. Che oggi Cippi ha fatto e ha portato a casa tua, perché, parole sue, “nonno avrebbe voluto così”. E quando ci siamo seduti a tavola e abbiamo mangiato, quei quadrettoni è come se li avessi preparati tu, e credo che non solo a me sia sembrato di vederti a tavola con noi. In quell’orazione ti dico che ti chiamo papà anche se non lo sei, il mio papà, ma non per vezzo, ma perché non mi è mai venuto di chiamarti per nome, perché ho sempre sentito una forte empatia e un forte affetto.

E allora ciao papà, buon viaggio.

Il contest della dottoressa Cippi – Final response

Ebbene, non ce l’ha fatta. Nonostante dei ritorni assolutamente positivi sull’idea che aveva elaborato, il problema è stato gestire il tempo. Avendo terminato l’occhio destro dopo 40 minuti, le è avanzato troppo poco tempo per fare il resto, e questo ha comportato una lieve asimmetria nel trucco occhi e anche altri piccoli particolari tecnici riguardo i toni usati sul viso (non mi addentro perché non so assolutamente di cosa sto parlando). Un vero peccato, perché se non avesse avuto questi inconvenienti se la sarebbe giocata con la vincitrice. Un altro apprezzamento secondo me favoloso è arrivato da una dirigente Marketing. Le ha detto che avendo una eccellente padronanza del “materiale”, e un background di studi orientato al marketing, costituisce una figura ideale di cerniera tra la produzione e la clientela.

Ma la notizia non è questa, la notizia vera è che quando l’ho sentita, sabato sera, mi ha detto “Sono felice perché è stata una delle esperienze più belle della mia vita”. E in effetti ricevere apprezzamenti come quelli che ha ricevuto non capita a tutti, specialmente agli esordienti. La vincitrice ha vinto meritatamente, avendo dimostrato di essere indiscutibilmente la migliore dal punto di vista del risultato finito. E quindi giudicando l’insieme creatività, prodotti usati, ed esecuzione. D’altra parte un’esperienza quindicennale di truccatrice non si costruisce in un attimo. E quindi onore e merito a chi ha vinto, ma io credo che della dottoressa Cippi sentiremo ancora parlare. E le ho detto che se non apre un canale YouTube la uccido con le mie mani 😀

Qui di seguito i tre video realizzati da l’Oreal per documentare questa finale. Io sicuramente sono influenzato da “core de papi”, ma i video sono molto belli, e la dottoressa Cippi è bellissima, oltre che una forza della natura. 🙂

Cippi’s contest – Reloaded

Ho scoperto un po’ di cose sul contest della L’Oreal, di cui parlavo ieri qui, che ovviamente non sono scritte da nessuna parte… 😀 😀 😀

  1. Per votare è necessario avere un account youtube ed essere collegati. Basta avere un indirizzo gmail e collegarsi con quelle credenziali
  2. Si può votare più volte nella stessa giornata utilizzando dispositivi differenti, cellulare, pc, tablet, eccetera
  3. E la cosa più importante è che SI PUO’ VOTARE TUTTI I GIORNI!!!!!
  4. Esiste un hashtag associato al contest, #thebrushcontest

Ripropongo anche qui il video della dottoressa Cippi, ricordando che si vota cliccando su questo link, e vi chiedo per favore di votare quante più volte potete, e di diffondere queste informazioni su Facebook e Twitter. E per finire vi chiedo di unirvi a me in un propiziatorio

CIPPI, DAJEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!

Il contest della dottoressa Cippi

E’ un bel po’ che non scrivo, e ci sono tanti motivi. Solo qualcosa di importante avrebbe potuto smuovermi. E la dottoressa Cippi ci è riuscita. Chi non sa chi sia la dottoressa Cippi può leggere questo post.

Ebbene, a parte il fatto che la dottoressa Cippi sta per diventare la dottoressa specialistica Cippi, avendo finito tutti gli esami ed essendo prossima alla conclusione della specializzazione in Marketing, dovete sapere che la dottoressa Cippi non ha abbandonato la passione per tutto quello che ha a che fare con l’estetica professionale. E quindi un giorno ha deciso di partecipare ad un contest indetto da L’Oreal. E a fronte di centinaia di video prodotti, e spediti a L’Oreal, ebbene la dottoressa Cippi risulta tra i 20 semifinalisti.

C’è da dire un’altra cosa. Che tra tante modelle possibili, la dottoressa Cippi ha scelto la sorella. E il video del contest inizia con una presentazione in cui ci sono entrambe. La modella è sempre muta, ma la sua espressione è assolutamente degna di nota.

Questo video è emozionante, perché con la giusta chiave di lettura si riesce a capire quanto amore ci sia tra le due sorelle. E questa cosa per me è impagabile.

E allora, vi prego innanzitutto di guardare questo video, dura meno di tre minuti e mezzo.

E successivamente vi prego di cliccare su questo link e votarla. Se poi potete anche spargere voce su Facebook, Twitter, altri social, piuttosto che fare reblog, vi sarò grato, molto. 

Ci tengo a dire che non è bieco clientelismo questo. La dottoressa Cippi è brava davvero. Per questo vi ho chiesto di vedere prima il video.

Grazie.

Mare

Mi sono chiesto molte volte perché il mare sia così importante per me. Dico sempre che non potrei vivere in un posto in cui il mare non sia raggiungibile in meno di mezz’ora. E curiosamente, non m’interessa la qualità del mare. Può essere un mare bellissimo, poco inquinato e meravigliosamente incontaminato, oppure un mare inquinato, maleodorante e torbido. Non m’importa, purché sia mare.

E ho capito oggi, perché. Oggi, che dormo al mare. Mentre tu dormi in città, anche se sei a venti minuti da qui, Non è perché abbiamo vissuto al mare. Non è perché le bambine sono nate al mare. Oggi, e solo oggi, ho realizzato che il mare è così importante per me, perché ci siamo conosciuti, al mare. Me lo ricordo come fosse ieri, e son passati trent’anni. Ero stato invitato da N. e A. alla loro casa di Lido dei Pini. E c’era anche M., un mio collega e occasionale compagno di studi. Ospite di B., la nostra amica comune. E quel giorno, una bella giornata di sole nella casa di Lido dei Pini di N. sei arrivata tu. Con B. e M. Ingessata. Capelli biondi, mezza lunghezza, riga in mezzo. Un sorriso viziato da due incisivi mal messi ma comunque ammaliatore, una personalità e una verve da campioni.

Il mare. E’ il mare che ha compiuto la magia. E’ il mare che ha contribuito. E’ il mare. Il mare. La causa di tutto è il mare. E io ora sono al mare. E tu in città. E io ripenso a quella giornata di sole, al tuo sorriso che mi ha ammaliato. E al gesso che ti costringeva in una posizione innaturale. E alle telefonate che facevo a B., per cercare quale fosse la via migliore per impressionarti. Ma alla fine quello che veramente conta è il mare. Perché al mare ci siamo conosciuti, al mare siamo andati a vivere, al mare sono nate le bambine, al mare abbiamo avuto i nostri momenti più belli. Al mare ha persino nevicato, e abbiamo fatto un orrendo pupazzo di neve, io, te, M. e M. Te lo ricordi, sicuramente. E io ora vado a dormire. Sperando di riuscirci. Buonanotte.

Andrew Solomon – uno speech come se ne trovano pochi

Ieri ho pubblicato un post, e sguardiepercorsi mi ha segnalato un nome, un libro, e un video di TED. Da quando frequento TED credo che questo sia il più bello speech che abbia mai ascoltato. E per questo, voglio fare una cosa che non ho mai fatto prima. Qui sotto c’è il video, con i sottotitoli in italiano. Ma sotto c’è anche la trascrizione. Perché voglio rileggermela ogni tanto. E perché forse ascoltare questo video, ascoltare l’emozione di Solomon mentre racconta la propria e le altrui esperienze, forse può aiutare chi non sa a capire qualcosa. Ringrazio Chiara (uso il tuo nome solo perché lo hai usato tu 🙂 ) dal profondo del cuore. Niente è per caso, come dico sempre. Ricevere un dono come questo è stato meraviglioso.

Sentivo un funerale nel cervello, e i dolenti avanti e indietro andavano, andavano finché sembrò che il senso fosse frantumato. E quando tutti furono seduti, una funzione, come un tamburo batteva, batteva, finché pensai che la mente si fosse intorpidita. E poi li udii sollevare una cassa e cigolare di traverso all’anima con quegli stessi stivali di piombo, ancora, Poi lo spazio iniziò a rintoccare, come se tutti i cieli fossero una campana e l’esistenza, solo un orecchio, ed io, e il silenzio, una razza estraneanaufragata, solitaria, qui. E poi un’asse nella ragione si spezzò, e caddi giù, e giù, e urtai contro un mondo a ogni tuffo e finii di sapere allora.”

Conosciamo la depressione attraverso delle metafore. Emily Dickinson riusciva ad esprimerla con il linguaggio, Goya con un’immagine. Metà dello scopo dell’arte è descrivere questi stati d’animo emblematici.

Quanto a me, mi sono sempre ritenuto un tipo tosto, uno di quelli in grado di sopravvivere se fossi stato mandato in un campo di concentramento.

Nel 1991 subii diverse perdite. Mia madre morì, la relazione che avevo finì, tornai negli Stati Uniti dopo diversi anni trascorsi all’estero, e ho superato indenne tutte queste esperienze.

Ma nel 1994, tre anni più tardi, mi ritrovai ad aver perso interesse per quasi tutto. Non volevo fare nessuna delle cose che volevo fare prima, e non sapevo perché. Il contrario di depressione non è felicità, ma vitalità, ed era la vitalità che sembrava sfuggirmi in quel momento. Qualsiasi cosa dovessi fare mi sembrava troppo impegnativa. Tornavo a casa e vedevo la luce rossa lampeggiare sulla segreteria telefonica, e invece di non vedere l’ora di sentire i miei amici, pensavo “Quanta gente che devo richiamare.” Quando avrei dovuto decidere di pranzare pensavo: “Dovrei tirar fuori il cibo,metterlo su un piatto, tagliarlo, masticarlo ed ingoiarlo”, e mi sembrava la Via Crucis.

Una delle cose che spesso si dimentica parlando di depressione è che sai che è una cosa ridicola. Sai che è ridicola mentre ci sei dentro. Sai che molte persone riescono ad ascoltare i propri messaggi, pranzare, organizzarsi per fare una doccia ed uscire dalla porta principale e che non è un grande sforzo, eppure ti trovi in questa morsa e non riesci a capire come uscirne. Così mi accorsi che facevo di meno, pensavo di meno e provavo meno sentimenti. Era una sorta di nulla assoluto.

Poi arrivò l’ansia. Se mi avessero detto che avrei dovuto essere depresso per tutto il mese successivo,avrei risposto “Dato che so che a novembre sarà tutto finito, posso farcela.” Ma se mi avessero detto,”Devi soffrire di ansia acuta per tutto il prossimo mese”, piuttosto mi sarei tagliato una mano. Quella sensazione era onnipresente come la sensazione che provi quando camminando scivoli, o inciampi e il terreno si avvicina all’improvviso, ma invece di durare mezzo secondo, come dovrebbe, è durata sei mesi. È come provare paura sempre, senza sapere di cosa hai paura. È stato a quel punto che ho iniziato a pensare che essere vivi faceva troppo male, e che l’unica ragione per non suicidarsi era non ferire altre persone.

Finalmente, un giorno mi svegliai e pensai che forse avevo avuto un ictus, perché ero disteso sul letto, completamente immobile, guardavo il telefono, e pensavo, “Qualcosa non va, dovrei chiedere aiuto” e non riuscivo ad alzare il braccio per prendere il telefono e comporre il numero. Finalmente, dopo aver passato quattro lunghe ore disteso a guardarlo, il telefono suonò e in qualche modo riuscii a rispondere, era mio padre, gli dissi, “Ho problemi seri. Dobbiamo fare qualcosa.”

Il giorno successivo iniziai a prendere farmaci e cominciai la terapia. Iniziai anche a pormi questa terribile domanda: se non sono la persona tosta che sarebbe sopravvissuta ad un campo di concentramento, allora chi sono? E se devo prendere dei farmaci, sono questi farmaci che mi rendono pienamente me stesso, o mi stanno trasformando in qualcun altro? E come mi sento se mi stanno trasformando in qualcun altro?

Mentre mi preparavo allo scontro, avevo due vantaggi. Il primo è che, obiettivamente, sapevo di avere una bella vita, che se solo fossi guarito c’era qualcosa dall’altra parte per cui valeva la pena vivere.L’altro era che stavo seguendo una terapia valida.

Ciononostante, ne uscivo e ci ricadevo, ne uscivo e ci ricadevo, ne uscivo e ci ricadevo, e alla fine capii che avrei dovuto continuare a prendere farmaci e a restare in terapia per sempre. Mi pensai, “È un problema chimico o psicologico? Serve una cura chimica o filosofica?” Non riuscivo a capire quale fosse la risposta. Quindi capii che, in realtà, non abbiamo fatto abbastanza progressi in nessuno dei due campi per trovare una spiegazione esauriente. Sia la cura chimica che quella psicologica hanno un ruolo e capii anche che la depressione era qualcosa che si era radicata in noi così in profondità che non c’era modo di separarla dal nostro carattere e dalla nostra personalità.

Voglio dire che le terapie per la depressione sono pessime. Non sono molto efficaci. Sono estremamente costose. Presentano innumerevoli effetti collaterali. Sono un vero disastro. Tuttavia sono molto grato di vivere in quest’epoca e non 50 anni fa, quando non ci sarebbe stato quasi nulla da fare. Spero che fra 50 anni si senta parlare delle mie terapie e che sconvolga il fatto che qualcuno sia sopravvissuto ad una scienza tanto arretrata.

La depressione è il punto debole dell’amore. Se una persona sposata pensasse, “Se mia moglie muore, ne troverò un’altra” non sarebbe amore così come lo conosciamo. L’amore non esiste senza la previsione della perdita, e lo spettro della disperazione può essere il motore dell’intimità.

Ci sono tre cose che le persone tendono a confondere: depressione, dolore e tristezza. Il dolore è esplicitamente reattivo. Se subisci una perdita e ti senti incredibilmente infelice, e poi, sei mesi più tardi, sei ancora profondamente triste, ma ti senti un po’ meglio, probabilmente è dolore, e probabilmente alla fine se ne andrà da solo in qualche modo. Se subisci una perdita catastrofica, e ti senti a pezzi, e sei mesi più tardi sei a malapena in grado di cavartela, allora è probabile che sia una depressione scatenata dalle circostanze catastrofiche. Il decorso ci dà tante informazioni. Le persone credono che la depressione sia solo tristezza. È tanta, decisamente troppa tristezza, tanto, troppo dolore decisamente non una causa.

Quando ho iniziato a comprendere la depressione, e ad intervistare coloro che ne erano affetti, ho scoperto che alcune persone, che sembravano avere ciò che pareva una depressione relativamente lieve, che ne erano totalmente interdette. C’erano altre persone che sembravano avere, a loro dire, una depressione terribilmente grave, le quali ciononostante vivevano una vita soddisfacente negli intervallifra un episodio depressivo e l’altro. Mi accingevo a scoprire ciò che fa sì che alcuni resistano meglio rispetto ad altri. Quali sono i meccanismi che consentono alle persone di sopravvivere? Così sono uscito ed ho intervistato una ad una persone che soffrivano di depressione.

Una delle prime persone che ho intervistato ha descritto la depressione come un modo più lento di morire e mi ha fatto bene sentirlo dire poiché mi ricordava che quel modo più lento di morire può davvero causare la morte, che questa è una faccenda seria. È la disabilità più diffusa al mondo, e miete vittime ogni giorno.

Una delle persone con cui ho parlato mentre cercavo di capire tutto questo era una cara amica che conoscevo da tanti anni, e che aveva avuto un episodio psicotico durante il primo anno di università,ed era poi precipitata in una terribile depressione. Era affetta da disturbo bipolare o mania depressiva, com’era nota all’epoca. Poi fece notevoli progressi grazie ad anni di terapia a base di litio, alla fine la terapia al litio fu interrotta per vedere come si comportava senza. Ebbe un’altra psicosi e piombò nella peggiore depressione che avessi mai visto durante la quale restava seduta nell’appartamento dei genitori, pressoché catatonica, praticamente immobile, giorno dopo giorno. Diversi anni dopo, quando l’ho intervistata a proposito di quell’esperienza – si chiama Maggie Robbins, è una poetessa ed una psicoterapeuta – quando l’ho intervistata, disse, “Cantavo ‘Where Have All The Flowers Gone’ripetutamente per tenere la mente occupata. Cantavo per rimuovere ciò che la mia mente diceva, e cioè, ‘Non sei niente. Non sei nessuno. Non meriti nemmeno di vivere.’ È stato allora che ho iniziato davvero a pensare di suicidarmi.”

Quando sei depresso, non pensi di essere coperto da un velo grigio e che stai vedendo il mondo attraverso la foschia del cattivo umore. Pensi che il velo sia stato portato via, il velo della felicità, e che ora stai guardando la realtà. È più semplice aiutare gli schizofrenici i quali percepiscono che c’è qualcosa di estraneo dentro di loro che deve essere esorcizzato, ma è difficile con i depressi, perché pensiamo di stare guardando la realtà.

Ma la realtà mente. Questa frase è diventata la mia ossessione: “La realtà mente.” Mentre parlavo con persone depresse, ho scoperto che hanno molte percezioni deliranti. Le persone diranno “nessuno mi vuole bene”. E tu dici “io ti voglio bene, tua moglie ti vuole bene, tua madre ti vuole bene.” Rispondere a questa frase viene abbastanza spontaneo, almeno a molte persone. Ma le persone depresse diranno anche “non importa cosa facciamo, tanto alla fine moriremo tutti.” Oppure diranno “non può esistere una vera unione fra due esseri umani. Ognuno di noi è intrappolato nel proprio corpo.” In questo caso bisogna rispondere “È vero, ma credo che ora dovremmo pensare a cosa mangiare per colazione.”(Risate) La maggior parte del tempo, ciò che esprimono non è un disturbo, ma una visione, si arriva a pensare che la cosa veramente straordinaria sia che molti di noi conoscono queste domande esistenziali ma non ci distraggono più di tanto. C’è stato uno studio che ho particolarmente apprezzato in cui ad un gruppo di persone depresse e ad un gruppo di persone non depresse è stato chiesto di giocare ad un videogioco per un’ora, alla fine dell’ora è stato chiesto loro quanti mostriciattoli pensavano di avere ucciso. Il gruppo di persone depresse è stato preciso rispondendo circa il 10 percento, mentre le persone non depresse credevano di avere ucciso 15 o 20 volte più mostriciattoli – (Risate) – di quelli che avevano eliminato realmente.

Quando ho scelto di scrivere della mia depressione, molti hanno detto che dev’essere davvero difficileuscire allo scoperto, e parlare agli altri della propria condizione. Chiedevano, “Le altre persone ti parlano in modo diverso?” Risposi, “Sì, le altre persone mi parlano in modo diverso. Mi parlano in modo diverso poiché iniziano a parlarmi della loro esperienza, dell’esperienza della loro sorella,dell’esperienza del loro amico. È diverso perché ora so che la depressione è il segreto di famiglia di ognuno di noi.

Qualche anno fa andai ad una conferenza, ed il venerdì della tre giorni di conferenza una delle partecipanti mi prese da parte, e mi disse, “Soffro di depressione e mi imbarazza un po’, ma sto prendendo questo farmaco e volevo chiederle cosa ne pensa” Così feci del mio meglio per darle i consigli di cui aveva bisogno. Lei disse “Sa, mio marito non capirebbe mai. Lui è il tipo di persona per cui tutto questo non ha senso, perciò è una cosa fra me e lei.” Ed io risposi “Va bene.” La domenica della stessa conferenza, suo marito mi prese da parte e disse, “Mia moglie non penserebbe che io sia un brav’uomo se lo sapesse, ma ho avuto a che fare con questa depressione e sto prendendo qualche farmaco, e mi chiedevo lei cosa ne pensa” Nascondevano lo stesso farmaco in due posti diversi nella stessa camera da letto. Io dissi che pensavo che la comunicazione all’interno del matrimonio potrebbe essere la causa di alcuni dei loro problemi. (Risate) Ma sono anche rimasto colpito dalla natura opprimente di quella segretezza reciproca. La depressione è davvero estenuante. Assorbe una gran quantità di tempo ed energia, e non parlarne la rende solamente peggiore.

Poi ho iniziato a pensare a tutto ciò che fanno le persone per sentirsi meglio. All’inizio ero un conservatore riguardo alla medicina. Pensavo esistessero poche terapie efficaci, era chiaro quali fossero, c’erano i farmaci, c’erano certe psicoterapie, c’era la terapia elettroconvulsivante, e tutto il resto non aveva senso. Poi ho fatto una scoperta. Se soffri di cancro al cervello e dici che restare in equilibrio sulla testa ogni mattina per 20 minuti ti fa stare meglio, può anche farti stare meglio, ma hai ancora un cancro al cervello che forse ti porterà alla morte. Ma se dici di soffrire di depressione, e restare in equilibrio sulla testa per 20 minuti al giorno ti fa stare meglio, allora funziona, perché la depressione è un disturbo del modo in cui ti senti, e se ti senti meglio, allora davvero non sei più depresso. Così sono diventato molto più tollerante nei confronti del vasto mondo delle terapie alternative.

Ricevo lettere, centinaia di lettere da persone che mi scrivono per raccontarmi cosa si è rivelato efficace per loro. Oggi qualcuno dietro le quinte mi chiedeva informazioni sulla meditazione. Fra le lettere che ho ricevuto, la mia preferita è stata quella che ho ricevuto da una donna che mi ha scritto dicendo di aver tentato con la terapia, di aver tentato con i farmaci, di aver tentato con tutto, e di aver trovato una soluzione che sperava io rivelassi al mondo, che consisteva nel creare piccole cose a maglia. (Risate) Me ne ha mandate alcune. (Risate) Ma non le sto indossando in questo momento. Le ho anche suggerito di cercare la definizione di disturbo ossessivo-compulsivo nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

Quando ho preso in considerazione le terapie alternative, ho anche acquisito una prospettiva su altre terapie. Mi sono sottoposto ad un esorcismo tribale in Senegal con tantissimo sangue di montone che ora non descriverò nel dettaglio, ma qualche anno più tardi ero in Ruanda a lavorare ad un altro progetto, e mi è capitato di descrivere la mia esperienza a qualcun altro, il quale disse, “Beh, sai,quella è l’Africa occidentale, e questa è l’Africa orientale, i nostri rituali sono molto diversi, ma alcuni dei nostri rituali hanno alcune cose in comune con ciò che stai descrivendo.” Io dissi, “Oh”, lui disse “Sì, ma abbiamo avuto grossi problemi con gli psichiatri occidentali, in particolare quelli che arrivarono subito dopo il genocidio.” Io chiesi, “Che tipo di problemi avete avuto?” Lui rispose “Beh, fecero una cosa bizzarra. Non portarono la gente fuori all’aperto dove cominci a sentirti meglio. Non usarono percussioni o musica per creare emozioni nelle persone. Non coinvolsero l’intera comunità. Non esternavano la depressione come fosse uno spirito invadente. Invece, ciò che fecero fu portare una persona alla volta in stanze piccole e squallide e farle parlare per un’ora delle cose brutte che erano capitate loro.” (Risate) (Applausi) Lui disse “Abbiamo dovuto chiedere loro di lasciare il paese.” (Risate)

Ora, per quanto riguarda le terapie alternative, lasciate che vi parli di Frank Russakoff. Frank Russakoff era affetto forse dalla depressione più grave che abbia mai visto in una persona. Era costantemente depresso. Quando lo incontrai, era arrivato ad un punto in cui si sottoponeva ad elettroshock ogni mese, dopo il quale si sentiva disorientato per una settimana. Poi stava bene per una settimana, e la settimana successiva tutto precipitava. Quindi si sottoponeva ad un’altra seduta di elettroshock.Quando lo incontrai, mi disse, “È insopportabile trascorrere le settimane in questo modo. Non posso continuare così, e mi è venuto in mente come porvi fine se non mi sentirò meglio. “Ma” mi disse, “ho saputo di un protocollo al Mass General riguardante una procedura chiamata cingulotomia, che sarebbe neurochirurgia, e penso che farò un tentativo con quella.” Ricordo che fui davvero sospresodi vedere che qualcuno che chiaramente aveva vissuto tante brutte esperienze con tante terapie diverse avesse ancora sepolto da qualche parte dentro di sè abbastanza ottimismo per fare un altro tentativo. Si sottopose a cingulotomia, e l’intervento ebbe un successo incredibile. Ora è mio amico.Ha una moglie adorabile e due bellissimi bambini. Il Natale dopo l’intervento mi scrisse una lettera, in cui diceva, “Mio padre mi ha fatto due regali quest’anno, il primo è un porta-CD a motore da The Sharper Image, di cui non è che avessi bisogno, ma sapevo che me lo regalava per festeggiare il fatto che vivo per conto mio e che ho un lavoro che adoro. L’altro regalo era una foto di mia nonna morta suicida. Mentre la scartavo, ho iniziato a piangere, mia madre venne da me e mi disse, “Stai piangendo per i parenti che non hai mai conosciuto?” Io risposi, “Lei aveva la mia stessa malattia.” Sto piangendo anche adesso mentre ti scrivo. Non è che mi sento triste, ma l’emozione è troppo forte,forse perché avrei potuto suicidarmi, ma sono andato avanti grazie ai miei genitori e ai medici, e ho fatto l’intervento. Sono vivo, e sono riconoscente. Viviamo nel periodo giusto, anche se non sempre ci sembra che sia così.”

Mi ha colpito il fatto che la depressione viene generalmente percepita come una malattia moderna dell’Occidente, che colpisce il ceto medio, così mi sono informato su come agisce in contesti diversi,ed una delle cose a cui mi sono interessato di più è stata la depressione fra gli indigenti. Così ho provato a raccogliere informazioni su ciò che veniva fatto per i poveri affetti da depressione. Ho scoperto che la maggior parte dei poveri non vengono sottoposti a terapie antidepressive. La depressione è il risultato di una vulnerabilità genetica, che presumibilmente è equamente distribuita fra la popolazione, e di circostanze scatenanti che probabilmente sono molto più gravi per gli indigenti.Eppure, se ti senti sempre una nullità anche se hai una moglie adorabile, arrivi a pensare, “Ma perché mi sento così? Devo essere depresso.” Ti metti in testa di cercare una terapia. Ma se vivi una vita tremenda, e ti senti sempre una nullità, ciò che senti è commisurato alla tua vita, e non ti viene da pensare, “Forse si può curare.” Perciò in questo paese esiste un’epidemia di depressione fra gli indigenti che non viene diagnosticata, né curata, né tantomeno affrontata, ed è una tragedia enorme.Così ho trovato una ricercatrice che stava conducendo un progetto di ricerca nei quartieri poveri fuori Washington D.C., in cui selezionava donne affette da altri problemi di salute e diagnosticava loro una forma di depressione, quindi procedeva con un protocollo di sperimentazione di sei mesi. Una di loro, Lolly, arrivò e quello stesso giorno disse queste parole. Fra l’altro, era una donna con sette figli. Disse,”Avevo un lavoro ma ho dovuto lasciarlo perché non riuscivo a uscire di casa. Non ho nulla da dire ai miei figli. Al mattino, non vedo l’ora che escano, poi mi sdraio sul letto, mi copro fin sopra la testa e le tre, ora in cui tornano a casa, arrivano troppo in fretta”. Disse, “Ho preso tanto Tylenol e qualunque cosa potessi prendere per dormire di più. Mio marito mi ha detto che sono stupida, e che sono brutta.Vorrei poter porre fine a questa sofferenza.”

Venne iscritta nel protocollo sperimentale, e quando la intervistai sei mesi più tardi aveva ottenuto un lavoro da educatrice per la marina militare americana, aveva lasciato il marito che la insultava e mi disse, “I miei figli sono molto più felici adesso.” Disse, “La mia nuova casa ha una stanza per i maschi e una per le femmine, ma di notte vengono tutti nel mio letto, facciamo i compiti e tutto il resto tutti insieme. Uno di loro vuole diventare pastore, un altro vuole fare il pompiere, e una delle femmine dice che diventerà avvocato. Non piangono più come prima, e non litigano più. Tutto ciò di cui ho bisogno adesso sono i miei figli. Le cose cambiano di continuo, come mi vesto, come mi sento, come mi comporto. Posso uscire senza avere più paura, e non credo che quelle brutte sensazioni torneranno,se non fosse stato per la Dr.ssa Miranda sarei ancora a casa con le coperte sopra la testa, ammesso di essere ancora viva. Ho chiesto al Signore di mandarmi un angelo, ed ha ascoltato le mie preghiere.”

Queste esperienze mi hanno davvero scosso, e ho deciso di raccontarle non solo scrivendo un libro su cui stavo lavorando, ma anche in un articolo, così il The New York Times Magazine mi ha incaricato di scrivere riguardo la depressione fra gli indigenti.

Ho raccontato la mia storia, e la mia editrice mi chiamò e mi disse, “Non possiamo pubblicarlo”

Io chiesi “Perché no?”

Lei rispose, “È troppo inverosimile. Queste persone vivono ai margini della società, poi si sottopongono a qualche mese di terapia e sono virtualmente pronte a gestire aziende tipo Morgan Stanley? È troppo inverosimile.” Lei disse, “Non ho mai sentito niente di simile.”

Io risposi, “Il fatto che non ne ha mai sentito parlare significa che sono notizie nuove.” (Risate) (Applausi) “E lei rappresenta una rivista d’informazione.”

Così, dopo vari negoziati, il pezzo è stato accettato. Ma credo che molte cose che mi dissero siano in qualche modo collegate al disgusto che molti provano ancora per l’idea di terapia, l’idea che se andassimo a curare tante persone delle comunità indigenti questa sarebbe una cosa da sfruttatori,poiché cambieremmo queste persone. Esiste un falso imperativo morale che sembra essere tutto intorno a noi, secondo cui la cura della depressione, le medicine e tutto il resto, sono un artificio, una cosa innaturale. Io penso che sia molto fuorviante. Sarebbe naturale che i denti delle persone cadessero, ma nessuno fa campagne contro il dentifricio, almeno non fra i miei conoscenti.

E poi la gente dice, “Ma la depressione non fa parte dell’esperienza delle persone? Non ci evolviamo per essere depressi? Non è parte della nostra personalità?” A loro vorrei rispondere che lo stato d’animo si adatta. La capacità di provare tristezza e paura, gioia e piacere, e tutti gli altri stati d’animo,hanno un grandissimo valore. La depressione grave è qualcosa che si verifica quando questo sistema si rompe. È maladattivo.

Le persone vengono da me e mi dicono, “Io penso che, se resisto anche solo per un altro anno, credo di riuscire a venirne fuori.”

E io rispondo sempre loro, “Potrai anche venirne fuori, ma non avrai più 37 anni. La vita è breve, e stai parlando di rinunciare ad un intero anno. Pensaci bene.”

È una strana carenza della lingua inglese, ed anche di molte altre lingue, il fatto che usiamo questa stessa parola – depressione – per descrivere lo stato d’animo di un bambino se il giorno del suo compleanno piove, e per descrivere come si sente una persona un minuto prima di suicidarsi.

La gente mi dice, “C’è continuità con la normale tristezza?” Io dico, “In un certo senso c’è continuità con la normale tristezza. C’è una certa dose di continuità, ma allo stesso modo in cui c’è continuità fra avere una recinzione metallica fuori casa su cui si forma un po’ di ruggine, che poi devi raschiare via e ridipingere, e ciò che accade se abbandoni la casa per 100 anni e questa si arrugginisce fino a diventare un mucchio di polvere arancione. È quel punto di ruggine arancione, quella polvere arancione, è proprio quello che ci prepariamo ad affrontare.

Ora la gente dice, “Prendi queste pillole della felicità, e ti senti felice?” No. Ma non sono triste di dover pranzare, e non sono triste a causa della mia segreteria telefonica, e non sono triste se faccio una doccia. Invece provo più emozioni, rifletto, perché posso provare tristezza senza nullità. Sono triste per via di delusioni professionali, per via di rapporti logorati, per via del riscaldamento globale. Sono queste le cose che ora mi rendono triste. E mi sono chiesto quale fosse la conclusione. Come fanno queste persone che hanno vite migliori e soffrono di depressione anche più grave, a venirne fuori?Come funziona il meccanismo di ripresa? E la risposta che mi sono dato col tempo è che le persone che negano la propria esperienza, quelle che dicono, “Molto tempo fa ero depresso e non voglio pensarci più, non mi ci soffermerò, mi limiterò ad andare avanti con la mia vita”, ironicamente, sono le persone che sono più sottomesse dalla propria patologia. Chiudere fuori la depressione non fa che rinforzarla. Mentre ti nascondi da lei, quella cresce. E le persone che migliorano sono quelle in grado di sopportare il fatto di esserne affetti. Le persone che riescono a tollerare la depressione sono quelle che riescono a riprendersi.

Così Frank Russakoff mi disse, “Se dovessi rifare tutto, non credo che lo rifarei in questo modo, ma stranamente sono grato per l’esperienza che ho vissuto. Sono felice di essere andato 40 volte in ospedale. Mi ha insegnato così tanto sull’amore, ed il mio rapporto con i miei genitori ed i miei mediciè stato davvero prezioso per me, e lo sarà sempre.”

Maggie Robbins disse, “Ho fatto la volontaria in una clinica di malati di AIDS, non facevo altro che parlare e parlare, e le persone con cui avevo a che fare non erano molto reattive, così pensavo, “Non sono molto amichevoli, non mi aiutano.” Allora ho capito, ho capito che non avrebbero fatto altro che chiacchierare per qualche minuto. Era semplicemente un’occasione in cui non ero affetta da AIDS e non stavo morendo, ma riuscivo a tollerare il fatto che loro ne erano affetti e stavano morendo. I nostri bisogni sono le nostre risorse più importanti. Alla fine ho imparato a dare tutto ciò di cui ho bisogno.”

Valorizzare la depressione di una persona non impedisce una ricaduta, ma può rendere la prospettiva di una ricaduta, e perfino la ricaduta stessa, più semplice da tollerare. Il problema non è tanto trovare un grande significato e decidere che la depressione è stata molto importante. È cercare quel significato e pensare, quando ritorna, “Sarà un inferno, ma imparerò qualcosa.” Durante la mia depressione ho imparato quanto può essere forte un’emozione, quanto può essere reale e ho capito che quell’esperienza mi ha consentito di provare emozioni positive in modo più intenso e concentrato.Il contrario di depressione non è felicità, ma vitalità, ed ora la mia vita è vitale, anche nei giorni in cui sono triste. Ho sentito quel funerale nella mia testa, e mi sono seduto accanto al colosso ai confini del mondo ed ho scoperto qualcosa dentro di me che chiamerei anima e che non avevo mai concepito fino a quel giorno di 20 anni fa, quando l’inferno mi fece visita a sorpresa. Credo che, anche se odiavo essere depresso e odierei essere depresso di nuovo, di aver trovato un modo di amare la mia depressione. La amo perché mi ha costretto a trovare la gioia e ad aggrapparmi ad essa. La amo perché ogni giorno decido, a volte con coraggio, a volte contro il buon senso del momento, di attaccarmi alle ragioni per cui vivere. Questo, secondo me, è un grande privilegio.

Grazie.