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William Blake e lo spaziotempo

Auguries of Innocence – William Blake
To see a World in a Grain of Sand
And a Heaven in a Wild Flower
Hold Infinity in the palm of your hand
And Eternity in an hour.

Questo è l’inizio di una poesia meravigliosa di Blake, che potrebbe essere tradotto più o meno così:

Per vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un paradiso in un fiore di campo,
Poni l’infinito nel palmo della mano
E l’eternità in un’ora.

Il bello è che non l’ho trovata in un libro di storia della letteratura, ma in un libro di fisica, “La danza dei maestri Wu Li”, che tanto per cambiare tratta di fisica moderna, quantistica e relatività.

In questo specifico caso, il tema è lo spaziotempo. L’introduzione dello spaziotempo in fisica, per merito di Einstein, è stata una rivoluzione molto più grande di quanto possa apparire a prima vista. Il motivo principale è che per la prima volta Einstein dimostrò matematicamente qualcosa che non poteva essere comprovato da una esperienza diretta. E l’esperienza diretta è la base della fisica Newtoniana. Avventurandosi quindi nel mondo dell’astrazione pura, fisica e poesia si avvicinano sino a toccarsi, e questo è il punto di contatto tra Blake e Einstein.

Noi non riusciamo a immaginare un continuum spaziotemporale, perché i nostri sensi ci rimandano un mondo tridimensionale in cui il tempo è una variabile “assoluta”, che scorre solo in avanti. E NON E’ POSSIBILE immaginarlo. Non lo è come non sarebbe possibile a chi vive in un mondo a due dimensioni (un piano) immaginare un solido tridimensionale.

Ma. Ma come sempre c’è un ma, perché l’umanità è ricca di persone piene di immaginazione. E quindi un giorno è arrivato Guy Murchie, che ha scritto il libro “Music of Spheres”, all’interno del quale c’è l’illustrazione che ho riprodotto con pazienza visto che in rete non ne ho trovato traccia.

Per capire il parallelo, è necessario fare riferimento alle antiche conoscenze delle medie, quando ci hanno spiegato il teorema di Pitagora, secondo il quale il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Il che significa che se “teniamo ferma” l’ipotenusa e facciamo variare i cateti, otteniamo infinite combinazioni di cateti la somma dei cui quadrati è uguale a quel quadrato che abbiamo “tenuto fermo”. E ora guardiamo la figura. Il quadrato sull’ipotenusa rappresenta il continuum spaziotemporale, uno dei cateti rappresenta lo spazio (o meglio il quadrato costruito su di esso) e il quadrato costruito sull’altro cateto rappresenta il tempo.

Spaziotempo

 

La parte azzurra del disegno rappresenta il continuum spaziotemporale, mentre la parte rossa e la parte verde sono due esempi di come rappresentare quel continuum. Nella parte verde la superficie occupata dal tempo è molto elevata, nella parte rossa è molto elevata la superficie occupata dallo spazio.

Quel che ci dice Einstein è che sia l’osservatore verde sia l’osservatore rosso vedono la stessa cosa, lo stesso continuum azzurro, semplicemente è rappresentato in due modi diversi. E allora, consentitemi di ripetere qui di seguito i versi di Blake.

Per vedere un mondo in un granello di sabbia,
E un paradiso in un fiore di campo,
Poni l’infinito nel palmo della mano
E l’eternità in un’ora.

E’ un po’ come la mela di Newton. Solo che la gravità non è una “forza”, ma una deformazione dello spaziotempo. Per cui quella mela può essere immaginata come la Terra, che ruota attorno al sole non perché c’è una forza che l’attrae, ma perché la curvatura dello spaziotempo la obbliga a muoversi su quella traiettoria. Una mela intelligente, insomma…

 

Il tempo è relativo

Persistenza_1Il mio buon amico masticone, commentando il post su Einstein, mi ha detto che avrei dovuto fare il fisico. E questo ha riportato alla mia memoria un episodio, di quando ero appena laureato. Il mio prof di Fisica II mi cercò, e mi propose di fare il ricercatore. In realtà non era ancora professore, era l’assistente del professore. Erano i tempi in cui stava nascendo Tor Vergata, la seconda università di Roma, e un manipolo di validi assistenti aveva finalmente la possibilità di avere la cattedra. E lui si acchiappò la cattedra di Fisica II a Ingegneria, Io lo ammiravo tantissimo per il modo con cui insegnava, scanzonato ma rigoroso al tempo stesso, e anche per il suo nome, perché si chiama Folco, un nome che per me era un nome evocativo di mondi lontani e oceani inesplorati. La proposta mi tentava, e molto, ma fu lui stesso a dire una cosa che mi dissuase completamente. Mi disse che lui proveniva da famiglia ricca, e quindi poteva mantenere un tenore di vita decente nonostante lo stipendio universitario. E disse anche che se avesse dovuto vivere di quello, sarebbe stata veramente dura. Ho apprezzato molto l’onestà intellettuale, l’ho ringraziato moltissimo, e ho deciso di fare altro.

Ma evidentemente, come dice masticone, la passione per la scienza mi è rimasta nel sangue, e come gli ho detto rispondendo al suo commento, quello che mi ha sempre affascinato nello studio, e in particolare negli studi scientifici, come la matematica e la fisica, è la scoperta. La scoperta di cose che non so, il “vedere” cose che magari erano lì, sotto il mio naso, ma che non avrei mai pensato di osservare. Il “capire come funziona”. Ci sono cose che per essere comprese richiedono degli strumenti complessi. Matematica superiore, derivate parziali, trasformate di Fourier e di Laplace, e via discorrendo. Per cui di norma matematica e fisica vanno di pari passo. Quello che, lo ribadisco ancora una volta, mi ha invece affascinato della teoria della relatività ristretta di Einstein, è proprio l’esprimibilità dei concetti base senza ricorrere ad alcuno strumento matematico complesso. E addirittura, la possibilità di fare discorsi qualitativi, ma che fanno comprendere l’essenza della teoria.

E siccome una delle cose che mi piacciono tanto è condividere l’informazione, e credo di essere in grado di farlo in modo relativamente (ahah) chiaro, vorrei tentare di trasferire il concetto di relatività del tempo.

I fondamenti della teoria sono due: il primo è che se due persone si stanno muovendo una rispetto all’altra con un movimento rettilineo e a velocità costante, non è possibile stabilire chi sia fermo e chi si muove, e il secondo è che la velocità della luce è costante in qualunque sistema di riferimento. Questa seconda affermazione è meno banale di quanto possa apparire ma per ora non andiamo oltre.

Einstein 1Dovendo misurare il tempo, immaginiamo un orologio basato su un principio semplice. Due specchi posizionati ad una certa distanza tra di loro, con un raggio di luce che “rimbalza” dall’uno all’altro, indefinitamente, e supponiamo di avere un sistema per contare i rimbalzi. Non importa quanto sia complesso realizzarlo in pratica, ai fini del ragionamento. Ovviamente la luce si muove in linea retta, quindi se i due specchi sono paralleli il raggio di luce non “scapperà” fuori. Nella figura qui accanto c’è uno schemino che sintetizza questo dispositivo teorico.

Ora supponiamo di avere uno di questi orologi accanto a noi, e di darne uno al nostro amico Bob, e che Bob si trovi a bordo di un veicolo che si muove rispetto a noi in linea retta a velocità costante. Ad esempio, supponiamo di trovarci sul marciapiede di una stazione ferroviaria e che il nostro amico Bob sia su un treno che passa senza fermarsi.

Ora immaginiamo di scattare tre fotografie molto velocemente, in modo da fotografare l’orologio del nostro amico mentre il raggio di luce si sta muovendo da uno specchio all’altro. Se sovrapponiamo le tre foto otteniamo una cosa di questo tipo, dove non è ancora rappresentato il raggio di luce. Questo schema rappresenta l’orologio in movimento di Bob così come appare a noi che lo stiamo osservando da fermi.Einstein 2a

Ora facciamo un semplice ragionamento. Supponiamo che siamo stati sufficientemente veloci a scattare da cogliere i momenti in cui il raggio di luce è rimbalzato sugli specchi, ciò significa che il percorso della luce che noi vediamo è rappresentato da questa figura.Einstein 2b

È intuitivo che il percorso compiuto dalla luce è più lungo. Ma siccome inizialmente abbiamo postulato che la velocità della luce sia costante in qualsiasi sistema di riferimento, ciò significa semplicemente che se il percorso è più lungo, e la velocità è la stessa, allora il tempo deve essere maggiore. Che cosa significa tutto questo? Significa che il tempo di Bob, che io osservo, scorre più lentamente. Ed è per questo che il gemello che parte torna più giovane. Solo che questo effetto diventa misurabile quando le velocità iniziano ad essere comparabili con quella della luce. Per avere un’idea, la velocità della luce è di 300.000 chilometri al secondo, mentre un aereo di linea si muove a circa 200 metri al secondo…

Io credo che messa in questi termini la relatività sia comprensibile a chiunque. E’ evidente che ci sono anche altri aspetti, più complessi, che implicano la necessità di eseguire dei calcoli, eccetera. Ma. Ma intuitivamente, qualitativamente come si dice quando si parla di scienza, l’idea alla base della teoria brilla sfavillante nella sua evidenza, nella sua semplicità. Al punto da far scattare la domanda “ma perché non l’ho visto?”. Ecco, perché? Era lì. Aspettava solo di essere scoperta.

Giangius, che mi onora leggendomi e commentandomi, faceva notare come l’humus scientifico degli anni intorno al 1905 era favorevole per effettuare la scoperta. E io sono assolutamente d’accordo. Erano i tempi in cui si pensava che ci fosse il cosiddetto “etere”, il mezzo all’interno della quale la luce doveva propagarsi. Essendo la luce di natura ondulatoria, si riteneva avesse bisogno di un mezzo, l’etere per l’appunto, per potersi propagare. Michelson e Morley, una coppia di scienziati dell’epoca, misero in piedi un esperimento che, contrariamente alle aspettative, dimostrò che l’etere non esisteva.

Ma il mio punto è sempre lo stesso. E’ verissimo che l’humus era favorevole, ma è altrettanto vero che una rivoluzione di questo tipo è geniale. Soprattutto quando si pone in modo così semplice, lineare, ed evidente. Ecco, tutto qui.

Einstein era un genio

Einstein“Apperò! Hai altre rivelazioni sconvolgenti, tipo che il sole sorge a oriente?”

Questo direi io, se leggessi un titolo così. Eh sì, è veramente la scoperta dell’acqua calda. Ma al netto della retorica usuale, ho avuto modo di apprezzare appieno la genialità di Einstein da qualche settimana. Sto seguendo questo corso su Coursera.org, il sito che organizza corsi in collaborazione con le massime università americane, di cui avevo parlato, qualche post fa.

Il corso sulla relatività ristretta (o speciale, in funzione dell’attitudine del traduttore) è alla portata di chiunque abbia una preparazione matematica di base (il massimo che sia richiesto è algebra lineare, equazioni di primo grado per capirsi) e tanta voglia di far vagare la mente in universi strani. E non si tratta di un mero corso scientifico, grazie al cielo. C’è una parte iniziale del corso nella quale si percorre la vita di Einstein fino al cosiddetto “anno del miracolo”, il 1905, nel quale Einstein pubblicò il suo lavoro sulla relatività ristretta e altri articoli fondamentali.

Quello che colpisce seguendo le lezioni, è la semplicità. E’ un po’ difficile da spiegare, provo con un esempio. I postulati con i quali Einstein è partito sono molto semplici e molto lineari. Il primo è che la velocità della luce è costante indipendentemente da dove la si stia osservando, il secondo è che se due persone si stanno muovendo una rispetto all’altra a velocità costante e seguendo una retta, è di fatto impossibile dire chi sia fermo e chi sia in movimento, in quanto soggettivamente ciascuno dirà di essere fermo e che l’altro si sta muovendo. Da questo discende che tutto ciò che vale in un sistema fermo deve valere anche in un sistema che si muove a velocità costante. Niente di realmente trascendentale, ma. Ma c’è un ma. Ma se si segue correttamente il nesso di causalità che discende dai postulati, si arriva a capire che il tempo così come ce lo immaginiamo e ce lo siamo sempre immaginati non regge, non regge come concetto. Per cui il signor Albert, che, si noti bene, all’epoca lavorava in un ufficio brevetti, non era in un’Università a misurarsi con le massime menti speculative del secolo, il signor Albert, chiacchierellando con un amico a proposito dei suoi studi, ebbe a dire “Hmmmmmmm, il tempo è sospetto”.

Siamo nel 1905. La fantascienza non esisteva neanche. Il tempo era una roba assoluta. Lo era non dai tempi di Newton. Lo era dai tempi di Aristotele. Mettere in discussione un concetto di questo tipo, specialmente nel contesto dell’epoca, è qualcosa che rasenta la follia totale. Che non a caso confina con la genialità. E la cosa assolutamente fantastica è che andando dietro a questa stupefacente, fantastica, totalmente rivoluzionaria intuizione, escono fuori delle meraviglie che ti lasciano totalmente a bocca aperta. Perché altro è sentir parlare di relatività, altro è andarci dentro, scoprendo che non servono strumenti matematici evoluti, ma è sufficiente un po’ d’algebra, e con dei semplici ragionamenti si arriva a concepire un’idea di tempo che è totalmente differente da quella che siamo abituati a considerare. Il che non significa che da domani mi cambia la vita, perché gli effetti della teoria si vedono in condizioni che non capitano nella vita di tutti i giorni. Ma poi, non è neanche del tutto vero questo. Perché combinando teoria della relatività ristretta e teoria della relatività generale si dimostra in modo relativamente semplice che gli orologi a bordo dei satelliti GPS vanno avanti rispetto a quelli della superficie terrestre di qualcosa più di 35 microsecondi al giorno. Ecchissenefrega, direbbe il solito abitante dei bassifondi della Capitale. E no, invece. Perché questo anticipo significa che ci sarebbe uno sfasamento di circa 10km al giorno, se non se ne tenesse conto. E quindi i navigatori oggi funzionano anche perché Albert aveva ragione, a rifiutarsi di considerare il tempo come una variabile assoluta.

Ed è nella semplicità che si nasconde la bellezza. Sino ad arrivare ad un punto in cui della bellezza si può dare una definizione quantitativa, a quanto pare. Sto leggendo un libro, e sono in grande ritardo perché il corso mi assorbe più di quanto non avessi preventivato (ed è anche in arrivo un racconto, fatto come compito facoltativo). Il libro si chiama “L’universo elegante”. Parla delle ricerche mirate a trovare una unica teoria unificante che riguarda il funzionamento dell’Universo. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Pare che esistano delle piccole incongruenze tra la meccanica quantistica e la relatività generale, che impediscono a tutt’oggi di avere una teoria di questo tipo. Il punto a cui voglio arrivare è che gli sforzi maggiori si incanalano nell’approfondimento di teorie “belle”. Dove per bellezza si intende innanzitutto una linearità di ragionamento che deve sottendere l’intera teoria, ma anche dei canoni di simmetria che sono alla base della quantificazione della bellezza di cui parlavo poc’anzi.

Ed è questa la genialità. Scoprire o rivelare delle cose che erano lì (perché parliamoci chiaro, è tutto lì, bisogna solo vederlo…) spiegandole con semplicità. Ed Einstein era semplice anche nell’enunciazione della sua spiritualità, quando diceva “Subtle is the Lord, malicious He is not.” Che significa che il Signore è complesso, è sottile, ma non è malizioso. Tutto risponde ad un disegno, ad una modalità di funzionamento che è indipendente dallo specifico luogo e dallo specifico tempo. E quindi non c’è trucco e non c’è inganno. Bisogna magari fare dei ragionamenti complessi per arrivare al nocciolo, ma non ci sono sorprese, una volta scoperto il funzionamento. Non c’è la fregatura. Ma la frase che in assoluto mi piace di più è questa: “There remains something subtle, intangible and inexplicable. Veneration for this force beyond anything that we can comprehend is my religion.” Vale a dire che rimane sempre qualcosa di sottile (che torna…), intangibile e incomprensibile. Dietro questa incomprensibilità delle cose, c’è una forza. La religione di Einstein era la venerazione per questa forza. 

Che bello. Nel senso rinascimentale del termine. Che ho scoperto essere prossimo a quello scientifico.

Di schiene doloranti, di corsi e di paure

Ernia del discoE’ una vita che combatto con ‘sta roba che si vede a sinistra. Nel 2001 c’era un’offerta speciale, un 3×2, e così ne avevo prese 3 e via. Una addirittura espulsa. E però dopo delle terapie, alcune delle quali oltre il limite dello sciamanesimo e della stregoneria, ero rimasto sereno e relativamente tranquillo sino a qualche settimana fa, quando dei dolori lancinanti al nervo sciatico mi hanno fatto sospendere la corsa. Sereno e relativamente tranquillo significa comunque un contatto costante con il mio osteopata di fiducia, dal quale mi reco periodicamente per quelli che io chiamo “tagliandi”. Peraltro da quando avevo iniziato a camminare prima, e a correre poi, lo stato generale era migliorato decisamente, e addirittura la spina carcaneale e la rizoartrosi al pollice sinistro erano regredite significativamente, merito credo ascrivibile alla migliore tonicità muscolare. E insomma dopo un po’ di tentativi ho fatto l’ennesima risonanza magnetica della mia vita e olllllléééééééé, ecco lì la quarta ernia del disco, sioresiori!! Il mio morale era sotto i tacchi, ma il fido osteopata mi ha rincuorato, e mi ha promesso che mi avrebbe consentito di ricominciare a correre. La magia si chiama ozonoterapia. Sono alla quarta applicazione e i dolori sono scomparsi, ho ricominciato a fare la camminata veloce per ora, e incrocio le dita. Lui (l’osteopata, che poi è anche medico e omeopata) sostiene, e non ho motivo di dubitare di lui, che non esiste nesso di causalità tra corsa ed ernia del disco. In altre parole, l’ernia viene per problemi posturali, la corsa non incide sulla formazione, ma ovviamente non è consentita mentre l’ernia duole. Pare che l’ozono abbia la “magica” capacità di farla rientrare, e quindi taaaac. Speriamo.

Saltando di palo in frasca, ho scoperto Coursera. E’ un sito che eroga corsi in modalità online. Sono filmati corredati di materiale aggiuntivo, con test e quiz in corso d’opera, e si rilascia un attestato di partecipazione. Le materie sono le più varie, mi ha colpito il fatto che è totalmente gratuito, e che le persone che insegnano sono per la maggior parte professori emeriti delle principali università mondiali. Unico neo, la stragrande maggioranza dei corsi sono tenuti in inglese, ed è necessario avere una buona padronanza nella comprensione, anche se sono disponibili sottotitoli (sempre in inglese). Mi sono iscritto e sto seguendo un corso su Einstein e la relatività ristretta, che è svolto ad un livello qualitativo per cui non richiede competenze matematiche eccelse. Mi pare un buon modo per cominciare. L’impegno richiesto è di qualche ora a settimana, assolutamente fattibile. Trovo che sia un’iniziativa stupenda, ed è un modo per tenere la materia grigia in movimento, che aiuta sempre.

Chiudo con un video di TED, che parla di paura. E come la paura può stimolare la nostra immaginazione, e cosa possiamo imparare dalla nostra paura. Ci sono i sottotitoli in italiano.