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37 picchiatelli, 2 geni, 1 regista (per non parlar del cane)

Chi mi conosce sa che dico sempre “niente è per caso”. Ebbene più cammino sul mio percorso, più mi convinco di quanto sia vero. Non sto vivendo un periodo semplicissimo, per tante ragioni che sarebbe inutile spiegare. Ma in questo turbine di emozioni negative mi sono voluto fare un regalo: una settimana di Full Immersion Estiva, così la chiamano alla scuola Omero. Una settimana in un resort a parlare, discutere, chiacchierare di scrittura, e a scriverla, la scrittura. Sì, perché si va lì con un obiettivo: scrivere un racconto. Il “tema”, che Valenzi & Restucciaquest’anno era il dialogo, è in realtà un di cui. Perché ciascuno alla fine può scrivere quel che crede. I due geni del titolo, Enrico Valenzi e Paolo Restuccia, provvedono a fornire spunti ovviamente in tema, sotto forma di due incipit, un’immagine e due brani musicali. Oltre a leggere e commentare brani di scrittori che variamente hanno interpretato il dialogo: Woody Allen, Murakami, e molti altri. E dialoghi cinematografici, e discussioni, e letture degli allievi: il tutto sotto l’occhio vigile di Lucia Pappalardo, una regista d’eccezione che ha fotografato e filmato tutto il fotografabile e filmabile. E poi un turbillon di sessioni di editing individuali. A questo proposito, per chi non Lucia Pappalardoha esattamente presente quale sia il lavoro dell’editor, vorrei dire che l’editor non corregge i testi. L’editor li viviseziona. L’editor non dice se un periodo è troppo lungo. L’editor dice che quel periodo “non funziona”. L’editor si preoccupa che la parte centrale, la parte “buona” del tuo scritto, l’idea fondante, sia salvaguardata. Ma al tempo stesso che tutta la parte “cattiva”, la parte di troppo, la parte lenta, la parte poco interessante, sia eliminata. Rimpiazzata da altro che sia più in linea con la parte “buona”. Per cui da un racconto ambientato in un supermercato sono passato ad un’ambientazione in un ristorante. Da un personaggio senza professione sono passato a un neurologo. Da un incontro richiesto da due personaggi “tinca” (personaggi che sono solo funzionali all’intreccio) sono passato ad un incontro casuale perché non avevo modo di toglierli di mezzo rapidamente (perché i personaggi tinca devono essere eliminati con grazia, non possono rimanere “appesi”, il lettore si domanda che fine abbiano fatto distraendosi dall’intreccio). Da un finale pulp sono passato ad un finale a sorpresa. L’editing geniale è questo. È qualcosa che Studenti...stimola chi scrive a ripensare, riguardare, rivedere, magari ad alzarsi alle due di notte e scrivere tre versioni differenti per poterne discutere l’indomani. È qualcosa che fa sì che si crei una sorta di empatia condivisa, una specie di coscienza collettiva. Mi rendo conto di delineare delle iperboli vere e proprie, ma quel che è successo è proprio questo: nonostante la scrittura sia una cosa terribilmente individuale, e nonostante chi ama scrivere sia tendenzialmente un individualista, se si mettono 37 picchiatelli (leggi persone che amano scrivere) in un resort toscano, li si stimola opportunamente, e si dice loro che devono scrivere un racconto entro una settimana, succedono magie straordinarie. Succede che si va in giro con un pc cercando qualcuno a cui far leggere un passaggio, e quando lo si trova si inizia a parlare di tutt’altro. Succede che se indossi una maglietta con la pianta della metro di Londra a qualcuno viene in mente che il suo racconto deve essere ambientato nella City. Succede che parlando a cena di un post sul blog arrivi a capire quale sia il tuo incipit, che non è quello su cui hai sudato sangue sino ad allora. Succede che conosci persone straordinarie, che la sera si discuta sino alle due, di tutto e di nulla, succede che 36 sconosciuti diventino all’improvviso persone conosciute, succede che il venerdì sera, dopo la lettura di tutti i racconti, ci si voglia tutti bene. Succede che durante la lettura, che dura sei ore circa, nessuno si distragga neanche per un attimo, succede che gli ultimi due racconti, uno drammatico e uno comico, generino commozione e risate esattamente come i primi, anzi forse di più, succede che i due geni si commuovano, succede che un cane che si chiama Metallo (un bassotto cucciolo che quando corre dietro alla Metallopallina da tennis sembra una capretta Disney che salta sulle quattro zampe contemporanea-mente, ed è di proprietà della regista…) diventi la mascotte dei 37 picchiatelli, succede che nessuno si irriti se Metallo abbaia mentre si leggono i racconti. E succede che uno che lavora nell’informatica crei al volo una mailing list e un gruppo whatsapp, e succede che quel gruppo sia messaggiatissimo e che tramite quel gruppo e quella mailing list il sottogruppo dei romani si riveda pochi giorni dopo il rientro, per festeggiare un compleanno, e di nuovo una settimana dopo, complice il passaggio da Roma di due persone che per fare la Full Immersion sono partite da Bruxelles…

Il giorno dell’arrivo ho saputo che alcuni dei partecipanti avevano già preso parte ad altre full immersion estive. Alcuni addirittura sei, sette, otto volte. Quel giorno mi sono domandato perché mai qualcuno dovrebbe partecipare per tante volte ad una full immersion dedicata ad un racconto. L’ho capito quando sono tornato a Roma. E l’anno prossimo ci ritorno.

Un compleanno indimenticabile

DSC_0108Mi piacciono tanto i simboli. Un simbolo contiene una pluralità di significati, è assai più “parlante” di tante parole. E questa foto è un simbolo eccellente per rappresentare quello che è successo ieri pomeriggio. Ieri io sono stato sommerso dall’affetto di tantissime persone. Sono stato abbracciato da tutti quelli che sono venuti alla presentazione. Sono stato abbracciato dalle emozioni che mi ha regalato Ferdinando Maddaloni, leggendo due dei racconti del libro con una bravura, una carica empatica fortissima. La lettura del secondo racconto letto, “Il sopravvissuto”, mi ha commosso. Mi ha commosso perché Ferdinando ha letto nel modo in cui io avevo scritto. Mi ha fatto rivivere i momenti in cui quel racconto l’ho riversato sulla tastiera, in una prima stesura che è straordinariamente simile alla versione finale, perché era un concentrato di sentimenti che è letteralmente traboccato dal mio intimo. Ho vissuto una sensazione simile a quando ho scritto Alba Quantistica, quella sensazione di entanglement provata con kuroko. Ecco, Ferdinando ha dato voce al mio sentire, ha dato un ritmo ai miei sentimenti, ha dato emozione alle mie parole. E’ stato meraviglioso. E devo ringraziare elinepal, che ha moderato con una professionalità pazzesca, “rubandomi” la parola quando mi sono dilungato troppo, battendo i tempi in modo magistrale, guidando tutti in un evento che è stato per me uno dei più bei momenti della mia vita.

E’ stato bello riabbracciare persone che non vedevo da anni, alcuni da decenni, rivedere persone ritrovate da poco, conoscere e riconoscere blogger, trovare compagni di corso della scuola di scrittura, rivedere amici, parenti, colleghi, conoscenti. E’ stato emozionante parlare, cercare di spiegare, rendendomi conto di non riuscire, perché se avessi dovuto realmente spiegare non mi sarebbero bastate ore, giornate intere. Spiegare cosa mi passa per la testa, dove trovo il tempo, parlare del frullatore, che sta sempre lì a girare nel dietro della testa, parlare di come è cominciata, di come è continuata, di come continua ancora. Parlare di inquietudine, di tristezza e di allegria, di bianco e nero, di sole e luna, di giorno e notte, ma tutto vissuto in modo quantistico, non qui O lì, ma qui E lì, come dico sempre quando cerco di riassumere il principio di indeterminazione di Heisenberg. Si può essere tristi e allegri contemporaneamente? Si può essere luminosi e bui contemporaneamente? La risposta è sì, ed è quando ci si lascia andare senza cercare di controllare emozioni come queste, che i personaggi iniziano a parlare e a governare le storie, che gli intrecci vanno a posto, che le conclusioni arrivano.

E ieri sera è stato un entanglement allargato, perché io le ho sentite tutte, le persone che c’erano, e ho anche sentito quelle che non c’erano, le ho sentite forte, fortissimo. Ecco perché quell’immagine di quell’abbraccio è così fortemente rappresentativa della giornata. Ma niente è per caso, io lo dico sempre, e così elli ha trovato questa ispirazione meravigliosa e ha immortalato un momento, e non è un caso che sia proprio quello, tra i tanti scambiati, l’abbraccio che ha colpito elli, perché la persona che ho abbracciato in quella foto sta rivedendo la luce dopo un periodo molto buio, e il simbolo quindi si carica ancor di più di energia positiva.

Grazie a chi c’era. Grazie a chi mi ha pensato. Che c’era ugualmente.

E prima. Prima della presentazione una torta che mai me la scorderò. Mai, in tutta la mia vita.

torta

Il mio libro

copertina niente è per caso-2E’ da ieri che provo a scrivere, scrivo e cancello, scrivo e cancello. Perché quelle tre parole che stanno nel titolo del post non avrei mai immaginato di pronunciarle, nella vita. E francamente, ancora adesso mi sembrano un’enormità. Per questo è difficile raccontare. Alla scuola di scrittura mi hanno insegnato che l’essenzialità paga. Che i racconti devono essere semplici, devono descrivere un momento importante della vita del protagonista, che devono iniziare in un certo momento e proseguire con linearità, senza flash back e senza fronzoli. E allora provo a scrivere con semplicità, dall’inizio.

Erano mesi che Iaia me lo diceva, me lo diceva per iscritto, me lo diceva al telefono. Apri un blog, mi diceva. E alla fine l’ho aperto, all’inizio del 2012, e ho iniziato anche a divertirmi. Poi, dopo qualche mese, arriva Halloween. E’ una ricorrenza importante per Iaia, e lei lancia l’idea dei “Racconti intorno al fuoco”. E come per il blog, mi dice scrivi, dai scrivi, scrivi un racconto. Non volevo, pensavo di non essere in grado, ma alla fine mi sono messo lì, e un racconto l’ho scritto. E poi un altro, e poi un altro. E sono arrivato a scriverne una dozzina o poco più. L’estate scorsa una mia amica, Barbara, che ha appena messo su una casa editrice, tra il serio e il faceto mi dice che vorrebbe pubblicarmi, e mi dice di mandarle i racconti. Obbediente, raccolgo tutto in un file e spedisco. Non volevo pensarci, non volevo illudermi.

Perché questa cosa di pubblicare un libro è un sogno adulto, come ho avuto modo di condividere con gli amici con cui ho parlato nei giorni scorsi.  Quando si ha un sogno che nasce da bambini, quel sogno ci accompagna per molto tempo, e si impara a conoscerlo, a conviverci, a tenerlo con sé. Se invece nasce in età matura, allora è diverso, perché vale un po’ il discorso dell’inquietudine che facevo nel post precedente. E’ un sogno che contiene dentro tante cose che di fanciullesco hanno ben poco. E’ un sogno che sconta concetti imparati vivendo mezzo secolo, un po’ di cinismo, un po’ di disillusione, un po’ di pragmatismo, un po’ di concretezza.

Quando invece la forza del sogno infrange tutte queste remore, tutti questi schermi, tutte queste barriere, non si trovano le emozioni giuste. Sì, sì. Non è un errore. Non volevo dire “non si trovano le parole”. Ho detto proprio “non si trovano le emozioni”. Perché sono talmente tumultuose, talmente ingovernabili, talmente enormi, che non si trovano, alla fine. E c’è anche un’altra cosa. La paura, una sottile paura che manifestando le emozioni, dando visibilità della gioia, ci si svegli. E si scopra che beh, era effettivamente un sogno, non era realtà.

Però i segnali sono diventati sempre più forti, sempre più nitidi, sempre più chiari. Prima la richiesta di qualche nota di intro per ciascun racconto, poi della biografia, poi della sinossi. E allora, prima timidamente, poi con un po’ più di forza, ecco poi si arriva ad una sorta di consapevolezza. Che non è completa, ancora.

Mai me lo sarei immaginato. Mai avrei nemmeno osato sperarlo. Essere pubblicato è il sogno di chiunque scriva. Perché, come dico sempre, chi dice che scrive per se stesso dice una grandissima cazzata. Se vuoi scrivere per te stesso, tieni un diario. E lo tieni chiuso in un cassetto. Se apri un blog, scrivi perché speri che qualcuno legga. Speri che a qualcuno piaccia quel che scrivi. Speri che qualcuno ti lasci un commento, ti dia un segno di discussione, ti stimoli, ti critichi, ti apprezzi, ma soprattutto: TI LEGGA. Perché è questo che voglio io, è questo che vuole chiunque scrive qualcosa e l’affida alla rete. Io voglio essere letto. E mi piace tanto, quando mi leggono. Ma arrivare a essere pubblicato, ecco quello proprio era al di là. Al di là di ogni speranza, di ogni immaginazione, di ogni pensiero cosciente e coerente. E invece è capitato. Proprio a me.

Sono sempre alla ricerca del bello, mi piace cercarlo e mi piace trovarlo. E c’è tanto di bello, in questa situazione. Primo fra tutti il fatto che questo sogno è nato grazie a Iaia, un’Amica, ed è stato realizzato da Barbara, un’altra Amica.
E poi, è bello che le tre donne che vivono con me abbiano avuto tanta pazienza, nel vedermi sempre attaccato al Mac. E’ bello che sia stata mia sorella a farmi venire in mente la prima volta che forse tutto quel che scrivevo poteva avere una forma diversa da quella del monitor. E’ bello che in copertina ci sia un disegno di ombrella, perché lei disegna le mie parole, e io scrivo le sue immagini. E’ bello esser stato incoraggiato da tanti blogger: Francesca, che mi ha fatto da editor; solounoscoglio, che mi ha dato idee; masticone, che mi ha illuminato sul mercato dell’editoria; elinepal, che ha sempre avuto una parola gentile, anche de visu, elllisa, lettrice attenta; pani, ispiratore e commentatore assiduo; e tutta la redazione dei Discutibili, belle persone dalla ricca interiorità. Ed è bello essere stato aiutato da tante persone in real life: Vale, la mia vicina di openspeis; Ema e Angelo, due amici più che fraterni; Luci, amica e ispiratrice; Laura, l’informatica per caso, Francesca, coltissima adorabile lurker; Bea, Amica di una vita. Ringrazio di cuore tutte queste persone, e anche tutti quelli che hanno letto e commentato i post sul blog, tutti quelli che mi hanno detto a voce di avermi letto, tutti quelli che hanno avuto una parola di incoraggiamento. Perché quello che esce e finisce sulla carta, alla fine, è l’insieme di tutte le esperienze vissute, di tutte le emozioni provate, di tutto ciò che si è ricevuto e scambiato emotivamente. E quindi grazie anche a te che stai leggendo ora, e se non ti ho citato scusami, non è cattiveria ma distrazione, e se mi conosci un po’ lo sai, quanto io sia distratto. Appena saprò la data di uscita, la distribuzione, la data della presentazione, e le varie altre amenità, lo segnalerò.