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The Butterfly Circus

Devo ringraziare comearia per questo spunto. Se non avesse un blog privato, avrei volentieri ribloggato tout-court il suo post. Ma così non è, e quindi scriverò qualcosa di mio.

Non c’è in realtà molto da scrivere. Questo è un cortometraggio semplicemente bellissimo. E’ incentrato sulla metafora della farfalla, della trasformazione. Della morte e rinascita simbolica, che accade quando si prende coscienza del potenziale, della bellezza insita in noi, e si finisce di “piangersi addosso”. Il bello di questo film è che apre a considerazioni applicabili a qualunque situazione, proprio perché mostra una trasformazione estrema. Ed è proprio questa persona “estrema” che imparerà a capire, tramite situazioni meno estreme delle sue, ma altrettanto intense sul piano emotivo, che è ora di smuoversi.

– Se tu solo potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri…
– Loro sono diversi da me.
– Sì, ma tu hai un vantaggio. Più grande è la lotta, e più è glorioso il trionfo.

E il trionfo sarà davvero glorioso, inimmaginabile.

In questi giorni mi è capitato di parlare con varie persone, e noto che è un periodo di difficoltà, un po’ per tutti, me incluso (nonostante abbia molte cose di cui rallegrarmi). Credo che questo corto possa servire da stimolo e sprone a lavorare. Perché senza lavorare, e parlo di lavoro duro, non si arriva da nessuna parte. Non esistono le cose gratis. Qualunque cosa ce la dobbiamo guadagnare. Lavorando, guardandoci dentro, aumentando di un micropezzettino, magari, la conoscenza di noi stessi. Cito sempre il capitolo 64 del Tao Te Ching, precisamente la parte del viaggio che comincia con un passo. Questa volta voglio invece citare un’altra parte, sempre del capitolo 64.

Un albero che puoi appena abbracciare
nasce da un germoglio sottile come un capello.
Una torre di nove piani
comincia con un mucchietto di terra.
[…]
La gente quando intraprende faccende
giunta quasi alla fine sempre le rovina.
Sii coscenzioso alla fine come all’inizio
e non rovinerai le cose.

Un micropezzettino, un piccolo pezzetto di lavoro, per cominciare. E poi costanza, e coscenziosità, per proseguire nel lavoro iniziato. E alla fine dal mucchietto di terra iniziale vedremo sorgere la torre di nove piani. Questo ci dice il corto.

Sedetevi tranquilli e ritagliatevi 20 minuti, tanto dura. Sono 20 minuti ben spesi. Davvero. Ah, dimenticavo. Qualche fazzolettino a portata di mano aiuta. Ma solo in un paio di punti.

E’ facile smettere di fumare, se sai come farlo

E' facile smettere di fumare se sai come farloSono quasi 7 anni che non fumo più. E mi considero un benchmark, un riferimento. Perché io fumavo 50 Marlboro rosse al giorno negli ultimi anni prima di smettere. E se sono riuscito a smettere io, ci può veramente riuscire chiunque. Ho smesso col libro il cui titolo è il titolo di questo post. Voglio raccontare come, sperando di poter essere utile a qualcuno. Perché se avessi saputo che era così semplice, forse avrei smesso tanto tempo prima.

Ero un fumatore accanito, irrispettoso, maleducato, vizioso e dipendente. Telefonata stressante? Sigaretta. Telefonata rilassante? Sigaretta. Caffè? Sigaretta. Liquorino? Sigaretta. Discussione animata? Sigaretta. Passeggiata rilassante? Sigaretta. Una sigaretta per tutto, una sigaretta per il contrario di tutto.

Le comperavo a stecche. E quando la stecca era a metà, ne comperavo un’altra. Non sono MAI rimasto senza sigarette da che mi ricordo. Ho iniziato che avevo 14-15 anni, non ricordo se era il primo o il secondo anno di liceo. E da allora mai smesso, mai voluto smettere, sempre sostenuto che volevo fumare.

Erano già un paio d’anni, (era l’inizio del 2005), che mi dicevo quanto sarebbe stato bello riuscire a fumare solo le sigarette “godute”, quelle associate alle situazioni di relax. Una la mattina dopo il caffè, una dopo pranzo, una dopo cena, altre 3-4 sparse. 6, 7 sigarette al giorno. Praticamente nessuna controindicazione, in fondo vivo a Roma, non è che siamo sulle montagne con Heidi e le caprette che ci fanno ciao. Se esci e respiri, facile che ti entra nei polmoni più benzene che ossigeno. Quindi niente balle, poche sigarette al giorno non aggiungono e non tolgono nulla a questa situazione già compromessa. Però questa è sempre stata una pratica impossibile da applicare. Era un attimo e il “craving”, quella voglia che ti mangia da dentro, tornava. Quella che ti fa cercare compulsivamente il pacchetto, tirarne fuori una, prendere l’accendino, accendere, tirare una boccata enorme, inspirare profondamente, trattenere un attimo ed espirare con un ahhhhhhhhh liberatorio.

Poi mi sono dovuto operare al palato. Inutile dire che al risveglio, dopo neanche mezz’ora ero già sul balcone dell’ospedale a fumare. Nelle settimane successive all’intervento mi erano state prescritte delle iniezioni di cortisone, per lenire l’infiammazione delle cicatrici al palato. Il palato è una zona particolarmente innervata e irrorata, e pertanto particolarmente sensibile. Il problema è che il fumo non aiutava, specie in quelle quantità, per cui l’infiammazione non passava, e io continuavo con il cortisone. Mi rendevo conto che non potevo andare avanti in quel modo, ma non vedevo soluzioni possibili, anche se il tarlo del “certo-se-smettessi-di-fumare-tutto-questo-finirebbe” iniziava a farsi sentire con sempre maggiore insistenza. Così ho ripreso in mano il famoso libro. Sì, ripreso. Perché l’anno precedente, nel 2004, lo avevo iniziato. Ne avevo anche intuito la forza, e siccome all’inizio del libro c’era scritto qualcosa tipo “quando avrete completato la lettura del libro smetterete di fumare”, e in quell’estate io non mi sentivo ancora pronto, ne avevo lasciate una trentina di pagine non lette, giusto per non contraddire il libro e non sfidare quella parte di me che, fortemente contraria alla sola idea di un tentativo di smettere, avrebbe sicuramente boicottato pesantemente l’iniziativa. Insomma, avevo deciso di tenerlo in caldo in attesa di tempi migliori.

E sembrava proprio che quei tempi migliori fossero arrivati. Sono andato dalla mia dottoressa medico di base, la quale mi ha parlato di un farmaco, non cito il nome per evitare pubblicità, ma è basato su un principio attivo che si chiama bupropione, che se lo cercate su Wikipedia lo trovate, comincia con z. Questo farmaco aiuta nelle disintossicazioni e nelle tossicodipendenze, alleviando il disagio fisico e psicologico del processo di disassuefazione.

Così ho iniziato a leggere il libro e a prendere il farmaco, un paio di settimane prima di smettere. Da fumatore accanito avevo dei timori che sono perfettamente rappresentati nel libro. Per ciascuno vengono spiegate le ragioni, e le metodiche e i “trucchi” per evitare problemi. Una paura tipica è quella del “dopo che succede”, “come faccio a prendere il caffè senza fumare una sigaretta dopo”, che in qualche modo sublima la paura dell’ignoto. Per un tossico abituato a farsi 50 volte al giorno, l’idea stessa di rinunciare a questo rito è inconcepibile, perché, come accennato all’inizio, c’è una sigaretta per tutto e ce n’è una per il contrario di tutto. La sigaretta è una compagna di vita apparentemente insostituibile, perché riempie la vita più di una persona cara, e questo è tanto più vero quante più sono le sigarette fumate al giorno.

Un’altra paura tremenda è “ma come faccio se mi stresso”. Nel libro sono trattate situazioni di stress classiche, una tra tutte quella di lutto, e ci sono preziosi consigli su come evitare la trappola.

Ma il valore più importante del libro, quello che per me è stato assolutamente determinante, è quello di focalizzare l’attenzione su un aspetto del quale quasi nessun fumatore è consapevole. Il fumo non è un piacere. Non lo è. Punto. C’è un capitolo del libro dedicato a smontare questa chimera. Sono riportate le descrizioni delle sensazioni piacevoli così come rappresentate dai fumatori. Mi pare di ricordare ce ne siano tre o quattro. Io mi sono riconosciuto in una delle descrizioni, l’accento era posto sulla sensazione del fumo che entra nei polmoni. Bene, dopo questa descrizione molto, molto precisa, della sensazione provata, che calzava assolutamente a pennello con quanto avrei detto io, il testo continuava dicendo che quella sensazione così piacevole si poteva facilmente ottenere simulando un soffocamento. Praticamente, tappando naso e bocca e tentando di inspirare, con forza, si otteneva una sensazione molto simile a quella di una bella boccata di fumo. Incredulo ho provato. E le cose stavano esattamente così. Prima ancora di continuare la lettura, ho pensato che dovevo essere un completo idiota, a ricercare un piacere provocato dal soffocamento. Ed era esattamente questa la frase successiva. No, mi pare non ci fosse la parola idiota. Ma insomma, il senso era chiarissimo.

Questo cambio di prospettiva è stato fondamentale. Perché questo cambiava tutto. Non stavo più rinunciando ad un piacere, mi stavo liberando di una tossicodipendenza. E nei momenti di difficoltà delle prime settimane, quando l’abitudine, la gestualità, le situazioni vissute per tre decadi, facevano salire il desiderio, il pensiero che stavo facendo qualcosa per me, per uscire dalla “rota”, come la chiamiamo nei bassifondi della capitale, mi ha sostenuto e aiutato moltissimo. Al punto che, dopo tre settimane circa che avevo smesso, e avendo recuperato significativamente l’olfatto (e quindi i sapori, che non tutti sanno, specialmente i fumatori, essere solo in minima parte legati agli impulsi trasmessi dalle papille, mentre sono in massima parte legati alle sensazioni olfattive che cooperano con quelle gustative), che mi faceva percepire meglio gli odori, quando ero in crisi andavo vicino a qualcuno che stava fumando e lo annusavo. Ogni volta che racconto questa cosa ad un fumatore incallito e che non ha cambiato ancora la prospettiva vengo interrotto a questo punto dalla fatidica domanda “gli andavi vicino per annusare il fumo e ricrearti un po’, vero?”. La mia risposta invariabilmente li spiazza. No, non andavo lì per ricercare sensazioni perdute e ricrearmi. Andavo lì per sentire la puzza, sentirla ben bene. E dopo che l’avevo sentita ben bene, e ne avevo ricavato una sensazione di nausea, mi dicevo “bravo, stai facendo la cosa giusta, veramente vorresti tornare a quella puzza fetida?”.

Il libro è stato il mio mantra per sei mesi, me lo sono portato dietro tipo coperta di Linus, lo avevo SEMPRE con me. E ogni tanto andavo a rileggermi qualche passaggio, di quelli che mi avevano colpito particolarmente, o di quelli dei quali avevo pensato che mi sarebbero serviti nei momenti difficili.

La prima settimana è stata abbastanza complicata. Le due successive sono andate meglio, poi ho iniziato ad apprezzare i vantaggi del non fumare. Niente lingua cartonata al mattino, alito decisamente fresco, olfatto a mille, gusto a mille, tanto fiato in più. E, in forza del fatto che ero tetragono nella mia convinzione di non rinunciare ad un piacere, non ho avuto bisogno di succedanei. Niente caramelline, niente spedizioni punitive verso il frigorifero, niente scorpacciate sostitutive. Nei successivi sei mesi avrò preso forse un chilo. Perché oggettivamente avevo un po’ più di fame, essendo la nicotina un blando anoressante.

Ogni tanto sognavo che avevano inventato una sigaretta che non faceva male e che non dava dipendenza. Questo perché un principio cardine del libro è che basta una sigaretta per diventare un tossico. Una sola. E non ci si ferma più. E forse ancora non accettavo completamente quest’idea, e cercavo una quadratura del cerchio impossibile. Dopo neanche un anno sono andati via anche i sogni.

Dopo due anni (da quando avevo smesso) sono successe a breve distanza due cose che rientrano nella categoria “stress”. La prima è stata che dopo l’acquisizione dell’azienda, sono stati effettuati un numero importante di licenziamenti, e nessuno sapeva a chi sarebbe toccato. Debbo confessare che un giorno nel quale ero particolarmente stressato, ho avuto un pensiero, durato forse un decimo di secondo. Mi ha attraversato la mente l’idea di accendermi una sigaretta. L’ho accantonata, e mi sono ripromesso in quel frangente di non abbassare mai la guardia, e che sarebbe stato opportuno non abbandonare mai l’idea di essere una persona a rischio. E quindi niente giochini. Niente “provo ad accenderne una giusto per vedere”. L’altro episodio, pochi mesi dopo, è stata la morte di mio padre. Che, come tutte le morti dei congiunti, arriva sempre inaspettata, anche quando è attesa. Manco a dirlo, papà è morto di cancro ai polmoni. Da fumo. E no, non sapevo lo avesse quando ho smesso. E’ stato diagnosticato un anno dopo. Ma quello che volevo sottolineare è che in quella circostanza nessuna idea mi ha attraversato la mente. Neanche per un decimo di secondo. Ripensandoci a posteriori, ho capito che forse ce la potevo veramente fare. Definitivamente intendo.

Perché che potevo farcela l’ho capito dopo un paio di mesi. E per aggiungere motivazione, ho preso un finanziamento in banca. Con una rata che era esattamente uguale alla mia spesa mensile in fumo, 250 eurini, all’epoca. E con quei soldi mi sono comprato la moto, quella immediatamente precedente a quella che appare nella foto della home page. Era uguale a questa, solo rossa. L’hanno rubata che non avevo neanche finito di pagarla. Era assicurata per fortuna, e con i soldi dell’assicurazione ho comperato quella attuale.

A novembre faranno sette anni. Non mi manca. Penso sempre che se avessi saputo che era così facile lo avrei fatto prima. Mi consolo pensando che probabilmente prima non ero pronto. E la mia più grande soddisfazione è che mia figlia (non la dottoressa Cippi, lei fuma ancora come un turco) (anzi due) ha smesso anche lei. Esattamente nello stesso modo. Farmaco e libro. Sono sei mesi, ma mi pare ben avviata.

Cerco di essere tollerante, non voglio essere di quegli ex-fumatori bisbetici che mi rompevano tanto le scatole quando fumavo. Però è difficile. Capisco tutti e due gli schieramenti, oggi. Ho vissuto in prima persona la totale incapacità di comprendere il fastidio che dà il fumo. E vivo oggi questo fastidio, in modo forte. Non sopporto il fumo in auto, ma faccio finta di niente quando salgo in macchina dopo averla prestata alla moglie o alla figlia fumatrice e sento la puzza. Vado in giro con i finestrini aperti per un po’ e aspetto che passi. A volte, alcune sere, davanti alla televisione, non so perché ma sono ipersensibile, e mi arrivano delle zaffate di puzza che mi chiudono la gola e mi soffocano (senza provocarmi alcun piacere, ah-ah), ma evito di parlare, perché evidentemente è per l’appunto un mio problema di ipersensibilità temporaneo, visto che non capita quasi mai. Ma in quei momenti il pensiero va a tutte le persone a cui involontariamente, e in perfetta buona fede, ho provocato enorme fastidio con le mie sigarette. E un po’ mi vergogno.

Oggi ho cominciato la dieta. E ho usato per la prima volta i cosi bentosi di Iaia, perché per cena avevo due uova, tre etti di insalata e pomodori, e tre etti e mezzo di melone. L’uovo rideva. Lui. Allora l’ho fotografato e l’ho messo su Instagram. Gli ho anche chiesto, visto che c’ero, che acciderbolina avesse da ridere, ma siccome non ho pensato proprio acciderbolina, l’ho scritto come si scrivevano le brutte parole nei fumetti di Paperino… “Ridi ridi, uovo-coniglio… Ma che @#%*¥ ciavrai da ride, dico io…”