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La casa

E’ un periodo in cui quando mi chiedono come sto, rispondo che ricordo periodi più allegri della mia vita. Non voglio fare l’eterno sofferente magistralmente descritto dal buon Francesco Vitellini, ma insomma è uno di quei periodi dove da qualunque parte mi volti ci sono problemi. Tra l’altro quella caccola di vena creativa che avevo si è esaurita, sembra, al punto che questo è il primo post da un bel po’, e non riesco neanche a fare i compiti per la scuola di scrittura cui mi sono iscritto. E non parliamo dei discutibili, che ringrazio per la pazienza. Cerco di riprendere un po’ il ritmo, cerco di voltare pagina, anche con questo post, e vediamo che succede.

Oggi ero a Focene. Ho parlato spesso della casa di Focene, e quanto io vi sia legato. La casa è su un terreno adiacente ad un altro, dove ne sorge un’altra, di dimensioni comparabili ma unifamiliare. In quella casa, nel periodo in cui ho vissuto a Focene, abitava una coppia, della generazione dei miei genitori e dei miei suoceri. Li ricordo come persone estremamente riservate, e niente affatto espansivi. Per la precisione ho ricordi visivi solo di lui, ché lei a mia memoria credo di non averla mai vista. Lui provvedeva in proprio ad effettuare i lavori di manutenzione della casa. Ma non soltanto le piccolissime manutenzioni, ho un ricordo di lui che tutti gli anni prendeva un trabattello (uno di quei ponteggi mobili su ruote) e si faceva la manutenzione del cornicione e del sottotetto. Parentesi. Nelle case molto vicine al mare, la salsedine e il vento combinano danni a tutte le case. In particolare i cornicioni, che tendenzialmente sono fatti di cemento armato, quindi con cemento in cui sono annegati dei tondini di ferro, necessitano di manutenzione periodica perché il ferro arrugginendo più rapidamente che in città, grazie all’aria salmastra, si gonfia e fa scoppiare il cemento, creando delle crepe. La manutenzione necessaria consiste nell’allargare le crepe, arrivando sino al ferro, trattare il ferro con apposito antiruggine, e richiudere la crepa con cemento e intonaco pronto. Questa manutenzione di norma io la faccio fare a qualcuno, ma il vicino invece, complice una struttura di sottotetto meno complicata della mia, tutti gli anni si faceva il suo scalpellamento e trattamento. E poi tante altre piccole cose, sempre che avevano a che fare con la muratura. Ci teneva, ci teneva tanto, a quella casa.

Un po’ di tempo fa la moglie è morta, e lui si è trasferito a vivere da un figlio. Lo abbiamo incontrato qualche tempo fa, il figlio. Sta aspettando che il padre muoia (parole sue) per vendere casa e terreno a un’impresa di costruzioni, che l’abbatterà e ci costruirà una palazzina o qualcosa del genere. Nel frattempo, la casa è completamente disabitata, e sta diventando un rudere. Sta cadendo letteralmente a pezzi. Credo sia stata usata come rifugio da qualche barbone. Il giardino era diventato una foresta, sinché quest’estate non è stato tagliato tutto, compresa una siepe di pitosfori bellissima che è stata rasa al suolo senza alcun complimento.

Secondo me anche in quella casa c’erano delle riserve di dolcezza, c’era dell’amore latente. Che si sta sgretolando insieme con gli intonaci, gli infissi, e le piastrelle. Ed è un peccato che non ci sia nessuno che la abita, ed è un peccato che nessuno se ne prenda cura. Panta rei, direbbe Eraclito. Ma a volte il panta rei è molto triste.

Mi è venuta in mente questa canzone, pensando a quella casa, in particolare al verso “when you got nothing, you got nothing to lose, you’re invisible now, you’ve got no secrets to conceal”. E mi piace assai di più la versione degli Stones rispetto a quella di Dylan.