Di interiorità, di discussioni, di Web 3.0. E di mostri dentro.

depressioneAvviso ai naviganti. Questo è un post molto lungo. Lo è perché prende le mosse da una discussione iniziata su un post nel mio blog, che si è incrociata con un post su Facebook.
E allora mi sia consentito un incipit. Più volte, nell’ultimo periodo, specialmente con riferimento ad una penosa vicenda che ha generato chiacchiere degne di un gallinaio, ho letto il termine “blogosfera”. Sono oramai tre decenni che mi occupo di informatica, e di rivoluzioni ne ho viste molte. Una cosa ho capito, ed è che questo mondo è in continua evoluzione. C’è chi lo comprende, e si comporta di conseguenza, c’è invece chi, come sempre, è restio al cambiamento. Il problema vero è che negli ultimi anni i cambiamenti sono talmente veloci che star loro dietro è diventato complesso. Ecco, alla soglia del web 3.0, leggere “blogosfera” mi fa sorridere. E mi fa sorridere perché nel momento in cui si verifica un incrocio tra Facebook e un blog, siamo davvero alle soglie del web 3.0. Che è un web dove si comunica in tutti i modi possibili e immaginabili, dove non è importante se parliamo via twitter, via whatsapp, via facebook, o via blog. La cosa veramente importante è che un certo numero di persone trovano interessante un tema e dicono la loro. Usando il mezzo che è più congeniale. Ma senza rifiutare di usarne altri. Per questo sorrido se sento parlare di “blogosfera”. Ma di cosa parliamo? Di wordpress? Di Blogspot? Dal mio punto di vista questa esperienza mi ha insegnato che se si vuole comunicare si comunica. Indipendentemente dal mezzo. E questa è la sostanza di internet. Secondo me. Persone che esprimono pareri. Giusti o sbagliati non ha importanza. Io non ho certezze, ho solo dubbi. E vedere scrivere cose che quoterò nel prosieguo del post, parte su Facebook, parte sul mio blog, vedere persone che si sono aperte, che hanno detto la loro senza schermi, senza problemi, con pacatezza, con il rispetto dovuto alle opinioni altrui, ecco questo mi ha aperto il cuore. Chiudo la polemica sulla blogosfera dicendo che esiste solo una cosa: si chiama Internet. Ed è una infrastruttura straordinaria, che, per il tramite di mezzi differenti (Facebook, Twitter, Tumblr, WordPress, Blogspot, e chi più ne ha più ne metta), riesce a mettere in contatto persone: persone, non nickname; persone, non entità virtuali. E la microscopica esperienza che ho vissuto de visu mi ha insegnato che su temi interessanti le persone si esprimono senza schermi, senza pregiudizi, senza il timore di essere giudicati. Perché portano esperienze dirette, esperienze vissute, esperienze che hanno lasciato un segno.

Ebbene, dopo questo lungo incipit, quello di cui voglio dar conto, perché è qualcosa che mi ha profondamente colpito, è l’incrocio tra blog e facebook. Il “pretesto” è stato il suicidio di Robin Williams. Nel mio post avevo citato una frase che sostanzialmente contestava la considerazione, che molti fanno quando un personaggio ricco e famoso si suicida, che recita più o meno “ma perché mai una persona come quella dovrebbe essere depresso?”. Contemporaneamente l’amico Erre (Roberto Emanuelli) aveva scritto un post su Facebook, dove lanciava una sorta di provocazione analoga, esordendo con “Non amo gli omaggi pubblici ai morti suicidi per depressione et similia”. E per uno strano meccanismo di incroci, grazie a koredititti, amica di entrambi, che ha avvisato Erre su Facebook di quanto avevo scritto, il mio post si è mischiato con quello di Erre, dando luogo ad un fenomeno davvero da Web 3.0

Infatti, partendo da questo incrocio si è sviluppata una discussione sulla depressione. Personalmente detesto questo termine, non ne ho uno alternativo, ma credo che nell’immaginario collettivo depressione finisca per significare tutto ciò che la depressione in realtà non è. La depressione non è insoddisfazione. La depressione non è autocommiserazione. La depressione non è scontentezza. Se vogliamo tentare di dire cosa sia la depressione, e porto la mia esperienza personale, la depressione è una condizione di tristezza assoluta. Una condizione nella quale non c’è nulla che possa rischiarare un panorama che appare plumbeo, anzi, nero, nero come la pece. Una condizione nella quale non si vede futuro. Sì avete letto bene. Non si vede futuro. Non è una questione di vedere un futuro nero. La questione è di non riuscire neanche ad immaginarlo, un futuro. Una condizione nella quale si fa quel che si deve fare per mero condizionamento educazionale, che viene da lontano, da quando siamo piccoli, da quando siamo stati educati.

Ecco. Dopo questo riporto, semplicemente, spezzoni di frasi prese da facebook e dal blog. Il tema è il suicidio di Robin Williams. Ma non solo, grazie a dio. Il tema è cosa ci dice quel suicidio, cosa ci stimola, cosa ci fa pensare. E se vorrete commentare, dare un contributo, io sarò felice. Perché vuol dire che non esiste una “blogosfera”. Vuol dire che esistono delle persone che vogliono comunicare, e che non ha importanza il mezzo col quale comunicano. Una precisazione. Le frasi riportate non sono “le migliori”. Ci sono stati una pluralità di giudizi e di opinioni, molti di questi dicevano cose simili con parole differenti. E per questo motivo non riporto l’autore, ma solo il concetto. E mi corre l’obbligo di ringraziare tutti, per aver contribuito con così tanta passione alla discussione

quei RIP che proprio non mi vanno giù

La depressione fa paura… neanche fosse contagiosa… tutti sono bravi a parlare “dopo”, ma nei momenti critici al massimo danno pacche sulle spalle aggiungendo un “reagisci” di circostanza (cosa molto irritante per chi sta male, tra l’altro)

[parlando di Robin Williams] sono scomparsi ebola,Gaza,i morti ammazzati con inaudita violenza

Tutti sono compassionevoli verso un cancro, o diabete o cardiopatie. Un depresso viene evitato da tutti è noioso pesante antipatico. Allontanato dal giro degli amici.

Leggendo i vostri commenti mi accorgo della totale assenza dell’umanità, nel senso specifico del termine.
Non voglio credere che siamo una moltitudine arida e individualista.
La depressione è terribile e devastante ma non tutti ci voltano le spalle.

ma nessuno di loro sa che io, giornalmente, da ormai più di tre anni prendo antidepressivi, pillole per dormire e ansiolitici. Pensano che io sia felice, che non mi manchi nulla ….. invece!!!!! Ora lo sai anche tu e molte altre persone che però non sanno nemmeno chi io sia. Cerco sempre di sorridere, di farmi vedere contenta, ma dentro non è così. Io non mi suiciderò mai, ho troppa paura della morte, non riuscirei mai a farlo, almeno penso. Ecco ora sai più cose su di me, ma nessuno dei miei cari leggerà mai questo commento e questo è quello che conta per me. Non voglio che quelli ai quali voglio bene soffrano per me.

le varianti che ruotano attorno alle parole “cura” e “attenzione” non sempre approdano tra le persone “giuste”. E per giuste intendo empatiche, capaci, coraggiose nel mostrare il proprio cuore.

E’ sempre più facile immedesimarsi nelle vicissitudini di un personaggio famoso che in quelle di “casa propria”

Ognuno ha la propria tribù di demoni da sfamare, domare,riempire di botte…dir loro state zitti, che volete da me.

Non so, sinceramente non so quanto il nostro non voler svelare all’esterno queste “tribù di demoni” come dice Samantha coincida con l’assenza – di fatto – di un ascolto vivo, caloroso, partecipe.

quel senso di perdizione nel buio, senso di inadeguatezza e apatia che la depressione infligge trova principalmente sempre e solo noi come “primo alleato”. Ho scritto “alleato” con intento paradossale.

Mi viene in mente la frase di Pavese:
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Non fate troppi pettegolezzi”

I mostri dentro. Ormai so che solo chi li ha capisce davvero.

la sensibilità è un giano bifronte, come l’allegria.. succede che dopo una lunga estenuante risata si concluda con un pianto dirotto. Succede, esiste. E’ un fatto. Come è un fatto una diagnosi di morbo di Parkinson e di Alzheimer…sono forse migliori di un cancro???

Quando cose del genere succedono, tutti sono pronti a dire “ma come, non se n’erano accorti i suoi familiari, i suoi amici?”. La verità è che è difficile, davvero difficile che qualcuno si renda conto di quello che si agita in un’altra persona.

La depressione è davvero una malattia? O non è forse, almeno in certi casi, una visione del mondo, dovuta proprio a una certa particolare sensibilità? In fondo per poter sorridere di tutto bisogna desacralizzarlo, cioè renderlo meno importante (perdona il linguaggio alla buona), e quando rendi tutto meno importante, cosa ti resta di solido a cui aggrapparti?

come risolvi? Anestetizzi la sensibilità? Cioè salvi una persona da sè stessa ottenendo però come risultato una persona diversa? Ma è poi possibile cambiare una persona o l’unica cosa che si può fare è tenere in qualche modo a bada i suoi fantasmi, perciò non guarendolo bensì tenendolo in una specie di limbo da cui basta comunque spostarsi di un passo per ritornare al punto di partenza (Un po’ come succede con le varie dipendenze)? Comunque le mie sono riflessioni con poche certezze…

Un depresso conclamato pian piano inizia a non aver voglia di curare il corpo e l’aspetto, ha fastidio, fino a detestare il contatto con l’acqua, il sonno è agitato o inizia l’insonnia, la sera è già un casino di angoscia perché arriva la notte, ma l’alba è atroce significa riprendere il contatto con una vita che non ha più alcun interesse..

Cosa succede a queste persone? siamo fatti di chimica e qui c’è qualche intoppo, bisogna ripristinare i collegamenti affinché si producano i fenomeni chimici che essendosi interrotti hanno provocato il danno. Prima si interviene e più certa è la ripresa, nel senso che non si sono danneggiati seriamente i centri nervosi del cervello. La serotonina è fondamentale,ma non è l’unica a mancare

i farmaci guariscono davvero e del tutto la depressione o una volta “rotto il vaso” questo rimarrà sempre incrinato e perciò più sensibile agli urti, e per ovviare a questa sensibilità si dovrà ricorrere continuamente ai farmaci (ed ecco creata una dipendenza)?

O forse, azzardo, bisognerebbe distinguere fra depressione dovuta solo a cause “chimiche”, curabile (o che almeno si può tenere sotto controllo) coi farmaci, e tutte le altre. Ma forse il confine non è così netto…

ecco, certe fragilità, certe debolezze, sono dietro l’angolo, ci colpiscono, ci penetrano, ci attanagliano, e non sono visibili… dietro a certi atteggiamenti e apparenze si nascondo vulnerabilità insospettabili, sensibilità labili, a volte speciali, altre sublimi e geniali,

Solo che la gente non si rende conto che gli psicofarmaci sono dei palliativi e non la cura: forniscono il neurotrasmettitore ma non risistemano le sinapsi sbagliate. Se uno è fortunato magari le sinapsi tornano a posto da sole, ma io ci credo poco e -nonostante io sia una razionalista cerebroide asimbolista- sono fermamente convinta che la psicoterapia sia l’univa vera via verso la guarigione, certo magari supportatata dai farmaci psicotropi ma da soli quelli non bastano; e che la cura della depressione, così come di ogni altra malattia psichichica, sia molto più complicata di quello che sembra ed anzi a volte non esiste. Il nemico non è una cellula matta, non è un vaso occluso: è la tua mente.

La propria mente va accolta, apprezzata e amata valorizzandola anche nei difetti, chi non sa amare se stesso non riesce ad amare gran che fuori. La psicoterapia nella depressione deve essere accompagnata dai farmaci giusti, e si può arrivare anche a fare senza medicine. La vedo come una malattia dell’anima e le ferite dell’anima sono quelle più difficili da vedere e da curare.

E’ ovvio che hanno a che fare con la soggettività, ma dobbiamo renderci conto che anche la soggettività può ammalarsi, per quanto non sia possibile (e neanche augurabile) stabilire uno stato di normalità valido per tutti.
C’è una enorme ignoranza sulle malattie mentali, e anche una buona dose di menefreghismo da parte dello stato. E’ giusto dover pagare così tanto uno psichiatra/psicanalista?

Chi ha attraversato quello stato di abbandono totale e di ripudio verso se stessi ha una cicatrice indelebile dentro che ogni tanto torna come una mandala, una nenia, una passacaglia… si trasforma, gli elementi intorno cambiano…ma quel ricordo resta lì.. cresci e vai avanti nella quotidianità, ti realizzi in tante cose eppure quella ferita resta; a ricordarti che ce l ‘ hai fatta ma che resti vulnerabile. Un essere irripetibile e stupendo nella sua unicità , nelle sue fragilità, nelle sue quotidianità e nella sua intimità.

Ecco, se siete arrivati a leggere sino a qui siete degli eroi. Io non ho conclusioni. Non ho verità svelate. Ho solo dubbi. Ho un po’ di esperienza personale in merito. Quel che credo io, per quel che vale, è che i farmaci siano importanti per non affogare, e che abbiano un ruolo preciso. Ma da soli non sono la soluzione. E’ necessario guardarsi dentro. E’ necessario farsi prendere per mano da qualcuno pratico. E questo qualcuno pratico deve essere quello giusto per noi. Ecco, se posso permettermi un suggerimento, credo sia importante essere estremamente esigenti verso il terapista. Deve essere quello giusto per noi. E un altro suggerimento. Se avete un amico depresso, o semplicemente giù di morale, non ditegli “pensa a chi sta peggio”. Non serve proprio a niente. Perché come dicevo altrove, se servisse, noi tutti, TUTTI, dovremmo essere consapevoli che quando diciamo “ci vediamo stasera” vuol dire che ci vedremo stasera, a meno che non ci caschi un cornicione addosso. Mentre in una parte importante di mondo, “ci vediamo stasera” è una speranza, che potrebbe CONCRETAMENTE non avverarsi. E allora, solo pensando a questo una volta ogni sei ore, dovremmo tutti fare capriole dalla mattina alla sera. E invece no. Per cui “pensa a chi sta peggio” è (scusate il francese) una grandissima cazzata. E se vi andrà di dire la vostra, sarà per me un grandissimo piacere ascoltare tutti voi.

112 pensieri su “Di interiorità, di discussioni, di Web 3.0. E di mostri dentro.

  1. chiaralorenzetti

    Ciao. Di solito fuggo dai post troppo lunghi, ma visto che sono bloccata da un annoso e tedioso ginocchio malato, ho avuto tempo per leggerti. E’ vero quello che scrivi, che le persone riescono ad aprirsi e quello che ho letto nei commenti sono stralci molto sinceri di sé che forse in contesti quotidiani non riescono ad uscire. Ben venga quindi internet, i nick, i nomi veri, le relazioni virtuali se aprono confidenze così ardite.

    Ho vissuto per qualche tempo una forma leggera di depressione curata prima con farmaci e poi con la psicoterapia e posso affermare che la psicoterapia è stato un passo avanti portentoso per la mia vita, per il mio essere donna. Quello che ho imparato da me stessa, scrutandomi dentro, è stato unico e consiglio sempre a tutti, nei periodi bui, di farsi coraggio e tentare quella strada.
    Mi autociterò, spero non te ne abbia a male; è una cosa che ho scritto poco fa ad una persona molto triste, la condivido visto che è ciò che penso e che collima con il tuo pensiero.

    “Sono parecchio giù, lo sai. E forse tu come gli altri che sono passati di qua credono sia troppo per un ginocchio bloccato.C’è di peggio al mondo, no?
    So che non riesco e nemmeno ci provo a far capire cosa passa dentro di me e quanto sia pesante.
    Penso che per te sia lo stesso. Mi viene da dirti di risollevarti, che stare male non paga, che sei casa e goditi il bello che tu hai.
    Ma capisco e so che non mi è dato di capire cosa provi fino in fondo come tu non puoi di me ( come non possiamo di nessuno)
    Vivere e riuscire a farci capire è un’impresa impossibile. Possiamo se vogliamo, solo tentarci.
    Però sappi che sono dalla tua parte come so che tu sei dalla mia.
    E come la scorsa sera mi hai detto ” eh, ma se fai così allora” riferendoti alla mia tristezza sulla mia sorte, allora posso dirlo anch’io per te ” eh ma se fai così allora!”
    La vita va avanti con o senza i nostri mugugni, te ne sei accorta?”

    Ciao
    Chiara

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      E’ bello quando ci si capisce, Chiara. E con la stessa leggerezza con la quale ti ho chiesto “bambina, posso giocare?”, ti dico che hai centrato esattamente il mio punto. Non riusciamo a relativizzare. O meglio. Non sempre ci riusciamo. E nei momenti in cui non ci riusciamo, soffriamo come bestie. E chi non capisce questo, non capisce un cazzo (e riscusa il francese, ma ogni tanto mi tornano queste reminiscenze delle Orsoline)

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  2. Roberto Erre Emanuelli

    La prima premessa è che sarò lungo. 😛

    La seconda è che ho deciso di commentare usando le mie credenziali facebook e non quelle di wordpress, per sottolineare alcuni aspetti di cui stiamo parlando…

    Un po’ come per molti altri aspetti della vita, trovo forzato e quasi mai esaustivo cercare di definire concetti, idee e persone che non possono in nessun modo essere incastrati in una sola limitata parola. E questo vale, a maggior ragione, anche per certi stati mentali, psicologici o esistenziali che ci affliggono quotidianamente. Sicché mi ritrovo a darti ragione quando dici che, parlare specificatamente di “depressione”, stigmatizzando con un solo termine quella moltitudine di stati d’animo e psichici, più o meno patologici, psichiatrici o neurologici, che massacrano silenziosamente la vita di tante persone (molte più di quello che si è portati a pensare) ecco, convengo con te che sia cosa quantomeno inappropriata, a volte sciocca o banalizzante, altre figlia della paura o della superficialità, e proprio per questo, nel mio post di facebook (che, più che un post ben strutturato come il tuo, era un tuit – senza il limite dei 140 caratteri – del mio pensiero di quel momento…), ho scelto di far seguire, a quel termine, se pur non esaustivo ma comunicativamente “fruibile”, la locuzione “et similia”. E per questo, venendo al punto, sono d’accordo con te anche sull’inutilità di definire o segmentare chi intenda oggi comunicare e interagire tramite il web secondo macrodistinzioni basate sull’iscrizione a questo o quel social, a questa o quella piattaforma, tutto superato, tutto finito (e rinato); forse questa visione poteva valere qualche anno fa, oggi ci troviamo di fronte a un web sempre più consapevole e maturo, sempre più simile al mondo fisico e concreto, laggenteonline legge, scrive e capisce, nella “rete” non ci trovi più solo “pesciolini” pronti ad abboccare al primo amo(re) gettato a cazzo… gli utenti leggono e si fanno un’idea, la formulano, la digitano, e la pubblicano in ogni modo e luogo. E con ogni mezzo. E tutto è linkabile e collegabile, tutto può essere incorporato e re-diretto. Il web è ormai parte della realtà di tutti i giorni, la integra, né sostituisce né sottrae: è in atto una commistione ineludibile. Indicativo è anche l’orientamento giurisprudenziale, e le svariate sentenze della corte di cassazione (approfondirò l’aspetto sul mio blog, in futuro…) che tende a garantire sempre maggiormente e con maggior efficacia i diritti degli internauti, punendo, con pene sempre più aspre, chi pensa di poter dire e fare tutto quello che gli passa per la testa solo perché nascosto dietro un monitor, o chi crede ancora di trovarsi in una sorta di videogiocovirtuale… questa è la “first life”, i tempi sono mutati, siamo alle porte, come dici tu, del web 3.0: la fusione fra internet e la vita reale. Resta sempre e solo una cosa da preservare, dal mio personale punto di vista: l’individualità dei sentimenti, dei nostri sentimenti. La nostra umanità, e, forse, chissà, curando quella, quell’insieme di stati d’animo non “incastrabili” in una sola parola e che molti sintetizzano con il termine “depressione”, ecco, forse continueranno a esistere, sì, ma saranno meno silenziosi. Ciao amico mio…

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Eccheppalleperòquantocazzoseilungo!!! 😀 😀 😀
      Grazie Roberto, non avevo dubbi sui tuoi sentimenti. Attenzione però a non generalizzare troppo. E’ vero che sta aumentando la consapevolezza di molti utenti, è altrettanto vero che ci sono molti disponibili a credere alla prima bufala che arriva. Di strada ce n’è ancora molta, ma mi piace pensare che anche grazie a queste discussioni riusciamo a mettere un mattoncino in più. E ti ringrazio di aver usato le credenziali Facebook, questo aiuta a rafforzare quanto si diceva sul web 3.0. Alla faccia della blogosfera, per l’appunto 😉

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  3. simonascudeller

    Discussione complessa proprio perché si tratta d’interiorità ed è altrettanto complesso comprendere le ragioni di ognuno senza portare il proprio vissuto. Sono un’accanita sostenitrice dell’individualità personale, non nella socialità sia chiaro, ma nella percezione delle varie esperienze.Un qualsiasi evento viene assimilato in modo diverso. Ci può essere un generale trasporto, cambia la lettura dell’evento stesso che inevitabilmente viene de/codificato seguendo le proprie inclinazioni percettive.
    Azzardo anche un’altra ipotesi, banale forse.
    C’è un tendenza generale a non approfondire, a lasciare che tutto passi a filo d’acqua, tanto da congelare le emozioni. In realtà la nostra mente immagazzina tutto e l’anima conserva.
    La depressione viene chiamata anche il male oscuro o mal di vivere, chi ne ha sofferto sa che non è solo questo, che entra in gioco la chimica ed è un vero e proprio stato clinico. La depressione però è anche il grido di aiuto del nostro essere fallibili in un mondo ( superficiale ) di super eroi. Umani vivi, nel corpo e nell’anima. Esseri composti di materia pulsante che necessita di cure.

    (Leggendo questo post, mi è subito venuta in mente la canzone del video che ho inserito.)

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Purtroppo la superficialità la fa da padrona di questi tempi. Mentre questi argomenti richiedono approfondimenti importanti, capacità di ascolto, e grande umiltà. Tutte cose che mi pare difettino di molto.

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      1. simonascudeller

        In merito alla superficialità mi ci sbattezzo, come diciamo dalle mie parti.
        A volte non capisco se è mancanza d’interesse o di consapevolezze, oppure entrambe.
        C’è un dato certo, il fatto di porsi a confronto col proprio ego e con gli altri crea sempre più discrepanze e accumula scorie.
        Come dici tu, un mezzo è un mezzo e non il fine. E concordo con chi afferma sull’utilità del mezzo, in quanto tale, per comunicare senza l’imbarazzo di uno sguardo sgradito.
        Il rischio della rete, purtroppo, è che accresca le distanze fisiche. Che alieni “l’abbraccio” dei sensi, riducendo a “reale” solo lo schermo.
        Dopo una certa esperienza in rete ho dirottato le mie scelte sulla condivisione complessiva, spesso incontrando le Persone con cui sono in contatto, presentandomi col pacchetto all inclusive, pregi e difetti.
        Così ho scoperto davvero il senso del reale, l’utilità e la preziosità della rete.

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        1. Wish aka Max Autore articolo

          Molto acuto. L’esperienza virtuale può essere fuorviante, o comunque non completamente rivelatrice. E’ necessaria cautela e pazienza, doti che non sempre riescono a essere presenti contemporaneamente. E mi piace anche il tuo approccio rispetto al tirar fuori le persone dal virtuale, ma anche qui. Serve cautela. Per evitare di subire cocenti delusioni.

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          1. simonascudeller

            Caro Max, è tutta esperienza! Sempre, secondo il mio personale viaggio, basta aver consapevolezza dei propri mezzi. Facile a dirsi, ma non così complicato quanto si possa pensare.
            Non avrei nessun problema ad incontrare ogni persona intervenuta in questo post e ti dirò, sarebbe stato interessante sviscerare certi argomenti guardandoci negli occhi. Per me questa è la “vera” interazione tra umani pensanti. A prescindere da eventuali affinità/divergenze di pensiero.

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            1. Wish aka Max Autore articolo

              Sai Simo, la consapevolezza arriva con percorsi tortuosi. Che non tutti sono in grado di percorrere, da soli specialmente. Ma sì, son d’accordo con te. E’ più semplice di quanto appare, se si parte con coraggio.

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  4. Claire

    Presente! E arrivata fino in fondo, inevitabilmente.
    Ardua impresa dipanare la matassa dei pensieri che mi nascono dalla lettura di questo post – e dei suoi due genitori. Ma se mi sono astenuta, per una mia personale difficoltà di espressione, dal partecipare ai suddetti confronti, qui non mi è possibile.
    Concordo sul web 3.0 e lo apprezzo, anzi meglio, lo sostengo; per tutti i motivi meravigliosamente dettagliati da Erre. Non è più uno spazio da smanettoni nerd, ora ci abitiamo tutti e tutti ne beneficiamo. E proprio come nel mondo reale anche nel virtuale è necessaria l’integrazione. Il passo alla fusione col reale è breve, appunto. E noi, le nostre vite, le nostre sensazioni, i sentimenti … tutto questo è reale e non perde di intensità se proviene da dietro uno schermo. Non solo, spesso lo schermo ha la sola funzione ormai di filtrare gli imbarazzi e quel senso di inadeguatezza e di imperfezione che ci coglie quando ci mettiamo a nudo.
    Poi è solo la scoperta di anime affini e di nuove possibili strade da percorrere.
    Quindi, ci raccontiamo attraverso esperienze di vita significative e punti di vista assolutamente unici e personali. E si parla anche di depressione e di mostri, e siamo così veri mentre scriviamo, siamo così sinceri … che qui, tra di noi, cazzate non ce ne raccontiamo! Anzi, facile trovare così, “per caso”, più sostegno che in un forum specializzato, proprio perchè qui, non siamo specializzati, qui è solo vita, siamo noi, sono le cicatrici sulla nostra pelle.
    Ciascuno di noi è una storia a parte, non c’è una regola generale, ma, per la mia personalissima esperienza, trovo che i tuoi suggerimenti siano saggi.
    E’ necessario guardarsi dentro e sì, decisamente, è meglio farsi prendere per mano.
    In chiusura punto tutto su una parola: consapevolezza. Sempre. Di più.
    Claire

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Trovarsi, ascoltarsi, parlarsi. Dire la propria, cercando di rispettare gli altri. Ascoltare quanto gli altri hanno da dire. Portare la propria esperienza. Senza pretendere di avere la verità svelata. Non è risolutivo. Non è sostitutivo di una terapia. Ma aiuta, cazzo.

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  5. labloggastorie

    Max tocchi un tema che mi sta a cuore e che tu già conosci.
    Se io penso alla depressione penso al “non esistere”, alla sensazione che ti rende consapevole di vivere solo ed esclusivamente perché respiri.
    Per esperienza personale conosco la depressione post partum, quella che ha portato mia nonna in un ospedale psichiatrico per 40 anni. E quando parlo di “non esistenza” mi riferisco anche al fatto di non sapere neanche dell’esistenza di mia nonna fino ai miei sedici anni (ma questa è un’altra storia).
    La sua depressione, tuttavia, è stata presente nelle conseguenze per tutta la famiglia.
    Perché la vita di chi sta vicino a un depresso cambia, è stravolta e in alcuni casi lo è per sempre.
    Quando è nata la mia seconda figlia ho provato un forte malessere emotivo e la paura di una “eredità” per fortuna ho parlato e cercato un modo per tirare fuori quel male che non senti addosso ma nel tuo stesso sangue e ho iniziato a scrivere in un blog con il mio nome e cognome (allora il mondo virtuale mi era sconosciuto) che era stato creato da una ragazza che era figlia di una mamma depressa. Avevo una rubrica in cui parlavo della mia vita da mamma e da donna senza vergogna e senza filtri. Ti assicuro Max che il riscontro è stato enorme perché tante donne temevano di non avere “diritto” al malessere solo perché mamme con il dovere di essere felici solo per questo.
    Io credo che, come dici tu, la terapia sia essenziale perché l’amore degli altri da solo non salva chi è depresso proprio perché il male di vivere è provare dolore nel vivere. Non scrivo oltre perché il tema è talmente delicato che da solo il commento non basterebbe ma grazie per l’opportunità.
    Tralascio l’aspetto blogosfera. Io su questo ci sto ancora riflettendo!
    Abbraccione Max!

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Ognuno ha le proprie storie, ognuno ha i propri percorsi, ognuno ha i propri mostri con cui combattere. Ma rendersene conto è il primo passo, e il più importante. Guai a pensare adesso passa, non è niente, non sarà nulla, ce la posso fare. E sulla blogosfera pensaci, Mita, dammi retta! 🙂

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  6. vetrocolato

    Il “Pavese” lo ribadisco sempre, ma mi rendo conto che anche se hai compreso perfettamente il mio stringatissimo commento al tuo precedente post, è d’obbligo una precisazione.

    Il web da accesso alle persone, vero, ma più cresce il numero delle persone che vogliono comunicare tra loro, più si alza la percentuale di gente che vuole solo approfittarsi degli altri. Evito il linguaggio scurrile per definire queste persone, credo quasi tutti ne abbiano esperienza e di certo con l’aprirsi delle possibilità di scambio digitale il numero di questi approfittatori crescerà sempre di più.
    Teniamoci le possibilità, ma “denunciamo” quando si può e con i mezzi che ci sono questi approfittatori.

    La depressione è chimica, la depressione è un posto scuro e fondo dentro la testa, la depressione è questo e quello…
    Io credo che la depressione vada trattata con i guanti bianchi, possibilmente da specialisti, e con tanto tanto amore, quell’amore che non chiede mai nulla in cambio.
    Parlarne, scavarsi dentro forse è il primo passo per uscirne, poi l’amore, quello non deve mancare, forse anche i farmaci. Poi basta, ognuno partendo da se deve trovare il proprio percorso. E poi, quando c’è, la famiglia può aiutare e anche gli amici. E basta. Il resto è solo un contorno che può sviare. Perché non è facile distinguere tra le tante chiacchiere l’amicizia e l’amore, quando “si è giù” non si distinguono tanto bene dal tutto. E poi ci vuole anche un po di culo, forse, e tanta pazienza.

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  7. Wish aka Max Autore articolo

    Cara mia, la melma e i maiali che ci si rotolano dentro ci saranno sempre. Indipendentemente dai mezzi tecnologici. Un mezzo è un mezzo, e come tale va trattato. Mi piace pensare che con un mezzo così potente, ancorché i maiali siano sempre lì, ci siano maggiori possibilità di comprendersi. E questo, secondo me, non ha prezzo.

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  8. ivano f

    Come avrai capito sono d’accordo che i farmaci da soli non bastano, e il tuo suggerimento finale è puro buon senso (c’è sempre tanto bisogno di buon senso…): quando uno non vede alcun futuro davanti a sè non riesce a pensare a quello che stanno vivendo gli altri, c’è solo un dolore che riempie tutto e non lascia spazio a nient’altro. Per quanto riguarda le discussioni on-line mi sembra che l’anonimato favorisca la schiettezza, permette di evitare l’imbarazzo di guardare in faccia l’altro per tentare di scoprire cosa pensa di te, soprattutto quando l’argomento è di quelli “forti”. Poi, certo, favorisce anche la spavalderia dei cretini, ma quelli te li ritrovi attorno comunque e ovunque… A tutti saluti e ogni bene

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Comprendo molto bene la tua posizione e la condivido per la più parte. Una cosa che curiosamente non è uscita ancora, è che spesso il peggior nemico della malattia è il malato. Nel senso che la consapevolezza dello status di depresso non è una cosa facile da raggiungere. Viviamo ancora in un’epoca piena di pregiudizi dove la parola “psichiatra” è evocativa di manicomi e letti di contenzione, e di persone additate come matti o picchiatelli. Una volta che si raggiunga la consapevolezza, l’altra difficoltà è chiedere aiuto. Come, a chi, in che modo. E qui invece c’è stata molta discussione sulla capacità di ascolto e di accoglienza.

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      1. ivano f

        …o forse è una consapevolezza che NON SI VUOLE raggiungere, forse c’è un “pudore” da malato, un’imbarazzo che è un residuo di tempi passati, che sta svanendo quando si parla di tumori (anche perchè sembrano -o sono, perdona l’ignoranza- più diffusi di una volta) ma che resiste ancora in riferimento alle malattie mentali. E che dipende anche, naturalmente, dal modo in cui l’opinione pubblica tratta (o decide di non trattare affatto) l’argomento. Ancora grazie dello spazio, buonanotte e ogni bene

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  9. Sun

    Per quanto riguarda la depressione sono stra convinta che debba essere considerata una malattia e che come tale vada curata con farmaci e terapia in quanto i primi da soli non bastano. Cosa questa non ancora recepita da tutti… purtroppo esistono ancora vecchi stupidi retaggi tali per cui sono tutte stronzate e basta darsi una scrollata. Che la scrollata se la diano loro e non aggiungo dove. I motivi che portano ad essere depressi sono tanti e ognuno conseguente ad un proprio vissuto e al momento in cui si manifesta si cade in un baratro dove vedere una via di uscita non è facile, E la pacca sulla spalla degli “amici” che ti dicono -vedrai che passerà tutto- serve solo a farti incazzare e a sentirti abbandonato. I primi a doversi aiutare siamo noi stessi ammettendo senza vergogna di aver un problema e che abbiamo bisogno di aiuto. Personalmente ho avuto problemi opposti, attacchi di panico (che sono altrettanto devastanti) e grazie ai farmaci e alla giusta terapia sono riuscita a ritornare ad una vita normale.
    Questo per quanto rigurda la depressione.
    Per i social invece, dico semplicemente che bisogna essere se stessi e sbattersene se in giro ci sono teste di cazzo (scusate il francesismo) che si buttano a pesce per sfogare le proprie frustrazioni. Queste persone le incontreremo sempre, tanto nel reale quanto nel virtuale, e sono quel genere di gente che le cose per parlare mare e sparare merda, se le inventano. Quindi, perchè dover mettere dei freni e non potersi esprimere liberamente? Tanto loro continueranno a sparare merda ma le persone intelligenti, quelle che non metono etichette, che non si soffermano alle voci di corridoio, sapranno tirare le somme e guardare oltre.

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    1. Roberto Emanuelli (Erre)

      Bellissimo commento, Sun, condivido ogni virgola. Grazie per aver seguito tutta la discussione ed essere intervenuta. Tu sei una delle tantissime belle sorprese che ho trovato nel web, e sono felice che anche Max possa scoprire che bella e sensibile persona tu sia…

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    2. Wish aka Max Autore articolo

      Sono molto d’accordo con te, per evitare di ripetermi ti chiedo di leggere quanto appena scritto in risposta ad ivano, relativamente al fatto che il malato spesso è il peggior nemico di se stesso, non maturando la consapevolezza di una condizione di effettivo disagio. Poi credo anche che esistano vari stadi. Ma anche qui ci addentriamo in un terreno scivolosissimo e dove la possibilità di dire fesserie è veramente elevata. Mi spiego. C’è un livello di soggettività nelle reazioni con il quale è necessario assolutamente fare i conti. Se ci riferiamo a casi eclatanti, come ad esempio i suicidi degli adolescenti che vanno male a scuola, ci troviamo di fronte senz’altro ad un problema educazionale che ha portato la persona a non essere in grado di far fronte a delusioni e fallimenti, ma anche ad un livello soggettivo di sensibilità particolarmente acuto. E questo, ahimé, complica maledettamente il panorama, per cui anche chi ha un po’ di esperienza ha oggettive difficoltà nel riconoscere i segni nelle persone vicine. Concordo pienamente sulla totale inutilità delle pacche sulle spalle o dell’atteggiamento “minimizzatorio” di tante persone alla “su su cosa vuoi che sia”.
      Per il web, invece, sono solo parzialmente d’accordo. Perché se oggi abbiamo gente che siede in parlamento e parla di scie chimiche e di quelli che io chiamo “gomblotti”, lo dobbiamo anche molto a chi costruisce bufale e a chi (spesso involontariamente) ci cade con tutte le scarpe. L’ultima in ordine di tempo riguardava i mondiali del Brasile, nei quali si millantava una strage di bambini effettuata per fare posto a costruzioni annesse ad uno stadio. Come sempre si parte da mezze verità, perché la strage è avvenuta davvero, ma faceva parte di un’operazione antidroga nella quale la polizia ha usato la mano pesantissima. Per dire che tutto questo coi mondiali c’entrava come i cavoli a merenda, e non ha minimamente contribuito ad aumentare l’informazione.
      Ti ringrazio molto del contributo e di essere passata da queste parti.

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      1. Sun

        Grazie a te e a Erre per l’ottimo spunto che avete dato per un confronto educato su di un argomento non semplice.
        Una piccola precisazione sui social, può essere che mi sono spiegata male.
        Il mio dire che bisogna essere se stessi è inteso nel senso che non bisogna temere di mostrarsi per paura che qualcuno ci possa parlare male alle spalle.
        Per quanto dici tu, mi trovi pienamente d’accordo.
        Ancora grazie.

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    3. tiZ

      C’è sempre qualcuno che fa finta di stare peggio di te per attirare l’attenzione, o peggio per dimostrarti che dopotutto sei pure paranoico (non hai nulla, ma dai cosa vuoi che sia. .) Ma devo guardarmi anche da chi mi osserva con fare penoso, a tante parole inutili e di compassione preferisco il silenzio.

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      1. Sun

        Mah! sicuramente ci sono anche quelli tra i tanti ma alcune volte siamo noi stessi che mettiamo inconsapevolmente o per errate convinzioni dei paletti. E te lo dice una che ha innalzato muri e non solo piantato paletti.Diciamo che un minimo di diffidenza può servire a pararsi il culo ma troppa può sortire un effetto spiacevole. Non tutti comprendono ciò che ci porta ead essere chiusi. Insomma io sto facendo un percorso per trovare un giusta dimensione 🙂
        Per chi dice “non è nulla…” sinceramente può andare a farsi benedire.

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        1. Wish aka Max Autore articolo

          Credo che il discorso di TiZ si possa riassumere in un detto napoletano meraviglioso che recita “Chi chiagne fott’ a chi ride”. Conosco tantissime persone che si piangono addosso per il mero gusto di farlo, persone che mentre stai raccontando loro che hai sbattuto con l’auto e hai fatto 1.000 euro di danni ti interrompono per raccontarti che loro hanno avuto chissà quale mirabolante avventura…. e nel tempo le riconosci. Diciamo che se dai ascolto uniformemente a tutti, questi soggetti vengon fuori, prima o poi.

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        1. tiZ

          Assolutamente centrato! Ti parlano sopra perché a Napoli si dice : adda mettere a’ copp !! In realtà l’altro non ti sta neanche ascoltando e te lo ritrovi la volta dopo a chiederti: ma cos’ è che hai esattamente? È lì che mi parte l’istinto della testata. .. ma poi mi dico che non ne vale la pena. Prima mi colpevolizzavo di essermi confidata, oggi chiudo gli occhi e lo disintegro … mentalmente ma è cmq liberatorio. Hehehe

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  10. koredititti

    GRAZIE. Dello spazio che hai dato ad un problema di salute ( mentale e fisica) quale la depressione.
    GRAZIE a tutti coloro che si esprimono in merito.
    Queste conversazioni sono la misura della conoscenza che la società ha del male oscuro. La diffusione è importante per abbassare l’ignoranza in merito e iniziare ad agire e comportarsi nel modo corretto di fronte al problema.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Ma no, grazie a te. Grazie a te per aver fatto da tramite in qualche modo, per aver segnalato, per aver contribuito. Nel merito dei tuoi interventi ho già parlato, mi fa piacere qui ribadire che son contento di averti incontrato.

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  11. stephymafy

    Arrivo col solito cinismo, caro Max, per dire che ogni chiacchiera in merito è solo inutile retorica.
    Ho litigato su FB, come spesso mi capita di fare, con una mia amica che assai democraticamente decretava “io non tollero chi si suicida”, elencando più o meno le stesse motivazioni di chi dice che “dobbiamo guardare chi sta peggio di noi”.
    Il fatto è che questa amica, e altre persone come lei, credono che la depressione sia uno stato d’animo tutto sommato controllabile, che ti spinge ad abbuffarti di dolci per compensare la mancanza di qualcosa, o a piangere senza motivo perché magari sei troppo giù.
    E alla fine giù con la retorica di cui sopra, secondo la quale ognuno dice la sua su qualcosa che NON CONOSCE ASSOLUTAMENTE, e mai come nel caso della morte di Robin Williams mi è capitato di leggerne tanta.
    Mi hanno fatta incazzare i parei e i dibattiti messi in piedi senza cognizione di causa, la stessa rabbia che provo quando guardo i duellanti politici in tv che parlano inutilmente di ovvietà senza che nessuno concretizzi mai quello che dice….ed è inutile anche arrabbiarsi.
    Nessuno sa cosa passa per la mente di chi pur vivendo in un mondo dorato, cerchi la morte in un modo tanto brutale, chi ha sofferto o soffre di depressione può intuirlo, ma è tutto talmente personale da rendere impossibile qualsiasi oggettività.
    La depressoine è una brutta malattia, e come ogni malattia va curata farmacologicamente. La depressione si insinua silenziosamente e colpisce indipendentemente dallo status. La depressione va diagnosticata e combattuta coadiuvando i farmaci ad adeguate terapie psicologiche e va seguita da professionisti SERI, che non vogliano solo speculare con le sedute…il che nel caso di persone famose o facoltose è assai probabile.
    La depressione io la combatto da circa sei anni, da quando lo stato di malinconia che da quasi una vita mi accompagna, si è tramutato in qualcosa di molto più serio che ha richiesto l’uso di farmaci e terapie, ma nel caso della morte di R.W. mi sono limitata a ricordarne il talento sul Blog, pur intuendo e comprendendo la sensazione di “non vedere altra via d’uscita” che nella sua mente può essersi creata.
    Ogni tanto basterebbe solo saper guardare oltre le apparenze e i sorrisi che molti di noi tengono su come maschere cercando di fingere…figuriamoci come sa fingere bene chi la maschera la porta per mestiere.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Io credo che sia importante diffondere l’informazione. Dicevo sopra che la parola “psichiatra” basta da sola ad evocare immagini di manicomi e di demenze di vario genere. Spesso dico che se ho mal di testa prendo l’ibuprofen, se ho mal d’anima prendo la sertralina. Ovviamente sotto controllo medico. Ché quella è un’altra cosa da considerare con attenzione.
      Però credo che sia importante parlarne. Affermazioni sciocche come “io non sopporto chi si suicida” andrebbero forse contrastate portando esperienze incomprensibili. Avevo una cugina di 19 anni che si è impiccata ad un albero. Semplicemente non era in sintonia con questo mondo. La sua sofferenza quotidiana nella fatica del vivere era talmente enorme che non ce l’ha fatta a resistere. Mi piacerebbe sapere cosa risponderebbe la tua amica, ad un’affermazione di questo tipo, e anzi se vorrai invitarla a discutere qui, purché in modo pacato e con il rispetto dovuto, che le sarà ovviamente riconosciuto, sarà interessante.

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      1. stephymafy

        Ho provato con garbo a farle cambiare opinione…tentando di darle altri punti di vista. Mi è dispiaciuto molto, perché è una persona anche colta e “non ragazzina”…ma credo abbia vissuto i suoi quasi 50 anni in una bolla protettiva.
        Alla fine ha concluso dicendomi ironicamente che dovrei passare una giornata con lei e non avrei più bisogno di farmaci. Un muro.
        Quando c’è chiusura totale è inutile ogni discussione.

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  12. Maria Antonietta Talia

    Vorrei dirti che non la conosco ma sono figlia della depressione, le faccio da genitore sin da piccola, perchè lei non è in grado di farlo per me, lei vive lì su quella nuvoletta rosa e mi guarda sguazzare quaggiù e non ci sono parole che incoraggiano ma solo critiche e non ci sono ascolti ma solo mettere la testa sotto la sabbia, e non c’è crescere spensierati, ma rischiare una simbiosi per cui puoi credere di essere depressa come lei, lo sapevate che i figli di persone depresse a volte si credono depressi a loro volta perchè i genitori proiettano su di loro la loro depressione, vivendo in simbiosi con loro? Non lo sapevo nemmeno negli anni in cui mi credevo depressa, l’ho scoperto nel mio corso di studi all’università, che a me l’università ha salvato la vita, che a volte le cose non le puoi cambiare, a volte alcuni preferiscono imbottirsi di farmaci piuttosto che guardarsi dentro e allora ci metti la distanza e lo stacco mentale, per sopravvivere, per capire che tu non sei lei, che le telefonate in lacrime arrivano comunque, mentre sei al lavoro, che i problemi mi seguono, che se mi chiedi se sei stata una buona madre, che devo dire…che alla fine i figli per te sono come degli ombrelli, da usare e posare lì dopo l’uso? Internet è come un qualsiasi altro mezzo, negativo se usato male, positivo se usato a fin di bene, di solito mi mantengo al di sopra delle polemiche nella blogosfera o internet in genere, ma se tocca qualcuno a cui tengo, allora mi schiero, lo faccio sempre proprio perchè per me quel “ci vediamo stasera” vuol dire che ci vedremo stasera, a meno che non mi caschi un cornicione addosso e mi sembra il minimo se quel qualcuno è l’ultima telefonata prima di entrare in sala operatoria, quando lei non era lì, quando lui, sconosciuto, da lontano mi rianimava, si preoccupava per me, ed io per lui, una sconosciuta, e allora schierarsi vale la pena.

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      1. Wish aka Max Autore articolo

        Caro Roberto, ne sono talmente consapevole che non rispondo con tempestività per prendere il giusto tempo e dare risposte che abbiano un senso. Quel che colgo, che ho colto sin da subito, è che chi ha parlato, chi ha deciso di parlare, si è aperto, e ha parlato col cuore. E questo è meraviglioso.

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      2. koredititti

        Roberto… Ti dico in segreto… Ridere fa bene.. Anche piangere, ma ridere é meglio sempre soprattutto in compagnia…. A me viene un po di *magone *a leggere tutte queste cose.. E quello che vorrei fare è regalare un sorriso a tutti. Quando faccio servizio in ambulanza con la misericordia e alla fine mi guardano e sorridono psorridono solo allora sono certa di aver fatto quRidalcosa di buono . Forza regaliamo riso così diminuisce anche la fame nel mondo … 😀 scusate la mia stupidità.. Ma tant’è 😛

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Cara Maria Antonietta, ho lasciato per ultima la risposta a te, perché il tuo commento è quello che più mi ha toccato. Vivere un’esperienza in cui la genitorialità viene meno, in cui l’alterità del genitore non esiste, in cui la simbiosi tra genitore e figlio fa sì che il figlio sia considerato alla stregua di una propaggine del genitore, è durissimo.
      E per quanto ci si sforzi, per quanto si cresca, per quanto ci si evolva, la difficoltà più grossa resta quella di trovare la giusta distanza emotiva. Quella che ti fa essere non troppo vicino, e quindi preda dei sensi di colpa, né troppo lontano, e quindi preda della rabbia e della furia. Una distanza che ti consenta di accettare che questo ti è toccato in sorte, e con questo devi fare i conti. E’ difficile perché la quotidianità della vita ci pone di fronte a difficoltà continue, e spesso le nostre energie sono assorbite da queste difficoltà quotidiane. E alla fine siamo doppiamente beffati, perché non solo non riusciamo ad essere all’altezza di quello che ci si richiede dalla vita normale, ma nello stesso tempo non riusciamo neanche a fare i conti con quel tarlo che sta lì e lavora, lavora, lavora incessantemente senza mai fermarsi. E trova energia in ogni telefonata, in ogni interazione, in ogni gesto. E paradossalmente, più aumenta la consapevolezza del proprio disagio, più aumenta la sofferenza indotta da questi gesti che magari in passato erano vissuti come “normali”. Ti ringrazio molto per il tuo contributo, leggo una sofferenza profondissima tra le righe del tuo scritto, ma per quel che vale ti dico anche che leggo una grande evoluzione, un lungo cammino dietro le tue spalle. Quel che mi sento di dirti (e avrai capito che ti capisco bene) è di non abbassare la guardia, di continuare ad avanzare, un passo dopo l’altro, pian piano. C’è solo una brutta notizia in tutto questo. Che il cammino è solo tuo. Le persone vicine a te potranno comprendere solo fino ad un certo punto. Da un certo livello di profondità in poi, scendendo nei tuoi personali inferi, solo tu potrai guardare in faccia i mostri, quelli brutti davvero. Chiedi pazienza, alle persone vicine. Ché quella possono erogarla. Ma non chiedere loro di comprendere. Perché non è possibile. Ti abbraccio.

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  13. Imma Cusmai

    La depressione è un viaggio – spesso di non ritorno – che si dirige verso gli estremi che tutti noi, bene o male, possediamo. Estremi che taluni chiamano deviazioni, altri perversioni, altri ancora follia. Ma senza allontanarci troppo dal nostro vivere quotidiano – diametralmente opposto a quello del talentuoso attore Robin Williams – in scala decisamente ridotta anche noi inneschiamo meccanismi ghettizzanti con chi non conosciamo abbastanza, con chi urta alcune nostre corde sensibiii, con chi instilla in noi il desiderio. Anche l’attrazione puó generare reazioni contrastanti e non proprio scontate. Tutto quello che si agita dentro di noi non è “controllabile”. Gestibile sí, ma non controllabile. Robin era un bravo attore, era accattivante, aveva anche “trovato” una terza giovane moglie, aveva dei figli, eppure quel senso di “irrisolto” in lui ha prevalso su tutto. Ecco che, sempre in questa scala ridotta, bisogna subito disinnescare la conflittualitá emotiva che di sicuro parte da un senso di inadeguatezza che ci tormenta. Come? Con la forza di volontà. Impariamo ad appoggiare la nostra mano sul cuore, impariamo ad ascoltarlo. Specie quando in maniera presuntuosa pensiamo di non meritare la vita. .

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Ascoltare se stessi, guardarsi dentro, cercare di vedersi per ciò che si è, osservare i propri mostri. Non è facile. E spesso sembra un compito ingrato e più grande di noi. Forse conduciamo vite troppo facili. Mia nonna diceva sempre che durante la guerra non esistevano depressi. Io pomposamente dico che ci frega Maslow, con la sua piramide dei bisogni. Ma in fondo il concetto è sempre quello. Nel momento in cui ti devi preoccupare della tua sopravvivenza, non stai a farti tante seghe mentali sul senso della vita. Te la vuoi solo tenere stretta, la vita. Ma, come sempre, anche qui esiste un rovescio della medaglia, perché spesso quest’inquietudine, questa tristezza, questa sofferenza, generano cose belle. Pensieri, parole scritte, sentimenti. E come in fisica non esistono teorie assolute e definitive, anche qui non ci sono risposte uniche e definitive. A meno di non essere un fanatico religioso. Ma con quelli, con tutto il dovuto rispetto, preferisco francamente non parlare. 🙂

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      1. lamelasbacata

        Mi intrufolo in questa splendida discussione grazie ad un post dell’amica Sun, a riprova del fatto che forse la “blogosfera” non esiste ma esistono persone che comunicano, leggono, si incuriosiscono e a volte si appassionano pure!
        La mia depressione si chiama Medusa, perchè ogni tanto mi afferra al collo con i suoi lunghi capelli di serpe e mi fa capire che posso dimenticarmi di lei ma no, oh no, Lei non si scorda mai di me.
        E’ una bestia brutta ma gestibile, sono fortunata in questo, anche se non è altrettanto facile per molte altre persone.
        Ho una sorella, così fragile da sembrare fatta di vetro, che combatte dall’adolescenza con una bestia del genere e io prego perchè ogni giorno trovi il coraggio e la forza di opporsi e non sprofondare.
        Lavoro a contatto con farmaci e malattie, vedo “cose” che non augurerei al mio peggior nemico, ma spesso mi ritrovata a pensare che forse, prima o poi, si troverà il modo di eradicare il cancro ma non la depressione.
        …………………………
        Ho scritto e cancellato il resto di questa risposta almeno dieci volte, perchè vorrei dire tante cose ma non riesco a dare forma ai miei pensieri.
        Forse è proprio questo il senso della depressione, qualcosa di così sfumato, sfuggente e personale che non si riesce, pur sforzandosi, a dargli un corpo e un senso compiuto.
        Perdona la mia pochezza e grazie per aver creato questo spazio di discussione.
        Mela

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        1. Wish aka Max Autore articolo

          Non c’è niente da perdonare perché non c’è pochezza. Sai cosa mi ha davvero colpito di tutto quel che è successo in questi giorni? Che tutti quelli che son passati hanno messo un pezzo di se stessi. Hanno tirato fuori delle cose. Hanno espresso pareri. Hanno raccontato esperienze vissute. Quando parlo di interiorità complesse mi riferisco a questo. Il Tao ci insegna che bianco e nero sono presenti nello stesso momento. Spesso accade che interiorità bellissime abbiano un lato oscuro. E a volte magari serve anche quella che viene definita la voluttà del dolore, il crogiolarsi dentro il proprio malessere. Per poi magari cominciare a risalire. I tuoi pensieri giungono forti e chiari, credimi. Tu hai la sensazione di non riuscire a dar loro forma, ma non è così. Non lo è affatto.

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        2. Roberto Emanuelli (Erre)

          Se permetti, Max, vorrei dire che “Ho scritto e cancellato il resto di questa risposta almeno dieci volte, perchè vorrei dire tante cose ma non riesco a dare forma ai miei pensieri”, ecco, è una cosa che denota così tanta fragilità, profondità e dolcezza, così tanto interesse e umiltà, che porta con sé tutto il resto, e dà forma a tutto quello che pareva non averne.

          Scusate, mi sono intrufolato anch’io…

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  14. Pingback: Piccole grandi cose nate dal buon uso del virtuale | pensieri distesi al sole

  15. Firmato Ckf

    Non ce l’ho fatta a leggere i commenti spero di non ripetere cose già dette, ma l’articolo l’ho letto tutto. Se ho un amico depresso che gli dico? Come tiro su di morale qualcuno che non vede il futuro? Magari potrei distrarlo un paio d’ore dall’amare prospettiva del non averne una, ma come? Di che cosa gli parlo? Argomenti leggeri a chi vive un lutto dentro? Di filosofia? Che può fare un’anima pia per aiutare chi non riesce ad aiutarsi?

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Dare disponibilità in punta di piedi. Chiamare. Non lasciare. “Come va?”. “Ti va una birra?”. Cose così. Senza arrendersi ai rifiuti. Insistere dolcemente. Senza essere invadenti. E accettando il fatto che potrebbe non parlare. Potrebbe non voler dire. Potrebbe fingere. Ma nel tempo, quel che può accadere è che tu sia visto come persona attenta e “caring”, con la quale magari vale la pena di aprirsi un pochino. Non è LA ricetta, ma, parlando sulla base di esperienze personali, è l’atteggiamento meno inefficace. Non ho detto più efficace. Era voluto. Meno inefficace. 🙂
      E’ molto bello quello che hai scritto. E’ bello che ti sia posto con delicatezza. Chiedendo. Grazie, a nome di tutti.

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  16. ammennicolidipensiero

    mannaggia quanto scrivete tutti, una pausa caffè dedicata ad un post solo non la ricordo dal lontano marzo 2013 (ed era sempre un post di max) 😀 😀
    peggio per voi, darò sfogo anch’io alla mia logorrea.
    a parte gli scherzi, due considerazioni: a me il termine blogosfera piace. piace perché in realtà, non essendo io avvezzo a una gran parte dei social network bensì prevalentemente a uorprez, nella mia testa definisce un concetto ben preciso, molto delimitato e poco pot-pourri. detto questo, do alla blogosfera il peso che le si confà: né più né meno, luogo virtuale di informazione e scambio di opinioni, spesso proficuamente altrettanto spesso ludicamente. mi avvicino nella misura in cui mi “diverto”, me ne allontano viceversa (in caso di, ad esempio, polemiche gratuite).
    sulla depressione (anzi, sul parlare di depressione nella rete, 2 o 3 punto zero che sia): sincero sincero, su questo non mi trovo molto a mio agio – è uno di quei casi in cui, salvo eccezioni, tendo ad allontanarmi. trovo una grande pecca di fondo, ovvero il rischio di qualunquismo/pressappochismo sulle basi scientifiche dell’argomento (e ti pareva che non io rompessi le palle su questo…). per farla breve (con riserva di dedicare un post a questo se riesco e con il rischio che la considerazione sia un po’ “tagliata giù col falcetto”): essere giù di morale e depressione sono due cose diverse. una deplezione di neurotrasmettitori è patologica, una sega mentale no. il rischio di confusione è alto. l’associazione americana di psichiatria ci mette anni a compilare versioni rivedute e corrette del manuale diagnostico dei disturbi mentali, a volte ho l’impressione che i media abbiano la capacità in due minuti di pressappochismo (ma diffusi in maniera virale grazie alla rete) di demolire anni di studio e lavoro.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Sono completamente d’accordo a metà col mister. Come diceva qualcuno che prendeva per i fondelli un calciatore. Ci sono cose molto consivisibili del tuo commento, caro adp. Ma trovo che sia tutto un po’ tagliato con l’accetta. Per tre anni sono riuscito a non usare SSRI, ma la primavera per me era un periodo terrificante. E quello non è essere giù di morale. Ma ho resistito. Ecco è un po’ questo il problema. Il problema che io vedo, che ho riscontrato molte volte, è che ci sono tre categorie di persone: quelli di mestiere, quelli che ci sono passati, e quelli che non ci sono passati. E queste tre categorie dialogano spesso con grande difficoltà. Nel senso che gli appartenenti ad una categoria parlano tra di loro con facilità, ma se metti insieme tre persone di tre categorie differenti non saranno d’accordo quasi su nulla. Il tutto perché c’è poca informazione, molto pregiudizio, e poco interesse. E mi scuso con te e con altri per il ritardo, ma come immaginerai da quanto ho scritto ultimamente non è un periodo semplicissimo. 🙂

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      1. ammennicolidipensiero

        no, aspetta max: non mi confondere lo stato patologico con la cura. premesso che non entro nel tuo caso specifico, ovviamente, perché non ho né diritto né cognizione di causa per farlo, si stima che in italia abbia assunto psicofarmaci di vario ordine e grado (dalla goccettina di benzodiazepina al prozac ala borraccia di gardenale a quel che è) una percentuale esorbitante di persone, con un consumo che è in continuo aumento (più che raddoppiato negli ultimi dieci anni secondo i dati dell’agenzia italiana del farmaco). il numero di consumatori è decisamente spropositato e non commisurato alla percentuale di persone affette da patologia. quello che io intendo dire (sicuramente un po’ tranchant, l’avevo premesso) è che non tutto è depressione: così come un mal di pancia non lo chiami retto-colite ulcerosa, così uno stato di malessere emotivo non deve essere a priori considerato depressione.
        in compenso, condivido in pieno la tua riflessione sul fatto che far parlare le tre categorie non sia semplice… (ma per quello, concedimi la battuta: quando mai è semplice parlare con uno psichiatra?) 😀

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        1. Wish aka Max Autore articolo

          Ok ora mi è più chiaro. Io credo che l’assunzione di benzodiazepine e di SSRI debba essere fatta sotto strettissimo controllo medico. È una benzodiazepina da sola non risolve una cippa come sai meglio di me. Il punto è sempre che il malato dovrebbe convincersi di esserlo e parlarne con gente pratica, non col medico di base che gli molla il Lexotan.

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          1. ammennicolidipensiero

            sì, quello è effettivamente un problema. molti medici di base (non tutti, per carità), e aggiungerei purtroppo anche alcuni pediatri di base, non hanno un’adeguata preparazione sulle patologie neurologiche e trattano inopportunamente.

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        2. helios2012

          Non credo sia semplice parlare con uno psichiatra come d’altra parte non credo sia semplice per uno psichiatra parlare con il proprio paziente ed entrare con successo nella patologia di ognuno che è variabile da caso a caso. Il fatto di ammetterlo penso sia una nota di merito e non di demerito per il professionista stesso. Mi fanno terribilmente paura i medici che credono di essere arrivati all’apice della conoscenza solo per aver studiato una determinata materia o credono che una dose massiccia di medicinali possa risolvere il caso. Presumo che il buon medico debba riuscire andare ‘oltre’ e debba sentirsi sempre ‘ignorante’ perché non si finisce mai di conoscere e per avere un buon occhio clinico bisognerebbe sviluppare anche altro : osservazione, umiltà e umanità. Ma questo è solo un mio punto di vista che potrebbe anche non essere condivisibile.

          La depressione è un male davvero pesante da subire e ci vuole rispetto per questa malattia quanto se ne deve avere per altre.

          Spero che tu sia d’accordo con me.

          Condivido il fatto che un medico di base o un pediatra possano non avere le adeguate informazioni sulle patologie neurologiche, come uno psichiatra possa non avere le adeguate informazioni sulle patologie pediatriche e di base. Suppongo che un buon medico sia quello che sa riconoscere i propri limiti e ha l’intelligenza di rivolgersi nello specifico a chi ne ha la conoscenza e questo vale per tutti.

          Scusami se ho espresso un mio personale pensiero e sono entrata in merito.
          Buona giornata a te !

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          1. ammennicolidipensiero

            assolutamentissimamente d’accordo.
            ti dirò di più: sono sempre più gli studi (semmai ce ne fosse stato bisogno…) che dimostrano come i migliori risultati di cura si realizzano laddove vengano attivati percorsi di “cure simultanee” che prevedano una stretta interazione tra specialisti delle diverse unità operative. questo vale sopratutto per i tumori, le malattie neurologiche sono ancora lontane, ma ci sono spiragli interessanti all’orizzonte.
            stanno, inoltre, comparendo i primi studi che indicano la possibilità (futuribile?) di trovare dei marcatori molecolari di depressione, che consentano di bypassare l’ambiguità della diagnosi per sintomi. questo, per dire, è notizia letta ieri: http://oggiscienza.wordpress.com/2014/11/05/diagnosticare-la-depressione-nuove-strade-allorizzonte/
            ciao!

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  17. Orso Chiacchierone

    Io ero uno stupido perché pensavo che la depressione fosse solo uno stato d’animo, qualcosa che una persona si crea e si cerca, facilmente superabile, qualcosa in cui chi è forte e sicuro non potrà imbattersi mai.
    Io mi sentivo forte e sicuro. Poi l’ho conosciuta… per un attimo, un breve attimo fortunatamente… e ho capito che mi sbagliavo alla grande.
    Ora non sono più stupido… no, probabilmente lo sono ancora, ma almeno sono più consapevole.
    Leggere il tuo post e tutti questi commenti mi ha aiutato a capire un po’ di più. Grazie.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Non eri uno stupido. Non sei stupido se non sai cos’è l’equazione di Dirac che è una delle equazioni che governano la meccanica quantistica. Non sapevi. E la voglia di informarti ti fa onore. La curiosità è sempre una buona cosa.

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  18. liberadidire79

    L’ha ribloggato su Sono fuori di me e sto in pensiero perché non mi vedo tornare.#cit.e ha commentato:
    Ho seguito tutta la rete di commenti, opinioni ed esperienze, ma non son riuscita a dire la mia, forse perché ci son troppo dentro.
    Le uniche domande che mi vengono sono queste:
    Quanto tutto ciò che ruota intorno ad un malato di depressione deve modificare/ interferire nella vita di un parente?
    Come si fa a vivere la propria vita senza aver paura ogni volta che squilla il telefono?
    Come si fa a convincere una persona che si sta facendo terra bruciata intorno che ha bisogno di un aiuto?
    Come si fa a non sentirsi in colpa?
    Boh sarà che son troppo infantile ma io non riesco a scrollarmela di dosso, anche se mi sto autoconvincendo di riuscirci.
    Grazie Max, Erre e tutti gli altri per i mille spunti di riflessione che mi avete dato, avrò molto a cui pensare 😉

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Si lavora su se stessi prendendo la giusta distanza emotiva. E tu sai che ne abbiamo parlato molte volte. E’ tutto lì. E soprattutto non è colpa tua. La depressione non è mai colpa di fattori esterni. E’ sempre endogena. Sempre. Tu non c’entri nulla. Scrivi ad adp, fatti spiegare da lui la meccanica di come funzionano le cose. E capirai che tu non c’entri. Quello che puoi fare è accettare la situazione, avendo una distanza che ti consente di essere utile.

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  19. ili6

    Ciao Max, ciao a tutti,
    ho letto quasi tutto :post, considerazioni,riflessioni, pezzi di vita e di cuore.. E vorrei entrare in punta di piedi in questa discussione che si apre su due strade che in un certo senso possono convergere.
    La blogsfera: bella realtà dei nostri tempi se vissuta bene.Non vorrei prolungarmi nello scrivere, tante cose sono già state dette e dette bene, non voglio ripetermi, ma non mi stanco nemmeno di dire e ridire quanto noi abitanti della blogsfera, noi adulti, siamo responsabili di quello che scriviamo. Perchè se è vero che sono aumentate consapevolezza e attenzione dei lettori è anche vero che c’è una grande e sempre maggiore fetta di lettori estremamente fragili, delicati. anche giovanissimi, impreparati che possono leggerci e inconsapevolmente possiamo fortemente influenzarli.Su ogni argomento, su ogni espressione, su qualsiasi linguaggio, su qualunque presa di posizione, opinione, conflitto, disputa. E noi che scriviamo di tutto e di più non dobbiamo mai dimenticarlo. E’ un nostro dovere, dovere di persone adulte, mature e colte quali riteniamo di essere.
    Anche per questo apprezzo molto le espressioni attente e delicate che qui sono state usate tu sul tema della depressione, una malattia che può non non risparmiare nessuno, nemmeno i giovani. Se la morte del grandissimo attore ci ha sconvolti è anche vero che ci sconvolge ancor più il suicidio di quel ragazzino che si è tolto la vita perchè deriso dal branco di FB. E non è stato il solo. Ecco la responsabilità. O quella signora che è stata salvata in extremis dai medici dopo aver ingurgitato un beverone per mesi per dimagrire, ricetta presa in un blog. Responsabilità, appunto.
    L’ho sfiorata anche io la bestia nera, sono riuscita a fuggire perchè giovane e con forze che non credevo di avere e che mi hanno permesso di spostare le priorità verso un futuro che ancora c’era. Oggi non riuscirei da sola, no, penso proprio di no. Concordo in pieno sul farsi curare bene da professionisti preparati senza sciocchi pregiudizi e su quanto possa essere importante un amico che sappia sostenerti e “tallonarti” nella giusta maniera.Il problema è sempre quello. accedere alla volontà della persona depressa, cosa per nulla facile. Meraviglioso riuscire a farla sorridere, anche per pochi attimi.

    Ecco, non volevo dilungarmi…chiedo scusa,

    Marirò

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Cara Marirò, grazie per essere passata e scusami per il ritardo nella risposta ma come dicevo a qualcuno non si scrivono post per caso, e potrai immaginare che questo per me non è esattamente un periodo semplice, e ne risente anche la puntualità.
      La mia “tirata” sulla blogosfera era relativa all’uso un po’ provinciale di certi termini, è come se oggi si ignorasse la globalizzazione per concentrarsi sul campanile. “Blogosfera” è un termine preciso che indica il mondo dei blog. Questo mondo è una goccia nel mare di Internet che contiene centinaia di modi di comunicare che si moltiplicano giorno per giorno. E al netto di quel che possiamo fare noi scrivendo, se vogliamo proteggere i ragazzi dal suicidio per presa per i fondelli, dobbiamo imparare ad educarli. Perché a forza di concedere loro tutto e non negar loro niente, stiamo creando generazioni di “debosciati”, passami il termine, intendendo con questo persone che non sono in grado di far fronte a difficoltà che quando ero giovane io, qualche eone fa, erano assolutamente all’ordine del giorno. Io sono stato vittima e carnefice, ho sofferto in adolescenza come molti, mi sono posto le domande sul senso della vita, ma non ho mai pensato neanche lontanamente che si potesse farla finita. E queste cose semplicemente non succedevano, a meno di casi assolutamente fuori norma che peraltro di solito erano dovute a situazioni di disagio familiare all’insegna della violenza e della molestia. Grazie per le belle parole, è sempre bello leggerti.

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      1. ili6

        Ho usato il termine blogsfera in senso lato, per indicare una delle forme di comunicazione-informazione che internet ci offre .Concordo pienamente sull’esigenza di educare ii ragazzi anche all’uso del web.Soprattutto educare all’autostima, a saper rinunciare e all’ottimismo. Il problema però è se noi adulti ne siamo oggi capaci, in termini di consapevolezza e serenità. Perchè a volte noi grandi siamo più insicuri, fragili e scoraggiati di loro.

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  20. italovago

    Provo a proporre una riflessione, dopo aver letto l’articolo e buona parte dei commenti. Il mio modo di vedere potrà apparire pessimista e un po’ articolato, ma il punto è che vedo la depressione come un male sempre più diffuso; e quello che è peggio è che intravedo nella nostra società e nella realtà moderna in cui viviamo la costante presenza se non la crescita di tutti quei presupposti che conducono sempre più facilmente un comune individuo verso la depressione. Sottolineo una frase dell’articolo che credo esprima quanto di più vero e semplice si possa dire della depressione: la depressione è uno stato di assoluta tristezza. Ma la tristezza quante ragioni può avere? Quante ragioni ha, ancor di più al giorno d’oggi, in una realtà così piena di contraddizioni come quella in cui viviamo? Da dove l’individuo contrae le ragioni della sua tristezza e quindi dove risiedono le origini della sua depressione? La depressione è un male individuale ma è un male che affonda le sue radici in un contesto sociale. Le ragioni della tristezza che possono radicarsi in un depresso sono una reazione ad una particolare situazione sociale (spaziando dall’ambiente familiare al contesto che include i propri coetanei fino alla più ampia forma di comunità in cui un’individuo può inquadrarsi o rapportarsi). L’approccio medico e il farmaco possono quindi fornire al singolo individuo una sorta di scudo più o meno temporaneo al suo problema ma non eliminano le ragioni che hanno indotto l’individuo alla depressione, ragioni che annidate nella società e non arginate mietono costantemente vittime. [Tanto per portare qualche esempio pratico: il bullismo, un ragazzino che ne soffre maturerà come reazione più spontanea una chiusura in sè stesso (sempre come esempio perchè le reazioni possono essere diverse); l’insegnante o il genitore si accorge dello stato del figlio e lo porta in cura da uno specialista; nella migliore delle ipotesi il ragazzino riuscirà a reagire e ad affrontare il problema…ma l’origine del problema rimarrà lì, viva, in quei ragazzini che il bullismo lo esercitano (nelle forme più varie) e in misura crescente in una società in cui il principio della sopraffazione è una delle prime regole che spesso i bambini apprendono ad esercitare. Altro esempio pratico: una ragazza della mia età non trova lavoro, non sa cosa fare nella vita ed è per questo depressa; potrà decidere di cominciare una cura, prendere farmaci, nella migliore delle ipotesi (e per praticità prendo sempre in esame la migliore delle ipotesi che però è rara) sta meglio, impara a convivere con le sue problematiche a vedere nella vita anche i piccoli aspetti positivi, a trovare il sorriso nonostante tutto…ma il problema della disoccupazione, di un sistema economico e sociale che fornisce orizzonti poco chiari per molti giovani, rimane lì, vivo. E potrei continuare con gli esempi pratici quasi all’infinito ma ovviamente mi fermo qui.]
    Per concludere mi allaccio alla domanda di “Firmato Ckf”, come aiutare una persona che soffre di depressione, e ancora una volta condivido le tue parole, Max: la vicinanza delle persone è essenziale. Quell’assoluta tristezza che risiede nella persona depressa spesso deriva da un rapporto compromesso con la vita e con il prossimo. Riuscire a far assaporare i sapori autentici, semplici eppure densi della vita e gli aspetti più belli e sani di un rapporto umano, possono aiutare più di mille sedute psicanalitiche. Aiutano la persona depressa a riannodare quelle corde spezzate da spiacevoli esperienze, aiutano ad avere fiducia nella vita e nel prossimo, e aiutano a migliorare anche chi aiuta.
    Ecco, così la penso io, per quel che può valere, da “presunto depresso” e mi definisco presunto semplicemente perchè non ho mai cercato la conferma di un medico. Avverto la presenza di una tristezza di fondo (spesso nemmeno tanto di fondo), avverto le considerazioni degli altri, ma non voglio dirmi che è depressione (e non mi dilungherò a cercare e a scrivere i perchè perchè già ho scritto troppo), mi dico che è tristezza e basta, mi dico che un giorno va meglio e un giorno va peggio, che dopo tutto è normale, che posso trarre qualche insegnamento anche così, che col tempo le cose si metteranno meglio, soprattutto se avrò l’occasione di incontrare nel mondo fisico persone sensibili e aperte come quelle che leggo qui o altrove, che danno speranza che qualcosa di buono pur c’è, purtroppo dietro nickname e avatar, ma c’è.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Condivido in parte. Per quanto riguarda la parte sul bullismo ti rimando alla mia risposta a Marirò (il6) qui sopra, relativa alle modalità educazionali di oggi.
      Per quanto attiene alla tristezza è vero quel che dici, ma la differenza tra tristezza e depressione, come diceva (magari un po’ tagliato con l’accetta) adp, è nella capacità di reazione. La depressione è una tristezza dalla quale non riesci ad uscire, nella quale non trovi gli strumenti per poter venire fuori, una cappa che non ti abbandona mai e che ti impedisce di vedere qualunque cosa, addirittura ti impedisce di vedere gli altri.
      I tempi che viviamo sono purtroppo poco orientati alla condivisione, e molto all’individualismo, e questo crea terreno fertile per la depressione perché si ha la sensazione di esser soli ancor di più di quanto non lo si sia già.
      Grazie molte per le tue belle parole e per il tuo intervento.

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  21. solounoscoglio

    ciao Max. questo è un argomento che mi tocca particolarmente, perché la depressione mi ha portato via una persona molto cara. nella mia esperienza ti dico solo che il più grosso problema è rappresentato da un profondo varco che il depresso crea tra sé e chi gli sta attorno. probabilmente non ne è cosciente, ma il varco con il passare del tempo diventa sempre più ampio ed alla fine è difficile superarlo da entrambe le sponde. penso che questa “frattura relazionale” – perdona i miei termini tecnici ridicoli cerco solo di esser più chiara possibile – purtroppo nella maggior parte dei casi avvenga in tempi remoti, probabilmente nel momento di massima fragilità dell’essere umano, quando ha più bisogno di amore: l’infanzia. quando questo vuoto di amore non riesce ad essere colmato, l’individuo inizia il suo isolamento e si allontana inesorabilmente. per carità, è solo una mia interpretazione, ma mi viene in mente un pack di ghiaccio alla deriva: freddo e solitudine. penso viva questo nel cuore di chi soffre di depressione che talvolta combatte manifestando proprio un coinvolgente calore umano, grande generosità e dolcezza, come a voler far capire al mondo intero ciò di cui ha realmente bisogno da sempre. e adesso lo chiudo qui questo mio commento, rischio di esser più lunga di te, ma soprattutto non ho un kleenex a portata di mano….

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  22. laura

    ho letto tutto quello che è stato scritto e sono stata in dubbio se commentare o no perchè sono state dette tante cose, tanti spunti di riflessione, tante testimonianze che mi è mancata la voce dall’emozione…
    poi ho pensato che potevo contraccambiare quella sincerità, quella caparbietà di mostrare il cuore nudo offrendo la mia testimonianza
    per quanto mi riguarda la depressione ha fatto in modo che il “ci vediamo domani” che era stato riservato a me e in cui credevo con tutte le mie forze non si avverasse mai… non c’è stato più un domani. C’è stata solo tanta rabbia da parte mia, perchè le persone depresse, quando le ami, non ti fanno pena, ti fanno incazzare, perchè non ci sono, anche se ci sono fisicamente non sono lì con te e allora vorresti odiarle mentre sai che dovresti amarle di più perchè stanno così profondamente soffrendo da non vedere via d’uscita al susseguirsi degli istanti vissuti… quando ho intuito (“capire” in questo caso è una parola troppo grossa) quella disperazione, ho perdonato, ma, purtroppo, troppo tardi.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      La cosa importante è non colpevolizzarsi. Hai ragione ad essere arrabbiata. Non hai colpe. Hai un dolore con cui fare i conti. E mi pare che tu lo stia metabolizzando. Pian piano. Grazie per essere passata, grazie per aver parlato. 🙂

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  23. Pinocchio non c'è più

    Lo so, ho impiegato un po’ di tempo prima di decidermi a commentare, forse perché non ho vissuto in prima persona questa malattia. Non l’ho vista dentro di me, ma conosciuta attraverso gli occhi di mio padre e sinceramente non so bene quale sia il motivo reale per il quale ne parlo qui, visto che nel “reale” non lo faccio mai. Davvero non lo so. Forse perché semplicemente perché qui mi sento meno a disagio, meno fuori luogo. Si, perché quando hai a che fare tutto il santo giorno di centomila altri santi giorni con una persona che soffre di depressione arrivi ad un punto in cui ti senti da vero inutile, non sai più che fare, hai finito le parole, vorresti prendere la valigia, metterci dentro tre stronzate in croce e saltare sul primo treno. E non è bello fare questi pensieri. Perché poi lo guardo, seduto al tavolino con la testa fra le mani e vorrei prenderlo per il bavero e chiedergli che fine ha fatto l’uomo che mi metteva il casco e mi faceva sedere sul serbatoio del Benelli 650. Dove cazzo è finito? Vorrei urlaglielo in faccia. Ma non sono pensieri belli da fare. Quando mi guarda senza aprire bocca e io mi volta di scatto, non per distogliere lo sguardo da lui, ma per cercare di capire chi è stato a darmi quella coltellata, si, mi volto, ma non c’è mai nessuno. Non c’è mai nessun coltello. Ed è inutile nasconderlo, in quei momenti mi sento cattivo, frustrato, impotente e vorrei solo mettermi a 180 all’ora con i finestrini spalancati e un rock duro come un cazzotto allo stomaco. Senza più mani nei capelli, nè sospiri nel vuoto, nè coltellate.
    Ma questi non sono pensieri belli da fare.

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      1. Wish aka Max Autore articolo

        Ti ho mandato un’email con delle considerazioni che non sarebbe stato giusto condividere in pubblico. Quel che voglio dirti qui è che quell’uomo che ti metteva sul serbatoio è da qualche parte dentro se stesso. Forse si sta cercando. Ma rifletti su una cosa importante. Quello che ti ha dato quell’uomo nessuno te lo può togliere. Nessuno. Quando ti prende lo sconforto pensa a questo. Un abbraccio.
        PS: hai detto una cosa bellissima della quale ti ringrazio di vero cuore: “Forse perché semplicemente perché qui mi sento meno a disagio, meno fuori luogo.” Questo è semplicemente meraviglioso.

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        1. Pinocchio non c'è più

          Guarda, le cose belle che mi ha regalato sono quelle che mi tengono a galla, che mi indicano la strada e che mi prendono per un braccio quando mi allontano. Grazie, grazie davvero per le parole che mi hai donato, non immagini quanto ne avessi bisogno.

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  24. ellagadda

    Per fortuna mi trovo fra quelli che “siccome domani può piovere, oggi vado al mare”.
    Credo che la depressione sia esattamente non riuscire a fare questo semplice calcolo di convenienza.
    Mi viene in mente l’istinto di sopravvivenza, se non scatta, allora qualcosa (qualcosa che supera anche la soggettività, qualcosa che mina le fondamenta del nostro stesso essere al mondo), allora qualcosa proprio non va, e hai voglia a dire che la volontà può tutto, che il cielo è blu e i fiori sbocciano.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Questo dimostra pienamente e completamente che quando è stato distribuito il dono della sintesi tu eri in prima fila e io invece ero andato per funghi… 🙂
      Sai che mi piace scherzare, ella, ma hai davvero fatto una sintesi eccezionale. E te ne ringrazio di cuore.

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  25. blogdibarbara

    Una condizione nella quale non si vede futuro
    E neanche il presente, se è per quello. Non lo vedi perché non c’è. Sei semplicemente dentro un buco nero: non hai forma, né dimensione. Non c’è una via d’uscita, anzi, non c’è proprio l’uscita. E’ la sofferenza assoluta, totale, che ad un certo punto non riesci più a sopportare, che non trovi una sola ragione per continuare a sopportare perché tutta la tua vita è priva di senso, quindi che senso ha sopportare una tale disumana sofferenza? (“Non sopporto chi si suicida” – “Neanche io: ogni volta che ne incontro uno lo ammazzo”).
    Poi devo dire un’altra cosa. Ho vissuto un anno in quello che viene comunemente chiamato “terzo mondo”: miseria. Fame. Morte per infezioni che si sarebbero potute curare con cento lire di antibiotico perché gli antibiotici non c’erano, e neanche le cento lire. Altissima mortalità infantile. Altissima mortalità perinatale e delle primipare perché le donne sono tutte infibulate e la fase espulsiva, che in una donna aperta non arriva a durare mezz’ora, in una donna infibulata può durare anche fino a due ore o più. Ebbene, in un intero anno non ho conosciuto una sola persona che soffrisse o avesse sofferto di depressione. Non ho mai sentito qualcuno dire di avere sentito parlare di qualcuno che soffrisse o avesse sofferto di depressione. Il che ha confermato ciò di cui sono sempre stata convinta: se la depressione fosse una malattia, la sua incidenza sarebbe più o meno uguale dappertutto. E’ inoltre documentato – ulteriore conferma – che i due periodi corrispondenti alle due guerre mondiali sono quelli che hanno fatto registrare, in tutta Europa, il più basso tasso di suicidi (oltre che il più alto tasso di gravidanze in donne ultracinquantenni). Il che, beninteso, non significa che la sofferenza non sia autentica. E tremenda. Fino a diventare, in alcuni casi, non più sopportabile. Ma cosa sostanzialmente diversa dalla malattia. E al trattamento farmacologico della depressione non credo – diciamo che è l’equivalente chimico di una padellata in testa: quando l’hai presa bella robusta certo che per un po’ te ne stai calmo, ma non è che sei tanto guarito. Per fortuna ho una difesa naturale contro questo rischio: una assoluta intolleranza a ogni sorta di psicofarmaci. Non sopporto neppure gli sciroppi o le gocce alle erbe che mettono nel latte ai neonati, neppure in dosi minime: mi sento come se intorno al cervello mi si rinserrasse una gabbia che si restringe sempre più e me lo stritola provocandomi una sofferenza tale da farmi di gran lunga preferire la mia sofferenza “naturale”.

    Poi vorrei dire due parole anche su un’altra questione cui si è fatto cenno in qualche commento: i ragazzini che si suicidano per un brutto voto a scuola, per la ragazzina che li ha lasciati, per cose simili. Una volta c’erano famiglie con regole rigide: se si sgarrava si veniva puniti; a volte, magari, anche ingiustamente. A scuola c’erano regole altrettanto rigide: chi sgarrava veniva punito; a volte, magari, anche ingiustamente. Si imparava ad affrontare e gestire le frustrazioni, le delusioni, si trovava il modo di conviverci. Poi, vuoi per il famigerato Sessantotto, vuoi per l’aria che tirava, le regole sono diventate sempre più morbide, i divieti si sono dissolti (“vietato vietare”), la sola idea di punizione, in famiglia o a scuola, appare blasfema. E si resta indifesi, impreparati, senza anticorpi di fronte alle frustrazioni, che la vita prima o poi ti presenta. E alla prima ragazzina che non te la vuole dare, o che ti pianta, tiri quindici coltellate, o ti vai a lanciare dal settimo piano. Sto semplificando e banalizzando, ma la sostanza è più o meno questa. Come si impara a reggersi sulle due ruote della bicicletta a forza di cadere e sbucciarsi ginocchia, così si impara a superare le frustrazioni che la vita presenta affrontando qualche discreta scornata fin da piccoli.

    Mi sa che sono stata la più prolissa di tutti, e tanto peggio per voi.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Mi piace molto quello che scrivi, mi piacciono le tue argomentazioni e le tue provocazioni. Per cui ti rispondo con una provocazione. Non ho sotto mano le statistiche, ma sono sicuro che nei posti che hai citato non esiste il cancro ai polmoni da polveri sottili (residui di benzene per capirsi, e sempre per capirsi quello che colpisce non perché fumi ma perché tipicamente vivi in una grande città). Quindi secondo il tuo ragionamento il cancro da polveri sottili non esiste, o meglio non è una malattia.
      Io credo che la depressione abbia degli aspetti clinici, in termine di predisposizione a reagire in determinati modi a determinati stimoli. E proprio come il cancro da polveri sottili non colpisce tutti quelli che vivono nelle grandi città, la depressione non colpisce tutti quelli che non hanno il problema della sopravvivenza quotidiana. Credo molto anche io nella tua analisi, intendiamoci. Da qualche parte, non ricordo esattamente dove, ho parlato della piramide di Maslow, dei bisogni primari e quant’altro. Ma ti garantisco che in determinate situazioni se tu non riattivi il meccanismo di trasmissione della serotonina (e magari un giorno ci faccio un post, sugli SSRI e sulle benzodiazepine) si finisce in un circolo vizioso dal quale non esci neanche se ti succede la cosa più bella del mondo. Semplicemente perché non avrai neanche la capacità di riconoscere la bellezza di quel che ti è accaduto.
      Sui figli, concordo in parte anzi quasi per niente sulla analisi sessantottesca, forse perché mi sento parte in causa. Io nel 78 quando hanno rapito Moro avevo 19 anni ed ero molto attivo nelle frange dell’estrema sinistra extraparlamentare. Ma le mie due figlie sono due persone forti, che di sberle dalla vita, nonostante la giovane età, ne hanno ricevute, e non hanno mai pensato di smettere di lottare. Credo che molta parte della responsabilità risieda nella subcultura che volutamente ci è stata instillata per il tramite della televisione dall’inizio degli anni 80 in poi. Ti invito a leggere un libriccino di Brizzi intitolato “Vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio” che parla del periodo dal 1980 al 2000 circa. E l’altro fattore importante è che si diventa genitori troppo tardi, e vuoi perché c’è maggior preoccupazione e meno sana incoscienza, vuoi perché ci sono meno energie, questi frugoletti diventano dei despoti cui tutto è concesso con i risultati che vediamo oggi.
      Grazie per gli interessanti spunti di riflessione e discussione.

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      1. blogdibarbara

        Provo a buttare giù un paio di repliche in ordine, anche se sono una persona tutt’altro che ordinata.
        Naturalmente NON esiste una cosa come il cancro da polveri sottili, come non esiste nessun “cancro da”: esistono persone con predisposizione congenita a sviluppare un cancro ai polmoni, o al colon, o che so io. Se interviene anche una causa esterna – nel caso dei polmoni fumo o inquinamento atmosferico – il cancro ti viene prima. Probabilmente occorrerà fare un’eccezione per le radiazioni nucleari che col loro violento bombardamento penso possano provocarlo indistintamente in persone predisposte o non predisposte, ma credo proprio che sia l’unica eccezione.
        Nel ’68 tu andavi alle elementari e i tuoi genitori erano fuori da quei circuiti, quindi non lo hai vissuto né come protagonista, né come figlio. Fidati di chi ci è stato in mezzo in pieno: ha avuto effetti veramente devastanti sotto molti aspetti. Vera invece l’ultima cosa che dici: si fanno figli sempre più tardi e se ne fanno sempre meno.

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        1. Wish aka Max Autore articolo

          Hai esattamente centrato il punto. Non esiste la depressione da. Esiste la depressione che si manifesta, in soggetti predisposti, e io non sono un medico ma so che ha a che fare con le modalità di trasmissione della serotonina, tanto che spesso si cura con gli SSRI, sotto certe condizioni. In altre parole, e mi riallaccio a Maslow, se la mia vita è costantemente in pericolo i meccanismi del cervello che gestiscono lo spirito di sopravvivenza saranno prevalenti su tutto. Man mano che i pericoli diminuiscono, si creano le condizioni perché determinate patologie possano manifestarsi.

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          1. blogdibarbara

            Uhm. Io vedrei le due cose separate.
            Discorso serotonina. Io ho passato una vita a dire che al centro di tutto c’è il sole, semplicemente osservando che Friuli, Val d’Aosta e Alto Adige in Italia e Scandinavia in Europa sono le aree a più alto tasso di suicidi. Mi davano della pazza, poi hanno scoperto che questa patologia – che è una patologia – si poteva curare esponendo i pazienti per un’ora al giorno a una luce che simula la luce solare. L’avessero chiesto a me risparmiavano anni di studio, e dei soldi spesi nelle ricerche si poteva fare a metà, e vabbè. Anche determinati componenti – non so quali – presenti in alcuni trattamenti chemioterapici provocano una sofferenza cerebrale con istinti suicidi. E qui, in entrambi i casi, stiamo parlando di chimica.
            Discorso depressione. Sulla quale la vedo in maniera sostanzialmente uguale a LuceOmbrA che ha commentato qua sotto. E’ uno stato d’animo determinato dalla personale sensibilità del soggetto, dalle sue esperienze, dal suo vissuto. Non ne esci con le medicine, e secondo me neanche con la psicoterapia – ma su quest’ultima so benissimo di essere in minoranza su tutta la linea (io ne sono uscita scrivendo migliaia di pagine di autoanalisi, ma naturalmente non pretendo di fare testo).
            Il fatto che le due manifestazioni abbiano degli aspetti comuni e che possa accadere che si concludano allo stesso modo (il suicidio) non significa che siano la stessa cosa. Come ictus e colpo apoplettico: in entrambi ad un certo momento non arriva più sangue al cervello e ne consegue una paralisi, completa o parziale, di mezzo corpo, ma l’ictus è determinato da un danno al cervello (emorragia, trombo, embolo…) mentre il colpo apoplettico è causato da un fattore esterno, per esempio un improvviso fortissimo calo della pressione, che non è più in grado, per un momento, di spingere il sangue su fino alla testa. Una è una patologia, l’altra no. Su una si interviene, se possibile, chirurgicamente e farmacologicamente, sull’altra unicamente con fisioterapia per favorire il recupero motorio. Io di colpi apoplettici ne ho avuti quattro e, come vedi, sono ancora qui a scassare i marroni; fossero stati quattro ictus, difficilmente potrei dire altrettanto.

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    2. ellagadda

      Un’ unica e rapida obiezione, anzi due:
      “se la depressione fosse una malattia, la sua incidenza sarebbe più o meno uguale dappertutto.”
      Esistono malattie diffuse in alcune zone e in altre no, come virus e batteri, dunque quale valenza scientifica ha questa considerazione?
      Non so, mi vengono in mente tutti gli operai che si sono ammalati per i ritmi di fabbrica (basta guardare un film, eh, mica occorrono tomi di psichiatria), siccome solo gli operai soffrivano di determinate sindromi, quelle sindromi non erano da considerarsi malattie?

      Per tutto quello che segue: depressione e sindrome adolescenziale non sono la stessa cosa.

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      1. blogdibarbara

        Ovvio che la malaria è endemica dove ci sono zanzare anopheles e non lo è dove non ce ne sono. E altrettanto ovvio che un operaio che sta otto ore al giorno alla catena di montaggio può uscire di testa mentre più difficilmente capiterà al pittore di successo che decide autonomamente cosa fare, quando farlo, come farlo, dove farlo, e se non ha voglia di farlo ha lo stesso di che vivere per un bel po’. Ma se mi proponi questo paragone io dico: la malaria è causata dalla puntura della zanzara anopheles; il crollo nervoso dell’operaio alla catena di montaggio è provocato da un lavoro ripetitivo e alienante; la depressione è provocata da… ?

        Per tutto quello che segue: per depressione e suicidi dei giovanissimi ho fatto due discorsi separati perché non mi passerebbe mai per la testa di trovare la benché minima analogia tra i due fenomeni.

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        1. ellagadda

          La depressione però è uno stato clinico accertato almeno dal ‘700 (dico almeno perché la psichiatria ufficiale è nata con Pinel ed Esquirol); il fatto che non abbia un’unica e determinata causa o almeno delle cause più o meno sempre rintracciabili non significa che non sia una malattia, anche perché nelle sue manifestazioni è facilmente diagnosticabile.
          Ad esempio, l’epilessia è uno dei grandi misteri del nostro cervello, anche per le convulsioni epilettiche si pone la domanda: sono causate da?
          Esistono cause ambientali e ci sono psichiatri (ci sono sempre stati psichiatri) che sostengono anche una certa predisposizione genetica per le malattie mentali in generale.

          E, rimbalzo la domanda, perché un pittore di successo non dovrebbe soffrire di depressione? Quali particolari anticorpi dovrebbero avere il successo o la ricchezza?
          E’ un nesso che davvero mi sfugge.

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          1. blogdibarbara

            Scusami, ma hai rimescolato tutte le carte! A introdurre il discorso “causa” (virus, batteri) sei stata tu: io non mi sognerei mai di farlo, perché so benissimo che le malattie idiopatiche sono un’infinità. Il discorso operaio-che-si-ammala-per-i-ritmi-di-fabbrica lo hai introdotto tu, non io, e nessuno ha tirato fuori, per l’operaio in fabbrica, il discorso depressione: non lo hai fatto tu nel primo intervento (hai parlato di malattia), non l’ho fatto io nella mia replica (ho parlato di crollo nervoso per cause non presenti nel lavoro del pittore): lo hai tirato fuori tu adesso nella contro-replica e trovi che non c’è il nesso?! Ragazza mia, se ti inventi le cose non puoi pretendere che siano poi gli altri a trovarti i nessi!

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            1. ellagadda

              Il pittore lo hai messo tu in mezzo, chiedendoti cosa dovrebbe avere da essere depresso, dunque ti ho chiesto: perché dovrebbe non esserlo?
              Quali carte avrei rimescolato?
              Fare degli esempi è rimescolare le carte? Dalle mie parti servono per spiegare cosa si intende dire, non per imbrogliare.

              Non invento nulla, semplicemente non vedo dei nessi logici (che, trattandosi di malattie e dunque di scienza vorrei vedere, almeno nelle intenzioni).

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            2. blogdibarbara

              Io ho parlato di depressione per il pittore???????????????????????? Sei sicura di saper leggere? Scusami, ma nelle tue repliche non trovo neppure i presupposti minimi per poter condurre una discussione, quindi mi fermo qui.

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  26. Patalice

    …come nostra “prima volta” non è male…
    Ti dirò, la depressione è una strana malattia, un bizzarro elemento di detrazione dalla realtà che fa più male, per farci piombare nl più subdolo dei moderni sortilegi.
    Amo la mia esistenza, anche quella parte affetta da quell’ombra mefistofelica, e mai del tutto illuminatasi, amo quando mi ricordo che mi ricorda di esserci ed esistere…
    E mi terrorizza fortemente quando c’è a repentaglio di questa minaccia, chi amo di più…

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  27. LuceOmbrA

    Si spendono fiumi di parole per cercare di dare una definizione certa ed inequivocabile di questo mostro che chiamano depressione, quando è una condizione così soggettiva e personale che non si può etichettare con una sola parola. Credo, per mia personale esperienza, che tutto abbia origine da una grande sensibilità non commisurata alla forza necessaria sopportare le brutture che fanno parte delle vita di tutti i giorni. Una volta qualcuno mi disse “io sento l’erba crescere”, di quanta forza di volontà ed intelligenza c’è bisogno per sopportare il rovescio della medaglia? Le cure “tradizionali” sono solo un aiuto, non basta una pillola e risolvere un modo di essere, la vera speranza sta nell’avere l’intelligenza di capirsi e trovare dentro volontà di sopportare e andare avanti fino a poter sentire il prossimo fiore sbocciare. Non si guarisce mai del tutto da quello che si è, sensibili. Non si può, si può invece imparare a convivere col demone, ad amare le cicatrici, a disciplinare i sentimenti negativi, a scegliere la luce anziché l’ombra. E’ un lavoro duro ed estenuante, quotidiano, senza fine e non sempre si è abbastanza forti e non tutti lo sono.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Non so perché non ti ho risposto prima. Oggi sono tornato qui per rispondere ad un commento recente, e ogni tanto mi piace rileggere. Ti chiedo scusa, perché il tuo commento è molto ficcante e mi spiace di non aver commentato a mia volta. Lo faccio ora sperando tu accetti le scuse.
      “Io sento l’erba crescere”. Capisco bene quel che dici e quel che intendi con questo. Ma credo anche che la sensibilità possa essere in qualche modo “educata”. E il punto non è tanto “convivere” con i mostri, quanto capire che alla fine tanto mostri non sono. Cambiare prospettiva. Capire da dove viene il mostro. Perché dentro di noi spesso succede che basta capire da dove arriva, quel mostro, per trovare la spada che serve per combatterlo e tenerlo a debita distanza, così che non faccia danni.
      Sono invece molto d’accordo sul fatto che non si guarisce mai. Non completamente, almeno. Ma questo è un tema legato alla ricerca di se stessi. È un tema legato al guardarsi dentro, al guardare il brutto che c’è in noi. A guardare le nostre debolezze, ad accettarle e non farle diventare un cruccio.
      Per quanto riguarda scegliere la luce, in alternativa all’ombra, ti dico che l’equilibrio, a mio parere, si raggiunge quando si riesce a capire che luce e ombra convivono. Che è la sintesi del Tao. 🙂
      Grazie davvero per le tue parole, e ti rinnovo le scuse per la mancata replica.

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      1. helios2012

        Ciao, complimenti per l’argomento trattato con grande altruismo e pacatezza.

        Mi permetti una riflessione su quanto riportato da te e sempre non abbia compreso male.

        Tu hai scritto : ma questo è un tema legato alla ricerca di se stessi. È un tema legato al guardarsi dentro, al guardare il brutto che c’è in noi. A guardare le nostre debolezze, ad accettarle e non farle diventare un cruccio.

        Mi hai fatto sorridere credimi. E’ giusto quello che hai espresso, ma quello che secondo me sfugge che a guardare le proprie debolezze e ad accettarle non debbano essere solo le persone che si sentono fragili, che poi fanno solo male a se stessi e non ad altri. Dovrebbero essere invece anche persone che spesso ‘appaiono come forti e sicure’ che hanno dei problemi di brutto interiore e hanno talmente paura di guardarsi dentro che preferiscono dare di sé delle immagini totalmente costruite, vuoi di bullismo, di delirio di onnipotenza e quant’altro.

        Forse sarebbe ora di ‘osservare anche fuori’ e comprendere che non sempre le proprie debolezze sono peggiori di quelle di altri che non pensano di averne. E chissà forse una mattina ci si potrebbe anche svegliare meno depressi e accettarsi anche nel meglio di cui fino a poco prima non eravamo consapevoli di essere ed esclamare : o cielo io esisto e non sono poi così male come ho sempre pensato di essere,….anzi a dire il vero mi sento quasi meglio di altri! 🙂

        Un caro saluto!

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        1. Wish aka Max Autore articolo

          Hai ragione, ma questo equivale in qualche modo a dire “pensa a chi sta peggio”. Il riferimento alla piramide di Maslow (che non so se è nel post ma sono certo sia da qualche parte nel blog) non è casuale. Il tema è che i bisogni crescono. La depressione nelle zone di guerra non esiste. Esiste in zone del mondo dove si sta “bene”. E allora perché non relativizziamo? Perché, quando ci alziamo la mattina, non pensiamo alle bombe della striscia di Gaza, all’Afghanistan, e non pensiamo che “cazzo, siamo vivi e vegeti e non abbiamo il problema di nutrirci né di trovare un tetto”, ma invece ci incazziamo come iene se il capo ci fa un rimprovero, o se quello al semaforo ci fa un gestaccio, eccetera eccetera. A mio (modestissimo) avviso il problema sta nell’evoluzione. Siamo strutturati per adattarci. Ci adattiamo alle brutte situazioni così come a quelle belle. In altre parole ci concentriamo sul nostro microcosmo. Ed è per questo (sempre a mio avviso) che guardare il brutto degli altri non è consolatorio. Perché il brutto e i mostri che albergano in noi fanno molta più paura. 🙂

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          1. helios2012

            Forse ho frainteso quello che hai scritto. Pensavo si parlasse di depressione come malattia poiché tale è e andrebbe tenuta in considerazione come le altre. Mi sembra ora di intuire che qui il discorso si sta ampliando sfociando nel sociale e nelle problematiche della nostra contemporaneità.

            Se non si impara prima a conosce bene se stessi difficilmente si può pensare di conoscere e giudicare in maniera corretta quello che ci circonda, compreso il depresso, che in alcuni casi è carente di autostima. Non sempre gli altri sono meglio del depresso e forse sarebbe gratificante avere uno stimolo in più per farcela.

            . Ed è a questo che mi riferivo. 🙂

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  28. Albucci

    Il web 3.0 prende in considerazione l’ipotesi che una persona la propria opinione non voglia condividerla? No, perché ho l’impressione che con questa semplice frase tutto il castello di carta crolli.

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Il tema del web 3.0 è stato sollevato in funzione di contestare la definizione “blogosfera” come anacronistica e poco rappresentativa di una realtà in continuo mutamento. Il che significa che per farsi un’idea corretta sarà sempre più necessario interagire con molti strumenti. Solo di striscio, e come piccolo spunto di riflessione, il web 3.0 inizia a contemplare il concetto di “reputation”, che è ben oltre il concetto di social media marketing.
      Detto tutto ciò, le persone che non vogliono condividere la loro opinione esistono da quando Internet non esisteva e si chiamava Usenet, ed era poco più di un insieme di mailing list che assomigliavano alla lontana ai forum di oggi. Queste persone sono i lurker, che guardano e non opinano. E sempre esisteranno. Per cui la risposta alla tua domanda è un sì.

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  29. rossodipersia

    La depressione, che preferisco chiamare Fissità nel mio caso, si alterna spesso con l’euforia: sono entrambe alterazioni violente di uno stato di benessere, quantomeno per quello che ci hanno inculcato essere il benessere, e appare strano per quelli così detti Stabili accettare l’imprevisto di un repentino cambiamento d’umore che persiste nel tempo, spesso fino al logoramento dei rapporti interpersonali.
    La fissità la interpreto, nei miei periodi peggiori, come un grande vuoto esterno che non voglio affrontare, che non mi incuriosisce e anzi, spesso mi ferisce, una specie di assoluta noia e apatia verso chiunque; essa si contrappone con violenza alla ricchezza interiore che in quei periodi è profonda e intensa, tanto da produrre quello stato di fissità sul mondo.
    L’euforia invece mi rende temeraria ed è proprio in quei periodi che faccio le mie più grandi cazzate, divento ipercinetica, non riesco a smettere di parlare di ridere di camminare di comunicare. Ma dura poco.
    Come direbbe un mio amico: Patrì tu switchi alla velocità della luce, ti si deve beccare sul lampo!
    Seriamente però, penso che la depressione, quella vera, sia un mostro che ti cammina dentro e ho troppo rispetto per chi ne è vittima per permettermi di parlarne con la competenza che merita.

    Un abbraccio

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    1. Wish aka Max Autore articolo

      Per fortuna l’euforia dura poco, da come la descrivi sembra assai più pericolosa.
      Il problema della fissità, e non so se questo è vero nel tuo caso, è la preponderanza. Nel senso che in quello stato c’è una tristezza di fondo che non si riesce a cancellare, come dicevo nel post non si vede il futuro, e come una commentatrice ha acutamente osservato, non si vede neanche il presente perché non si sta vivendo in un “reale” presente. Si sta vivendo in uno stato che è quasi al di fuori della realtà, uno stato che diventa, come detto, preponderante su tutto. Tutto è subordinato alla tristezza, tutto si continua a fare ma solo ed esclusivamente facendo leva sul senso del dovere. Tutto si fa ma costa una fatica immensa. Ci si sveglia la mattina pensando “oddio un altro giorno, quanto tempo manca al momento in cui potrò rimettermi a dormire”. Poi ci sono le sintomatologie estreme, quelle delle crisi di panico, della paura di uscire, della claustrofobia estrema eccetera eccetera eccetera.
      Il problema è che in questa sindrome i sintomi sono maledettamente potenti. I dolori sono fortissimi, metaforicamente parlando. Tanto forti da pregiudicare, nettamente, la qualità della vita. Pregiudicarla sino a pensare che non valga la pena di andare avanti. E poi dal pensiero, magari passare ai fatti. Come nel caso in specie. quello di Robin Williams. Che colpisce nella qualità di personaggio pubblico, ricco, famoso, uno cui “apparentemente” non manca nulla. Ecco, ma qui vale il discorso che facevo a proposito della incapacità di relativizzare. Che se fosse nelle nostre corde probabilmente non avrebbe portato la specie umana al punto in cui è. Ecco, questo tipo di sindrome diciamo che è il lato oscuro dell’adattabilità, carattere fondamentale dell’evoluzione. Ci si adatta a tutto, ci si abitua a tutto. Ci si adatta e ci si abitua al malessere, ma ci si adatta e ci si abitua anche al benessere. La famosa piramide di Maslow. Soddisfatti i bisogni essenziali, si passa oltre. E i bisogni essenziali (in questo caso la lotta per la sopravvivenza, nutrirsi, avere un tetto) diventano un fatto dato per scontato, dato per assunto.
      Perdonami, come detto da te tendo alla logorrea, e su determinati argomenti quando inizio non la finisco più.
      Quel che voglio dirti è semplicemente grazie, perché il tuo commento è estremamente interessante. Ecco.

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